“Avvenire”, 16.10.2002
Riflessioni a 24 anni dal 16 ottobre 1978, data di elezione al soglio pontificio di Karol Wojtyla UN PADRE PER TUTTI
Wojtyla –
Il Papa che ha stupìto il mondo
l’intervista
«Il 16 ottobre 1978 eravamo in università, quando una telefonata ci ha annunciato l’elezione di Karol Wojtyla. Siamo rimasti per lunghi secondi in silenzio». Così don Tadeusz Styczen, l’«amico del Papa», rievoca la storica giornata di 24 anni fa
Dal Nostro Inviato A Lublino
Luigi Geninazzi
Ormai si
è abituato a sentirsi chiamare “l’amico del Papa”. Don Tadeusz Styczen, 70 anni, successore di Wojtyla sulla cattedra di Etica nell’università cattolica di Lublino e compagno di Giovanni Paolo II nei periodi estivi, preferisce però definirsi «un discepolo che non vede limite all’apprendere» nel seguire l’amico-maestro. Anche quest’anno ha trascorso le vacanze con Papa Wojtyla, oltre un mese a Catelgandolfo. «Al suo ritorno da Toronto, e ancor più da Cracovia, l’ho trovato incredibilmente rinvigorito, ne sono rimasto sopreso. Lo conosco da cinquant’anni, vado in vacanza con lui da diciotto, ma la sua presenza è sempre più un mistero ai miei occhi» dice padre Styczen rompendo il suo tradizionale riserbo. Parla dell’amico-maestro con affetto e commozione, tra riflessioni filosofiche e ricordi personali.
Il pontificato di Giovanni Paolo II entra nel venticinquesimo anno. Lei crede che anche il Santo Padre dia importanza a quest’anniversario?
Credo proprio di sì. Giovanni Paolo II è molto sensibile alle ricorrenze, lo sanno tutti. In un certo senso è il Papa dei giubilei, dei grandi anniversari. Come ha scritto Norwid, il poeta polacco più amato dal Santo Padre, “ieri è oggi, anche se un po’ più in là…”. Nella visione cristiana non è un modo di dire.
Può spiegarsi meglio?
Ieri è oggi. A ben vedere questo è possibile solo alla luce di Cristo, il Dio fatto uomo, l’eternità entrata nella storia. Lo ha ricordato Giovanni Paolo II parlando ai giovani a Toronto quando ha detto che la santità è sempre giovane, così come eterna è la giovinezza di Dio. E tutte le volte che ho la grazia di stare vicino al Santo Padre capisco che sta qui il segreto della sua giovinezza interiore.
16 ottobre 1978. Cosa le è rimasto impresso di quella storica giornata, quando risuonò l’annuncio di un Papa polacco?
Ero in università, come al solito. Squillò il telefono, rispose il decano della facoltà di filosofia, il professor Kaminski. Posò la cornetta e disse se mplicemente: “Han no eletto Papa Karol Wojtyla”. Eravamo talmente emozionati da restare per lunghi secondi in silenzio. E subito mi venne in mente quel che un anno prima il cardinal Wojtyla aveva predicato durante gli esercizi spirituali tenuti in Vaticano davanti a Paolo VI. Commentando l’esortazione rivolta da Gesù ai discepoli nell’Orto del Getsemani Karol Wojtyla disse che bisognava cercare di cogliere l’occasione, unica nella storia, perduta dagli uomini, di consolare il Dio fatto uomo. Ecco, pensai, Dio ha preso sul serio quell’appello del cardinale Wojtyla. Con la differenza che il destinatario della richiesta non era più Paolo VI ma lui stesso, Giovanni Paolo II. Da quel giorno mi capita spesso di ripensare a quelle parole.
Intende dire che possono essere considerate come il leit-motiv del pontificato wojtyliano?
Molte iniziative prese da Giovanni Paolo II sono chiaramente legate a quell’esortazione, alla possibilità di consolare il Dio-uomo. Il Papa ci parla di tutto questo ogni giorno, ininterrottamente, anche senza parole. Nel modo in cui celebra la messa, nel modo in cui prega, quando visita un Paese, quando si rivolge alle folle immense che si radunano ad ascoltarlo. Lui vuole scuotere il sonno del mondo, fa proprie le parole di Gesù ai discepoli: Vegliate e pregate con me. È una responsabilità enorme, un peso che umanamente non sarebbe sopportabile.
Si dice che all’inizio del suo pontificato Karol Wojtyla ne fu per un attimo sopraffatto, quasi spaventato. È vero?
Io so soltanto che quando lo incontrai in Vaticano pochi giorni dopo l’elezione, il 21 ottobre, lo vidi sereno e tranquillo. Scherzò per tutto il tempo della cena. Alla tv apparve la sua immagine e lui, tra il serio e il faceto, fece un gesto come dire: ma guardate un po’ che razza di Papa ci è capitato.
