Terremoti e Castighi Divini

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 Un tempo gli uomini erano capaci di leggere i messaggi di Dio in tutti gli avvenimenti.
Tutto ciò che accade, infatti, ha un significato racchiuso nel linguaggio del simbolo, espressione più profonda dell’essere delle cose.
Per i media la distruzione della cattedrale di Norcia, dovuta al terribile sisma nell’Italia centrale, viene vissuta come perdita di un patrimonio artistico, non come immagine del crollo della fede o dei valori fondamentali della Civiltà cristiana.
Eppure chi può negarci il diritto di pensare che il disordine della natura è permesso da Dio come conseguenza della negazione dell’ordine naturale attuato dalle classi dirigenti dell’Occidente?

A partire dal 24 agosto di quest’anno l’Italia è stata colta da una serie di violente scosse sismiche, che dopo due mesi, non accennano a diminuire. Le scosse, secondo i sismologi, sono state migliaia, di intensità e magnitudine diversa. Fino ad oggi hanno provocato un certo numero di vittime, ma gravi danni alle chiese e agli edifici pubblicie privati, privando dei loro beni e delle loro case decine di migliaia di italiani. La scossa del 30 ottobre, la più grave dopo quella del 24 agosto, si è avvertita in tutta Italia, da Bari a Bolzano e ha avuto il suo simbolo nel crollo della cattedrale di Norcia.

La notizia della distruzione della Basilica ha fatto il giro del mondo. Della chiesa sorta sulla casa natale di san Benedetto rimane solo una fragile facciata. Tutto il resto è scomparso in una nuvola di polvere. Molti mass media, come l’americana Cnn, hanno sottolineato il carattere simbolico dell’evento, scegliendo l’immagine della cattedrale crollata per l’homepage dei loro siti.

Un tempo gli uomini erano capaci di leggere i messaggi di Dio in tutti gli avvenimenti che sfuggivano alla loro volontà. Tutto ciò che accade, infatti, ha un significato, espresso dal linguaggio del simbolo. Il simbolo non è una rappresentazione convenzionale, ma è l’espressione più profonda dell’essere delle cose.
Il razionalismo moderno, da Cartesio ad Hegel, da Marx al neo-scientismo, ha voluto razionalizzare la natura, sostituendo alla verità del simbolo l’interpretazione puramente quantitativa della natura. Il razionalismo oggi è in crisi, ma la cultura postmoderna che si abbevera alle sue stesse fonti intellettuali, dal nominalismo all’evoluzionismo, ha creato un nuovo sistema di simboli che, a differenza da quelli antichi, non rinviano alla realtà delle cose, ma la deformano come in un gioco di specchi.
Il codice simbolico che si esprime in tutte le forme della comunicazione postmoderna, dai tweet ai talk-show, si propone di creare emozioni e di suscitare sentimenti, rifiutando di cogliere la ragione profonda delle cose.

La cattedrale di Norcia, ad esempio, è un simbolo di arte, di cultura, di fede. La sua distruzione evoca, per i media, la perdita del patrimonio artistico dell’Italia centrale, ma non può essere immagine del crollo della fede o dei valori fondamentali della Civiltà cristiana.
Il terremoto poi, malgrado sia usato nel linguaggio comune per indicare sconvolgimenti culturali e sociali, non può mai rinviare a un intervento divino, perché Dio può essere solo presentato come misericordioso, mai come giusto.
Chi parla di “castigo divino”, incorre immediatamente nella diffamazione mediatica, come è accaduto a padre Giovanni Cavalcoli, le cui parole a Radio Maria sono state definite «affermazioni offensive per i credenti e scandalose per chi non crede» dal sostituto alla Segreteria di Stato, mons. Angelo Becciu.

Ma se scandalo c’è, è proprio quello provocato dalla presa di posizione del prelato vaticano, che dimostra di ignorare la teologia cattolica e l’insegnamento dei Papi, come Benedetto XVI, che nell’udienza del 18 maggio 2011, parlando della preghiera di intercessione di Abramo per Sodoma e Gomorra, le due città bibliche punite da Dio a causa dei loro peccati, afferma:
«Il Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene. Perché è proprio questo il cammino della salvezza che anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita. Non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell’amore che porta già in sé il castigo. Dirà il profeta Geremia al popolo ribelle: “La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio”» (Ger 2,19).

Come dimenticare che tra agosto e settembre del 2016 sono state celebrate le prime unioni civili in Italia?
«Ricostruiremo tutto» ha dichiarato il premier italiano Matteo Renzi. Ma il 23 luglio 2016 lo stesso Renzi ha apposto la sua firma al decreto attuativo della Legge n. 76/2016, o Legge Cirinnà, che legalizza il matrimonio omosessuale in Italia.
Questa legge è un terremoto morale, perche abbatte le mura della legge divina naturale.
Come immaginare che questa legge sciagurata sia priva di conseguenze? Chi non rinuncia al buon senso se ne rende immediatamente conto.
Oggi l’uomo si ribella a Dio e la natura si ribella all’uomo. O meglio, l’uomo si ribella alla legge naturale, che ha il suo fondamento in Dio, e il disordine della natura esplode.

La legge Cirinnà non distrugge le case, ma l’istituzione della famiglia, producendo una devastazione morale e sociale non meno grave di quella materiale del terremoto. Chi può negarci il diritto di pensare che il disordine della natura è permesso da Dio come conseguenza della negazione dell’ordine naturale attuato dalle classi dirigenti dell’Occidente? E poiché i simboli tollerano diverse letture, come dar torto a chi vede nella facciata di una cattedrale il simbolo di ciò che oggi, sotto l’aspetto umano, sembra rimanere della Chiesa cattolica: un cumulo di macerie? Le dichiarazioni di mons. Becciu, uno dei più stretti collaboratori di papa Francesco, sono l’espressione di un mondo ecclesiastico in rovina che attira su di sé altre rovine.

Dalla promulgazione dell’Esortazione Amoris Laetitia agli onori resi a Lutero a Lund, papa Francesco non ha certo contribuito a riportare ordine in questo mondo in frantumi. Il Papa ripete che non si devono costruire muri, ma bisogna abbatterli: ebbene i muri crollano, ma con loro crolla la fede e la morale cattolica, crolla la Civiltà cristiana, che a Norcia, patria di san Benedetto, ha la sua simbolica culla.
Eppure, se la cattedrale si è sgretolata, è restata in piedi la statua di san Benedetto al centro della piazza antistante. Attorno a questa statua si sono riuniti un gruppo di monaci, di suore e di laici, recitando il rosario.
Anche questo è un messaggio simbolico che ci parla dell’unica ricostruzione possibile: quella che si fa in ginocchio, pregando.
Accanto alla preghiera occorre però l’azione, la lotta, la testimonianza pubblica della nostra fede nella Chiesa e nella Civiltà cristiana che risorgerà dalle macerie.
La Madonna a Fatima lo ha promesso. Ma prima del trionfo del Cuore Immacolato, la Beatissima Vergine ha previsto anche un castigo planetario per l’umanità impenitente. Bisogna avere il coraggio di ricordarlo.

RC n.120 – dicembre 2016 di Roberto de Mattei

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Dalla sodomia all’omosessualità

  In libreria: Dalla sodomia all’omosessualità.
Storia di una “normalizzazione”

 In Gender diktat (edito da Solfanelli nel 2014), Rodolfo de Mattei, responsabile del sito web osservatoriogender.it, aveva analizzato le radici ideologiche e le ricadute sociali della teoria del gender. Con il nuovo saggio Dalla sodomia all’omosessualità. Storia di una “normalizzazione” (Solfanelli, Chieti 2016, p. 168, € 13) ricostruisce invece il processo storico di “normalizzazione” dell’omosessualità.

Le continue pretese – pardon! rivendicazioni – della sparuta ma potente galassia LGBTQIA (ai “classici” invertiti gay, lesbiche, bisessuali e trans adesso si sono aggiunti queer – cioè “strani”: bestialisti, feticisti, sadomasochisti, coprofili, pedofili… – intersessuali e asessuati!), fanno sì che, a causa di un costante avvelenamento mentale che sta infettando la parte sana della società, poco alla volta, quelli che una volta erano bollati come “sodomiti” (ma le varie parlate italiane sono ricche di vocaboli più coloriti e comunemente utilizzati) siano definiti (e percepiti) come “omosessuali”, vocabolo normalizzatore che li mette sullo stesso piano degli “eterosessuali”. Probabilmente, l’utilizzo del binomio invertiti/normali ripristinerebbe la giusta gerarchia.

Invece, l’imposizione di un linguaggio politicamente corretto e la debordante presenza mediatica fa sì che il numero degli invertiti sia percepito come enormemente superiore – fino a venti volte! – alla loro effettiva presenza nella società dei normali. L’excursus storico tracciato dall’autore dimostra come questo processo di “normalizzazione”, sia il frutto di una precisa scelta ideologica e strategica attuata grazie all’impegno di intellettuali, militanti e movimenti organizzati al fine di trasformare in valore positivo ciò che la tradizione aveva sempre considerato come una delle più gravi violazioni della legge naturale e cristiana.

Nella seconda parte dell’opera, basandosi sugli studi scientifici più recenti, Rodolfo de Mattei smonta alcuni ricorrenti luoghi comuni riguardo la presunta “normalità” omosessuale, mettendone in evidenza la totale inconsistenza.

Si può guarire dall’inversione sessuale? Certo: gli studi dello scienziato genetista Neil Whitehead (1956-2012) sottolineano che «gli ex gay superano per numero gli attuali gay» e Obama, mettendo al bando le cosiddette “terapie riparative”, volte ad aiutare ragazzi ed adolescenti con problemi di identità sessuale, ha indirettamente confermato che una delle affermazioni più perentorie della propaganda omosessualista, quella secondi cui l’omosessualità non possa essere curata, è del tutto falsa.

Allora perché combattere una forma di cura? Perché, il discorso va oltre la semplice inversione sessuale: «alla radice della rivendicazione della “normalità” omosessuale vi è una assoluta esaltazione delle libertà individuali, svincolate da qualsiasi legame etico e trascendente, se infatti non esiste un criterio che trascende i soggetti, non vi sarà più un’etica, ma tante etiche quanti sono i soggetti, dunque nessuna» (p. 153). Come a dire che la mentalità liberale (in questo caso nella sua variante libertina) è alla radice di ogni male.

Infatti, sintetizza de Mattei: «La “genderfluidità” (…) rappresenta l’approdo logico e coerente di una ideologia schizofrenica che rifiuta, per principio, etichette o categorizzazioni sessuali. In questa ottica, qualsiasi schema sessuale, dall’eterosessualità all’omosessualità, viene visto come una limitante gabbia socio-culturale da cui liberarsi. (…) La promozione della “genderfluidità” da parte degli ideologi del gender costituisce, in ultima analisi, l’applicazione alla sfera sessuale della “teoria del caos”, il cui fulcro è la negazione del principio di ordine e casualità presente in ogni ambito dell’universo. Il risultato finale non può che essere la dissoluzione della sessualità, ma anche dell’individuo e della società» (p. 90).

(di Gianandrea de Antonellis per http://www.corrispondenzaromana.it/dalla-sodomia-allomosessualita-di-rodolfo-de-mattei/)

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Qual’è stato il processo storico che ha portato all’odierna “normalità” omosessuale ? Rodolfo de Mattei cerca di rispondere a tale quesito nel suo secondo libro, dopo “Gender Diktat“, edito da Edizioni Solfanelli intitolato “Dalla sodomia all’omosessualità. Storia di una normalizzazione”. Il saggio si propone di delineare alcuni passaggi chiave di quello che l’autore definisce appunto il “processo di normalizzazione” dell’omosessualità, del quale la teoria del gender è una delle due facce della stessa medaglia.

Il termine “omosessualità” – si legge sulla quarta di copertina – è stato utilizzato, a partire dalla fine del XIX secolo, per “normalizzare” quelli che fino ad allora erano identificati come “atti contro natura” o, secondo la terminologia biblica, “sodomitici”.

L’excursus storico tracciato dall’autore, dimostra come questo processo di “normalizzazione”, sia il frutto di una precisa scelta ideologica e strategica attuata grazie all’impegno di intellettuali, militanti, e movimenti organizzati, al fine di trasformare in valore positivo ciò che la tradizione aveva sempre considerato come una delle più gravi violazioni della legge naturale e cristiana.

Nella seconda parte dell’opera, basandosi sugli studi scientifici più recenti, Rodolfo de Mattei smonta alcuni ricorrenti luoghi comuni riguardo la presunta “normalità” omosessuale, mettendone in evidenza la totale inconsistenza.

Per ordinare il libro scrivere a info@osservatoriogender.it .


https://www.osservatoriogender.it/libreria-dalla-sodomia-allomosessualita-storia-normalizzazione/

Di seguito proponiamo per i lettori dell’Osservatorio Gender, il primo paragrafo del capitolo I del libro, intitolato: “Omosessualità: una invenzione moderna“.