Nel suo stemma pontificio Papa Wojtyla ha voluto mettere una grande M di Maria ed il motto Totus tuus. E oggi annuncerà una nuova Lettera apostolica dedicata al rosario, come se volesse le gare l’ingress o nel 25mo anniversario di pontificato alla preghiera mariana. Come lo spiega?
Il rosario è la sua preghiera preferita, dentro i suoi misteri contempla la storia del mondo alla luce dell’eternità. In un certo senso è anche la sua arma di difesa. Ad ogni momento della giornata, appena può, impugna la coroncina. Così fa capire che deve ritirarsi a pregare e non vuole essere disturbato. Anche quando va in montagna: cammina recitando il rosario. Una volta, mentre ci trovavamo in vacanza a Lorenzago di Cadore, gli ho detto: ma Santità, non ammira questo splendido paesaggio? E lui, per tutta risposta, ha sorriso stringendo la corona del rosario ed ha continuato a pregare.
Da dove vien fuori questa devozione così radicata alla Vergine Maria?
Maria è il tramite attraverso cui Dio ha scelto di farsi uomo. “Dio carne, Vergine madre!” è la sintesi che ne ha fatto il nostro poeta nazionale, Adam Mickiewicz. Con il motto Totus tuus Giovanni Paolo II vuole identificarsi il più possibile con il mistero dell’Incarnazione. Da qui il carisma di Wojtyla: è un Papa affascinato da Dio in ragione dell’uomo e affascinato dall’uomo in ragione di Dio.
Padre Styczen, che augurio intende fare in quest’occasione a Giovanni Paolo II?
Che continui il mistero della consolazione del Dio fatto uomo e che tutto il mondo lo possa riconoscere.
INIZIA OGGI IL XXV ANNO DI PONTIFICATO
LA SUA VITA RINFRANCATA CORAGGIO PER TUTTI
Dino Boffo
Guardi il Papa e pensi: c’è qualcosa di inatteso e inspiegabile. Lo guardi con l’apprensione dei figli preoccupati per la sua salute, per le fatiche che si ostina a sobbarcarsi: prima il Canada e il Messico passando per il Guatemala, poi la Polonia… Eppure, in questo autunno, anziché trovarlo infiacchito com’era lecito temere, appare addirittura rinfrancato. Nei gesti, nella parola, nelle reazioni. Un Papa più spigliato. Il fisico sembra rispondere con maggior prontezza agli input di una mente indomita. La marea dell’infermità anziché avanzare inesorabile e spietata sta come regredendo.
Non abbiamo bollettini riservati sul tavolo, né siamo ricorsi a diagnosi che anche luminari della medicina talora si prestano incautamente a fornire a distanza. Annotiamo, sottovoce, quel che gli occhi ci mostrano. Per quanto sorprendente possa suonare.
Dovremmo non scriverlo su un giornale, ma sussurrarcelo l’un l’altro nell’orecchio, come si fa con i segreti più delicati o familiari, che suggeriscono un naturale pudore e mai andrebbero sventolati: in modo misterioso, continua a operare la mano di Dio. Come il primo giorno, quell’indimenticabile 16 ottobre 1978, quando all’annuncio di un cognome “esotico” – Wojtywa (questa, si ricorderà, fu la pronuncia) – facemmo un passo indietro e alzammo in alto l’espressione di un viso attonito. O come il 13 maggio 1981, quando la Browning impugnata da un professionista sparò, e sparò dritto, da pochi metri; ma il proiettile seguì una traiettoria misteriosa, inspiegabile, che ferì e non uccise. Momenti apicali, cui volendo ne sarebbero di contorno altri, noti e meno noti; ovvio che il pudore allora induca a silenzio. E semmai ad una sommessa autocritica: quanto poco contano le nostre previsioni. L’urto dei fatti è tale da lasciar evaporare scenari sofisticati e analisi anc he le più capricciose. Quanto dura il Papa? E’ un interrogativo che inavvertitamente si carica di accentuazioni beffarde. Come se ancora non avessimo capito che la sua vicenda esistenziale è racchiusa in Altre mani, e sempre lo è stata. La sua e quella della Chiesa. L’imponderabile dentro la piega dei giorni, l’inspiegabile come molla di un destino collettivo.
Oggi ufficialmente inizia il 25° anno di servizio del quinto pontefice più longevo della storia. Nessuna statistica può però saziare la nostra curiosità più profonda. Graduatorie e classifiche ci rendono semmai più cauti, ed è il suggerimento – tra l’altro – che viene da maestri tra i più seri. Così, per la nostra comunità cristiana – a Roma come in ogni angolo del Paese – è un anniversario da vivere nello stupore e nella gratitudine. Facendo spazio alla Provvidenza di Dio nei nostri pensieri. Il cardinale vicario Ruini ha indi rizzato, per la circostanza, una lettera ai romani che in realtà può aiutare ciascuno a vivere questa ricorrenza giubilare andando oltre ogni barocchismo esteriore. Evento di anime e interrogazione per tutto il mondo. Guardando alla capacità di donazione di questo Papa, quant’è cresciuta la nostra voglia di capire, di amare?