Il processo di “normalizzazione” dell’omosessualità”

La teorizzazione dell’omosessualità, e quella della indistinzione dell’identità sessuale, costituiscono infatti due facce della stessa medaglia, condividendo i medesimi obiettivi, volti ad abbattere la legge naturale, in nome della illimitata auto-determinazione sessuale.

Se il movimento omosessuale rappresenta il volto sfrontato e duro delle rivendicazioni LGBTQIA (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer, Intersex, Asexual), il movimento gender costituisce la retroguardia, il lato nascosto e, per così dire, “soft” di questo epocale processo di sovvertimento. Il primo adotta una strategia di azione schietta e “frontale”, rivendicando apertamente i propri presunti diritti, mentre il secondo opta per una tattica subdola e “trasversale”, ma non per questo meno efficace e violenta, al fine di raggiungere i propri scopi, attraverso ambigui programmi politici e profonde infiltrazioni all’interno dei più influenti organismi internazionali.

Come risultato di questa duplice manovra a tenaglia, negli ultimi tempi il processo di normalizzazione dell’omosessualità ha conquistato larghi strati dell’opinione pubblica e del sentire comune, e si fa strada l’idea secondo cui mascolinità e femminilità non sarebbero categorie date e immutabili, quanto ruoli da scegliere ed “apprendere” in famiglia e nella società in generale. Secondo i teorici dell’omosessualismo e dell’ideologia del gender, la virilità, la femminilità, la paternità, la maternità sono mere categorie socio-culturali che vengono costruite e plasmate all’interno di dinamiche famigliari e sociali.

Infatti, il processo di normalizzazione dell’omosessualità come tutti i falsi processi è costruito sull’inganno e sulle menzogne.

Tra quest’ultime, due in particolare spiccano per sedimentazione nell’indottrinata ed anestetizzata coscienza dell’odierna opinione pubblica: che gli omosessuali siano ovunque e che il comportamento omosessuale sia del tutto normale ed equivalente a quello eterosessuale. Due bugie che, nonostante fossero enormi, grazie all’influente appoggio mass-mediatico e dell’establishment “culturale” o dell’intellighenzia alla moda,, sono state in grado di attecchire nella mentalità comune, attraverso il rodato meccanismo descritto a suo tempo dal celebre pensatore cattolico Joseph de Maistre (1753-1821):

«Le bugie somigliano alle monete false: coniate da qualche malvivente sono poi spese da persone oneste, che perpetuano il crimine senza saperlo. Così la bugia, soprattutto se detta da persona autorevole o di successo, corre in tutte le direzioni  e lentamente si trasforma in verità, se non ci sottomettiamo alla fatica della verifica e della critica».

Recenti sondaggi hanno infatti dimostrato come la maggior parte degli americani pensano che gli omosessuali siano molto più numerosi di quanto effettivamente lo siano nella realtà.

Secondo “Gallup”, il noto istituto statunitense per le ricerche statistiche, la maggior parte della popolazione ritiene che il 25% della popolazione sia omosessuale, cifra che, tra i cosiddetti “millennials”, ossia i giovanissimi, coloro che sono più confusi e bombardati dalla martellante propaganda omosessualista, arriva addirittura al 30%. Numeri da far impallidire Alfred Kinsey (1894-1956), il sessuologo americano che, con i suoi tanto sbandierati quanto scientificamente inattendibili studi, si era fermato ad un “misero” 10%.

La lettura di studi seri ed onesti riporta tutt’altro. Austin Ruse, presidente dell’Istituto di ricerca statunitense, “C-FAM” (Center for Family & Human Rights), a tale proposito, in un articolo pubblicato sul quotidiano on-line “Crisis Magazine”, sottolinea come la “Ricerca Laumann”, condotta dalla University of Chicago nel 1994, ed un altro recente studio realizzato dai “Centers for Disease Control and Prevention”(CDC), delineino un quadro completamente differente.

Secondo “CDC”, importante organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti, nota infatti Austin Ruse, «vi sono 1,8 % di uomini omosessuali e 1,4 % di donne lesbiche, corrispondenti, rispettivamente a 2,1 milioni di uomini e 1,7 milioni di donne. Una cifra che è meno della metà del numero dei metodisti presenti negli Stati Uniti».

Dati analoghi sono stati rilevati nel Regno Unito nel 2014 dall’“Office for National Statistics”, che nel suo “Integrated Household Survey’’, un’indagine sull’identità sessuale che ha coinvolto 178,197 persone, ha ottenuto i seguenti risultati: il 93,5% si è dichiarato “eterosessuale”, l’1,1% ha affermato di essere “gay” o “lesbica”, un 0,4% si è detto bisessuale, mentre la frazione rimanente non ha risposto o ha detto di non avere un’opinione in proposito.

Data per acquisita la prima bugia, ossia che gli omosessuali siano “ovunque”, il secondo automatico e logico passo è stato la successiva metabolizzazione sociale dei rapporti tra persone dello stesso sesso, grazie al cambiamento e all’“evolversi” della mentalità comune, in conseguenza della sempre più frequente ed invadente “sovraesposizione omosessuale”.

Lo scrittore americano Robert R. Reilly, nel suo interessante libro Making Gay Ok, ha ben  descritto tale metamorfosi, frutto del “potere di razionalizzazione” dell’omosessualità, raccontando l’emblematica vicenda dello storico attivista gay, Franklin Kameny (1925-2011), accolto con tutti gli onori alla Casa Bianca, il 29 giugno 2009, assieme ad altri 250 leaders LGBT, e insignito di un premio speciale dal presidente Barack Obama con le seguenti parole: «Noi siamo orgogliosi di te, Frank, e ti siamo infinitamente grati per la tua leadership».

La storia personale di Kameny, noto per aver coniato il celebre ed efficace slogan “gay is good”, è un paradigma della straordinaria parabola ascendente vissuta dall’omosessualità, passata nello spazio di pochi decenni, da un comportamento immorale e illegale, giustamente censurato socialmente, alla sua completa legittimazione pubblica.

Proprio nei dintorni della Casa Bianca, precisamente all’interno di “Lafayette Park”, luogo di ritrovo per omosessuali in cerca di avventure, Kameny era stato infatti arrestato nel 1957; portato di fronte alla Corte Suprema, l’imputato si era difeso e aveva rivendicato la moralità e la normalità degli atti omosessuali, dichiarando:

«Sotto il nostro sistema, la moralità è una materia di opzione personale e credenza individuale sulle quali il cittadino americano può avere qualsiasi visione vuole e sulla quale il governo non ha, in alcun modo, né potere né autorità. Per questo, nella mia visione, l’omosessualità non solo non è immorale ma affermativamente morale».

Oggi Kameny, scomparso nel 2011, è presentato e ricordato come un “eroe” dei diritti umani e nessuno osa criticare le sue ultime esternazioni (2008) al sito statunitense “American for Truth”:

«Lasciateci avere più e migliori soddisfazioni di sempre maggiori e nuove perversioni sessuali, di qualsiasi tipo, da sempre di più adulti consenzienti […] Se la bestialità con animali consenzienti dà felicità ad alcune persone, lasciatele avere questa felicità. Questo è l’Americanismo in azione».

“Americanismo” inteso quindi come rivendicazione di uno stile di vita svincolato da qualsiasi freno o limite morale, così come espressamente dichiarato anche dall’attivista lesbica indio-americana, Urvashi Vaid: «Noi abbiamo un’agenda che prevede la creazione di una società nella quale l’omosessualità è ritenuta come salutare, naturale e normale. Per me questo è il punto più importante dell’agenda».

L’incoronazione dell’icona gay Kameny presso la Casa Bianca rappresenta dunque l’emblematica chiusura di un cerchio ideologico che, nello spazio di qualche decennio, ha portato alla completa accettazione e metabolizzazione sociale dell’omosessualità.

In realtà, sebbene individui con tendenze e inclinazioni verso persone dello stesso sesso siano sempre esistiti, la dicotomia eterosessuale/omosessuale, come la intendiamo oggi – per non parlare del poco decifrabile, e sempre più lungo e “inclusivo”, acronimo LGBTQIA – è sempre stata, nel corso della storia, qualcosa di sconosciuto e inconcepibile. L’unico comportamento sessuale accettato e considerato normale era l’eterosessualità. Tutto il resto, seppur fosse più o meno presente nella società, secondo la decadenza dei tempi, rientrava, in quanto contro natura, nelle categorie della perversione e della devianza sessuale.

La normalizzazione sociale delle unioni tra persone dello stesso sesso costituisce non solo una novità, ma un fenomeno, oltre che inedito, perfino più scandaloso dell’introduzione del divorzio e dell’aborto nella società, entrambi “accettati” nell’ordinamento legislativo, ma presentati come “soluzioni estreme”, ossia “mali minori” da tollerare ma pur sempre mali.

Al contrario, la legalizzazione dell’omosessualità viene fatta in nome della sua pretesa bontà e normalità intrinseca, trasformando dunque un male assoluto in un bene assoluto da diffondere e promuovere nella società come modello pienamente positivo.

Oltre a ciò, la gravità inedita della legittimazione dell’omosessualità, che ha il suo punto di approdo nel cosiddetto “matrimonio omosessuale”, è rappresentata dal suo carattere pubblico e permanente.

In questo senso, l’omosessualità è uno scandalo pubblico senza precedenti, proprio perché sdogana e promuove come “buoni”, comportamenti perversi che vanno contro la natura dell’uomo e che perciò possono essere legittimamente definiti “anormali”. Uno scandalo, per così dire, alla luce del sole, che si perpetua e manifesta ogni giorno attraverso legami pubblici e stabili rappresentati dalle “famiglie” same-sex. Per questo, nessuna società, nel corso di più di duemila anni di storia, ha mai legittimato o legalizzato l’unione tra persone dello stesso sesso.

(tratto da Dalla sodomia all’omosessualità. Storia di una “normalizzazione” – Rodolfo de Mattei, Solfanelli, Chieti 2016)

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Contemplando il Presepio

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 Contemplando il Presepio

 

La devozione al Santo Presepio è una devozione per tutti i tempi, ma particolarmente per quelli difficili in cui viviamo. Con la parola Presepio non intendiamo solo, nel senso stretto del termine, la mangiatoia in cui venne deposto Gesù Bambino, che si venera a Roma nella Basilica di Santa Maria Maggiore, conosciuta per questo come S. Maria ad praesepem. Oggetto della nostra venerazione è il grande scenario della Natività di nostro Signore, come è stato rappresentato, da tanti devoti ed artisti nel corso dei secoli.

Lo scenario che contempliamo in amoroso silenzio ci presenta un evento che è, allo stesso tempo, storico ed eterno. È uno scenario storico, non mitico o fantasioso, perché rappresenta ciò che avvenne realmente, il 25 dicembre dell’anno 753, o 748, come sostengono alcuni, dalla fondazione di Roma, in un preciso luogo storico, una grotta di Betlemme, in Palestina. Rifiutiamo la distinzione modernista tra il Gesù storico e il Gesù della fede e affermiamo prima di tutto una verità storica. Su questo fondamento storico si appoggia la nostra fede, che è l’assenso razionale che prestiamo alle parole del Vangelo. A queste parole, divinamente ispirate, la Sacra Tradizione della Chiesa ha aggiunto altri elementi che concorrono ad offrirci il quadro completo di quanto avvenne a Betlemme tra il 25 dicembre e l’Epifania.

Lo scenario storico ha anche una sua esemplarità perenne. Davanti a noi non è solo la Sacra Famiglia, ma un microcosmo che dalla nuda terra della Grotta si estende al firmamento stellato. Tutta la natura inanimata rende gloria al suo Creatore con la sua sola presenza. Il bue, l’asinello e le pecore rappresentano il mondo animale che dà gloria al Signore attraverso la sua sottomissione all’uomo, re del creato. I Pastori e i Re Magi offrono l’immagine di una società gerarchicamente ordinata che converge nell’adorare Gesù.

I Cori Angelici, anch’essi gerarchicamente ordinati, adorano e riveriscono il loro Signore. Con il bagliore che irradiano e il tripudio dei loro canti, gli Angeli trasfigurano l’atmosfera. È grazie ad essi che la capanna si trasforma in una reggia, la paglia splende come oro purissimo, le pietre brillano come rari gioielli. Maria e Giuseppe al centro della scena, ci offrono il modello di un’assoluta conformità alla Volontà divina, di una perfetta adorazione del Mistero dell’Incarnazione, di un’unione mistica trasformante con l’uomo-Dio che diviene visibile. Gesù Cristo regna sulla mangiatoia, che è il suo trono di amore. Ma il mistero di amore è anche un mistero di giustizia.

Il Presepio, osserva il padre Nepveu è anche il Tribunale di Giustizia di Gesù, perché egli vi pronunzia la sentenza che un giorno sarà pronunziata contro il mondo: Vae Mundo (Mt 18, 7): guai a chi segue il mondo! Guai ai superbi, ai sensuali, agli effeminati, perché il loro è uno stato di opposizione allo stato di Gesù nel Presepio. Gesù nel Presepio è la Verità che dissipa le tenebre in cui sono immersi gli erranti; è la Via che conduce coloro che hanno perso il cammino; è la Vita che viene infusa in chi decade e muore.

Gesù sa ciò che noi non sappiamo, può ciò che noi non possiamo, ci muove a offrirgli quell’amore che vogliamo dargli, ma di cui non siamo capaci. Amiamo Gesù nel Presepio e amiamo il Presepio in Lui. Odiamo con quell’odio che significa radicale separazione dal male e totale unione al bene, tutti coloro che odiano il Presepio e vorrebbero bandirlo dalle nostre città e dalle nostre case. Combattiamo per difendere il Presepio perché combattiamo per difendere la Civiltà cristiana di cui il Presepio è modello.

Nel Presepio regna l’ordine, che è la retta disposizione delle cose, e perciò regna la pace, che è la tranquillità dell’ordine. Il Presepio si oppone al caos contemporaneo e prefigura l’ordine sacrale del Regno di Maria che la Madonna ha promesso a Fatima. Alla vigilia delle lotte che ci attendono nel 2017 il nostro cuore riposa in questi giorni nel Santo Presepio.

(Roberto de Mattei, per Corrispondenza Romana http://www.corrispondenzaromana.it/contemplando-il-presepio/)

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Diciamo NO alla normalità gay su RaiTre

 Gandolfini (Family day): su Rai 3 indottrinamento gender in prima serata

Siamo sconcertati e condanniamo fermamente che in prima serata, nella fascia di maggiore ascolto, RAI 3 abbia messo in onda il programma “Stato Civile”, con un’operazione culturale a favore delle unioni omosessuali e dell’"omogenitorialità" (senza alcuno scrupolo nell’utilizzo strumentale di bambini e minori), priva di alcun contraddittorio e con il sapore di una vera e propria colonizzazione ideologica.

È a tutti ben noto quanto divisivo sia stato il percorso dell’approvazione della legge sulle unioni civili assimilate al matrimonio, imposta con due voti di fiducia, contro la volontà popolare espressa in due Family Day da milioni di persone. Questo popolo ha mantenuto la promessa e si è ricordato di chi sta lavorando contro la famiglia, dichiarando il suo NO nel recente voto referendario. U

n NO sempre e a chiunque sostiene campagne ed azioni culturali e politiche contro il diritto dei bimbi di avere mamma e papà e a chi vuole colonizzare le menti dei più giovani, equiparando l’unione gay al matrimonio, proponendo il supermercato delle tipologie di famiglie.

Il programma, pur non esplicitandola mai, è strumento di quell’ideologia gender, che rende possibile identità di genere variabili e che Papa Francesco ha definito “uno sbaglio della mente umana”. È in atto un indottrinamento ideologico indegno di uno stato democratico, con l’imposizione di una morale di stato che offende le radici storico-culturali del popolo italiano.

Chiediamo quindi ai vertici RAI, alla Commissione Vigilanza, alle forze politiche ed ai singoli parlamentari di prendere posizione e di fermare questo abuso mediatico e culturale, dando forma ad una par condicio che preveda un dibattito pubblico in cui si possa far sentire la nostra voce,
sempre ignorata ed oscurata, in sfregio ai principi democratici. Alle forze e agli uomini politici in particolare indirizziamo il nostro monito, molto concreto, al momento del voto, presto o tardi che sia: ce ne ricorderemo!
Non abbiamo nessuna intenzione di fermarci ed attendiamo risposte concrete.
Roma, 27 dicembre 2016
Comitato Difendiamo i Nostri Figli

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Una petizione al link: https://www.osservatoriogender.it/stato-civile

 

Le normalizzazione LGBT arriva in prima serata sulle emittenti pubbliche italiane con il programma di Rai 3 condotto da Daria Bignardi, “Stato Civile” che andrà in onda per cinque giorni di fila, il 26, 27, 28, 29 e 30 dicembre, alle 20,05 invece che alle 23, orario in cui era stato trasmesso finora. 

L’obiettivo è quello di entrare nelle case degli italiani all’orario di punta per raccontare e spiegare la “normalità” di ogni tipo di amore, in special modo di quello omosessuale.

Una delle prime a festeggiare per l’inattesa promozione del programa, dalla seconda alla prima serata, è la stessa “madre” della legge, la senatrice Pd Monica Cirinnà che sul suo profilo “Facebook” ha così accolto la piacevole novità:

Le Unioni Civili arrivano in prima serata su Rai3:#StatoCivile. In prima visione il 26, 27, 28, 29 e 30 alle 20.05. Daria Bignardi coraggiosa!

Stato Civile, la cui prima puntata è andata in onda giovedì 3 novembre, si propone dunque di raccontare, in chiave moderna, sotto forma di docureality, le prime unioni civili celebrate in Italia, mettendone in risalto l’assoluta normalità.

Il programma, che vuole essere un inno ad ogni tipo di unione, a prescindere dal sesso dei componenti, tuttavia sceglie in maniera astuta ed accurata le storie da raccontare, presentando come regola quello che nella realtà costituisce una rarissima eccezione.

Un copione scontato, andato in onda già dalla prima puntata con la storia di Orlando e Bruno, due ultrasettantenni che guarda caso stanno insieme da 52 lunghissimi anni e che nel 2016, grazie al ddl Cirinnà, hanno finalmente hanno potuto coronare il loro sogno d’amore.

OPERAZIONE IDEOLOGICA SENZA PRECEDENTI

In questa prospettiva, il programma della Bignardi rappresenta una vera e propria operazione di indottrinamento ideologico che adotta un metodo noto della propaganda LGBT, esplicitamente teorizzato nel manuale di tattica politica del movimento omosessualista, After the Ball: How America Will Conquer Its Fear & Hatred of Gays in the 90s, pubblicato nel 1989 da Marshall Kirk e Hunter Madsen.

In After the Ball, i due omosessuali educati ad Harvard che con il loro scritto si ponevano l’obiettivo di rilanciare l’azione omosessualista negli Stati Unit, spiegarono chiaramente come la nuova strategia gay avrebbe dovuto adottare tre differenti modalità tattiche di approccio, corrispondenti ad altrettanti gruppi di persone diverse:

  1. quelli fermamente contrari all’omosessualità da isolare e silenziare;
  2. gli indecisi della “Middle America”, da desensibilizzare e convertire;
  3. e per ultimi quelli già “gay friendly”, da mobilitare per la causa omosessuale.

Per ottenere risultati occorreva agire simultaneamente su tutti e tre i fronti anche se quello decisivo, sul quale sarebbe stato determinante concentrare gli sforzi, era quello degli indecisi, definiti dagli autorigli ambivalenti scettici“.

Nei confronti di ognuno di queste gruppi venne stilato un accurato prontuario di suggerimenti e raccomandazioni, “pensato su misura”, per raggiungere i risultati prefissati.

In particolare, per il pubblico degli indecisi si legge:

 

«indebolisci l’opposizione religiosa all’omosessualità mischiando le acque. Dividi e conquista. Fai scontrare tra loro le chiese liberali e moderate con quelle conservatrici; nelle TV commerciali non tirar fuori donne mascoline, drag queen e così via. Invece presenta le persone dall’aspetto più ordinario: mostra immagini di giovani, donne di mezz’età, persone più vecchie che sono genitori o amici di omosessuali; presenta grandi personaggi storici omosessuali. (…) L’idea che l’omosessualità è associata con la grandezza scuote le credenze delle persone».

IL TARGET SONO GLI SCETTICI

Il metodo adottato dal programma lo “Stato Civile” è identico. Il target di pubblico di riferimento sono gligli ambivalenti scettici“, da incantare e conquistare attraverso una seducente trama costruita a tavolino che mostri rigorosamente solo il volto “bello” e “rassicurante” delle relazioni omosex. Non una parola su infedeltà, malattie, figli allevati senza una madre o un padre, ecc.

In tale ottica, spazio solo a relazioni lunghe e solidissime, con il chiaro intento di spiazzare e smentire il pubblico degli “ambivalenti scettici”, istintivamente, per natura, diffidente di fronte a unioni tra due donne o due uomini, ma che di fronte a “tanta normalità” creata ad arte rimane confuse e titubante finendo coll’abboccare all’abile trappola.

Alla luce di tali considerazioni, la messa in onda del programma “Stato Civile” sulle nostri reti pubbliche in prima serata, lungi dall’essere un lodevole servizio pubblico, rappresenta in realtà un’intollerabile e prepotente imposizione ideologica, volta unicamente a creare disinformazione al fine di piegare gli indecisi o “ambivalenti scetticial diktat etico contemporaneo.

 

Di Rodolfo de Mattei, per https://www.osservatoriogender.it/stato-civile-il-gender-diktat-va-in-onda-in-prima-serata-su-rai3/?refresh_cens

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Nuovo E-Book scaricabile gratuitamente: memorie di Suor Lucia

  • Categoria dell'articolo:Madonna

Gentile amico,
come ha potuto vedere, da qualche mese abbiamo ripreso le attività e la distribuzione di libri gratuiti. Dal 2009 non si chiedeva più il sostegno dei nostri lettori: lo facciamo oggi, rimandando alla pagina apposita: https://www.totustuus.it/comeaiutarci.htm

 

Il nuovo E-Book scaricabile gratuitamente

Da oggi è scaricabile gratuitamente il libro

Memorie di Suor Lucia
(clicca qui per scaricare)

La 8a edizione del primo volume delle Memorie di Suor Lucia in lingua italiana è stata arricchita: alle prime quattro Memorie, scritte per ordine del Vescovo di Leiria, Mons. José Alves Correia da Silva, e alle Appendici I e II, relative alle apparizioni in Pontevedra e Tuy – per compiere la promessa del 13 luglio 1917: «… verrò a chiedere la Consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato e la Comunione Riparatrice nei primi sabati», viene aggiunto ora il testo dell’importante documento intitolato «Il Messaggio di Fatima», con la terza parte del «segreto», che Giovanni Paolo Il aveva affidato alla Congregazione per la Dottrina della Fede con l’incarico di renderlo pubblico dopo aver elaborato un adeguato commento.
Con la pubblicazione della terza parte del «segreto» che i Pastorelli hanno ricevuto dalla Madonna il 13 luglio 1917 (vedere Appendice III), è così contenuto in questo primo volume tutto il Messaggio di Fatima. Queste prime quattro «Memorie», oltre che le apparizioni dell’Angelo e della Madonna, descrivono anche come i Pastorelli hanno risposto alle richieste della Madonna, e indicano a noi tutti, ed in modo speciale ai bambini, un cammino sicuro per raggiungere la santità.

Altri E-Book ritrovati

Sono inoltre state recuperate sette opere del Padre Perrone S.I. che, benché scritte nel secolo scorso, danno un’utile visione del protestantesimo: Catechismo sul protestantesimo per il popolo – I valdesi – Il protestantesimo svelato –  L'idea cristiana di Chiesa avverata nel cattolicesimo – L'idea di Chiesa distrutta dal protestantesimo – Studi teologici sul protestantesimo (I e II volume).
(Clicca qui per scaricare)

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L’Unicef a favore dell’eutanasia infantile?

  • Categoria dell'articolo:Vita

 Canada. L’Unicef chiede al Parlamento di estendere l’eutanasia ai bambini

L’organo ufficiale dell’Onu deputato a «tutelare i bambini» e a garantirne il «diritto a sopravvivere» ha proposto ufficialmente che il diritto di morire venga «esteso ai minori maturi» come i 16enni depressi.

L’Unicef invoca l’eutanasia per i bambini. L’organo ufficiale dell’Onu deputato a «tutelare i bambini» fa aperta campagna per la loro uccisione in Canada. Non si tratta di una voce di corridoio o dell’indiscrezione di qualche gola profonda, ma delle parole pronunciate a Ottawa davanti al Parlamento da Marvin Bernstein, avvocato filantropo e Chief Policy Advisor di Unicef Canada.

«EUTANASIA PER I MINORI MATURI». «L’aiuto medico a morire è stato previsto per gli adulti competenti. Sorge spontanea la domanda: perché non per gli altri gruppi di persone come i minori maturi?», ha dichiarato il 12 maggio Bernstein davanti alla commissione Affari legali e costituzionali del Senato canadese. «Questa domanda richiede una risposta e noi come Unicef Canada certamente sosteniamo l’estensione di questo diritto».

LA CORTE SUPREMA. La legge sull’eutanasia verrà votata dal Parlamento il 6 giugno dopo che l’anno scorso, a febbraio, la Corte suprema del paese ha dichiarato incostituzionale la proibizione del suicidio assistito e dell’eutanasia contenuta nel Codice penale. Per questo ha dato un anno di tempo alla politica per approvare una legge specifica. Il testo che dovrebbe essere votato permette a tutti gli adulti che soffrono in modo insopportabile per cause fisiche o mentali di richiedere la morte. Non è necessario essere affetti da malattie terminali.

PERCORSO A TAPPE IPOCRITA. Secondo Unicef, l’eutanasia minorile, già approvata in Belgio, dovrebbe diventare legge secondo un preciso «percorso a tappe». Prima l’eutanasia per tutti gli adulti competenti, poi, dopo «tre anni di studi sui possibili effetti della legge sui minori» e su come evitare «manipolazioni» garantendo «precise tutele», dovrebbe essere estesa «non a tutti i bambini, ma solo ai minori maturi». La proposta è di rara ipocrisia: specificare che solo i minori maturi, e non tutti i bambini, dovrebbero avere accesso alla “buona morte” non ha senso, non esistendo un criterio oggettivo per stabilire la presunta maturità. Perché poi un bambino dovrebbe essere maturo per chiedere allo Stato di ucciderlo e non per guidare o votare? Allo stesso modo, studiare i «possibili effetti» della legge sui bambini è un controsenso: quali effetti più gravi della morte del bambino stesso può causare la legge? Per quanto riguarda manipolazioni e tutele il discorso è altrettanto insensato, visto che è proprio l’introduzione della legge a manipolare, ventilando l’idea che il suicidio è una soluzione accettabile davanti alla sofferenza.

ANCHE I 16ENNI DEPRESSI. Bernstein non si pone questi problemi ma sottolinea che l’eutanasia minorile è «coerente con la Convenzione sui diritti dell’infanzia». Per Unicef, spiega il responsabile, i bambini devono poter essere uccisi anche in assenza di una malattia terminale e anche per motivi psicologici. Alla domanda di un senatore, se «un 16enne depresso» dovrebbe poter essere ucciso in base alla legge, Bernstein ha risposto candidamente: «Sì».

KILL THE CHILDREN. La svolta è importante per un’organizzazione che ha come scopo quello di «contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dei bambini» e che sviluppa i suoi programmi in tutto il mondo per «salvaguardare il diritto umano più fondamentale di tutti: il diritto di un bambino a sopravvivere». Come si concilia questa missione con la richiesta di estendere l’eutanasia ai più piccoli? L’Unicef non è l’unica organizzazione che si batte per i diritti dei bambini a richiedere la loro uccisione. Già nel 2014 Save the Children, insieme ad altre sigle riunite sotto il nome “Together”, aveva chiesto alla Scozia di estendere il suicidio assistito anche ai minori perché «le malattie terminali non discriminano le persone in base alla loro età, di conseguenza anche la sanità non dovrebbe farlo». Anche per Unicef i «minori maturi» non devono essere discriminati. Al massimo uccisi.

 
 

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Il Natale delle due Terese

  • Categoria dell'articolo:Devozione

 Non vi è cosa che riesca più difficile all’uomo moderno, il cosiddetto cattolico “adulto”, quanto esercitarsi nelle piccole virtù, nel silenzio e lontano dagli sguardi umani, avendo per testimone Dio solo. Non senza ragione il Signore volle darci il Suo esempio affinché più facilmente potessimo seguire questa via. Ecco perché è necessario tenere i nostri occhi per tutta la vita fissi sugli “abbassamenti di Betlemme”.

A questa scuola fu istruita la grande riformatrice del Carmelo, S. Teresa d’Avila, e ad essa volle che attingessero i figli e le figlie del Carmelo. Si racconta nella vita della Santa che un giorno, nel monastero dell’Incarnazione di Avila, mentre stava scendendo le scale, incontrò un bel bambino che le sorrideva. La Santa, sorpresa di vedere un bambino all’interno della clausura del Monastero, gli chiese: “E tu chi sei?”. Ma il bambino rispose con un’altra domanda: «E tu chi sei?». La Santa replicò: «Io sono Teresa di Gesù». Il Bambino, con un sorriso ampio e luminoso, le disse: «Io sono Gesù di Teresa».

A questo emblematico episodio si può far risalire la speciale devozione che la grande Riformatrice del Carmelo ebbe per l’Infanzia del Signore. In tutte le sue fondazioni non mancarono mai le statue di Gesù Bambino, delle quali la Santa ere particolarmente devota. Si tramanda che ne avesse diverse. Aveva, per esempio, un Bambino al quale ricorreva quando desiderava che piovesse o non piovesse; un altro a cui si rivolgeva quando doveva pagare dei debiti e non sapeva come pagarli, e così via.

Ognuno dei “suoi” Bambini aveva il suo compito! Voleva, inoltre, che le austerità del Carmelo durante il tempo natalizio fossero temperate e rallegrate con canti di esultanza e pie ricreazioni. Non solo. Per accrescere la gioia spirituale delle monache, la Santa soleva comporre versi da cantare portando in processione le statue della Madonna e di S. Giuseppe attraverso il Monastero. Una volta insegnò alle monache più anziane a cantare il ritornello di un canto da lei composto che diceva: Destatevi, Sorelle mie! Ecco viene la Vergine, che ha dato alla luce il suo Figlio e suo Dio. Piena di devozione e di gioia, la Santa chiedeva alle suore di dare ospitalità al Divin Bambino, alla Sua Santa Madre e al suo sposo S. Giuseppe, di cui era particolarmente devota.

La devozione della Santa al Divin Infante fu anche testimoniata da un miracolo, avvenuto nel Carmelo di Toledo, dove la statua del Piccolo Gesù – portata dalla Santa stessa in occasione della fondazione di quel Monastero nel 1569 – pianse quando la grande Riformatrice doveva lasciare il Monastero.

Così è scritto nel museo del convento che custodisce questo tesoro: «Il giorno 8 giugno 1580, Santa Teresa si congedava dalle sue religiose di Toledo per recarsi a Segovia. Il cuore naturalmente affettuoso della Santa soffriva molto in questi congedi, soprattutto quando pensava che non avrebbe rivisto le sue figlie. Quella volta né lei né le sue amate religiose si sbagliavano, perché tutte presentivano che la Madre era giunta al termine del suo viaggio terreno. Secondo una pia tradizione, perfino un’immagine del Bambino Gesù si associò al dolore delle monache, versando lacrime quando la Santa abbandonò il suo amato convento di Toledo. Da allora questa immagine viene chiamata con il soprannome affettuoso di ‘Niño Lloroncito’».

La devozione alla santa Infanzia si radica, dunque, nell’esperienza mistica della Riformatrice spagnola. Passando attraverso le figure di altre illustri figlie del Carmelo, come la Venerabile Margherita del SS. Sacramento (1619-1648), del Carmelo di Beaune, e Suor Maria di S. Pietro (1816-1848), del Carmelo di Tours, che contribuirono a sviluppare e diffondere tale devozione, essa approda infine al piccolo Fiore di Lisieux, S. Teresina, destinata dalla Provvidenza ad essere la Maestra della “Piccola Via”, sulle orme del Bambino di Betlemme. 

L’ascesa verso il monte della perfezione iniziò per la piccola Teresa in tenera età. Ma fu nel Natale del 1886 che, accogliendo nel suo cuore il Dio fattosi uomo, questa tenera fanciulla, che, come scrisse ella stessa, piangeva per dei nonnulla, sperimentò un radicale “cambiamento” della sua vita o, piuttosto, quella che definì la sua «completa conversione». «In un istante – scrisse – l’opera che non ero riuscita a fare in 10 anni, Gesù la fece accontentandosi della mia buona volontà».

Era la notte di Natale. Dopo la Messa di mezzanotte, nella quale aveva “avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente”, «Gesù, il Bambino piccolo e dolce, trasformò la notte dell’anima mia in torrenti di luce». Ripensando a quel momento, Teresa scrisse: «In quella notte nella quale Gesù si fece debole e sofferente per mio amore, Egli mi rese forte e coraggiosa».

Da quella notte Teresa camminò nella via del Signore con più lena e si sentì più sicura. «Dopo quella notte benedetta – ricorda –, non sono stata vinta in nessuna battaglia, ma ho camminato di vittoria in vittoria e ho iniziato, per così dire, una corsa da gigante».

Ogni anno festeggiava con la più grande devozione il 25 marzo – racconta la sorella Celina – perché, diceva, «questo è il giorno, nel quale Gesù, nel seno di Maria, è stato il più piccolo». Ma amava in modo del tutto particolare il mistero del presepe. È qui che il Bambino Gesù le rivelò tutti i suoi segreti sulla semplicità e sull’abbandono. Su immaginette natalizie che lei stessa dipingeva, scriveva con passione questa frase di san Bernardo: «Gesù, chi ti ha fatto così piccolo? L’amore!».

Il suo nome, Teresa del Bambino Gesù, che scelse fin dall’età di nove anni, resterà il suo costante programma di vita a cui si sforzò di restare fedele fino all’epilogo della sua breve vita. Più tardi, sotto un’immagine di Gesù Bambino scriverà questa frase: «O piccolo Bambino, mio unico tesoro, mi abbandono ai tuoi divini capricci, non voglio avere altra gioia che quella di farti sorridere. Imprimi in me le tue grazie e le tue virtù infantili, affinché il giorno della mia nascita al Cielo, gli angeli e i santi riconoscano nella tua piccola sposa: Teresa del Bambin Gesù».

È dal Bambino di Betlemme che la piccola Teresa attinse lo spirito d’infanzia, che era per lei soprattutto spirito d’umiltà e di piccolezza. Non perdeva occasione nella sua vita quotidiana al Carmelo per esercitarsi in questa “piccola via” e per istruirvi le altre.

Ecco come la sorella Celina sintetizza questa “via diretta per il Cielo”. Poiché la Santa si sentiva incapace di percorrere il duro cammino della perfezione, si sforzò di diventare sempre più piccola, affinché Dio si prendesse completamente cura delle sue cose, e la prendesse tra le sue braccia, come succede nelle famiglie per i bambini più piccoli. Voleva essere santa ma senza diventare grande, poiché, come le piccole malefatte dei bambini non fanno adirare i genitori, così le imperfezioni delle anime umili non possono offendere gravemente il buon Dio, e gli errori non saranno imputabili loro come colpa, secondo le parole della Scrittura: «Ai piccoli si perdona per pietà».

Di conseguenza si guardava bene dal desiderare di sentirsi perfetta e che gli altri la considerassero come tale, perché sarebbe cresciuta e Dio l’avrebbe lasciata camminare da sola. «I bambini non lavorano per farsi una posizione – diceva –; se sono saggi, lo fanno per far contenti i loro genitori. Allo stesso modo, non occorre lavorare per diventare santi, ma per fare piacere a Dio». “Forse – diceva a Celina – un padre sgrida il suo bambino quando egli si accusa da se stesso, o gli infligge un castigo? No davvero, ma se lo stringe al cuore».

E riportava la seguente storia ascoltata da bambina. Un re, in una partita di caccia, inseguiva un coniglio bianco, che i suoi cani erano sul punto di raggiungere, quando la bestiola, sentendosi perduta, ritornò indietro rapidamente e saltò tra le braccia del cacciatore. Costui, commosso da tanta fiducia, non volle più separasi dal coniglio bianco e non permetteva a nessuno di toccarlo, riservandosi di nutrirlo. «Così – commentava Teresa – il Buon Dio farà con noi se, perseguiti dalla giustizia figurata dai cani, cercheremo scampo nelle braccia stesse nel nostro Giudice!».

È tutta qui la sapienza della Santa di Lisieux. Essa consiste nel riconoscere, accettare, perfino amare la propria debolezza, senza tuttavia sottovalutare la corrispondenza personale. Essa non scusa il peccato ma vuole che, perdendo ogni illusione su se stessi, non confidando nei propri meriti, non appoggiandosi sulle proprie forze, l’anima si getti con slancio nell’amore misericordioso di Dio. La “piccola dottrina” della Santa di Lisieux non fa del peccato una semplice debolezza e della debolezza quasi una virtù, come spesso accade ai nostri giorni.

Tutt’altro. Le esigenze ascetiche della perfezione cristiana non subiscono nella sua “piccola via” alcun alleggerimento: non v’è in essa alcuna ombra di quietismo. «Occorre – diceva la Santa – fare tutto quello che è in noi, dare senza contare, rinunziare a sé costantemente, in una parola, provare il nostro amore con tutte le buone azioni in nostro potere. Ma, in verità, poiché tutto questo è poca cosa, è necessario confessarci servi inutili dopo aver fatto tutto quanto credevamo di dover fare, sperando tuttavia che il buon Dio ci darà per grazia tutto ciò che desideriamo. È quanto sperano le piccole anime che corrono sulla via dell’infanzia: dico corrono e non si riposano». Questo atteggiamento di povertà spirituale rende profittevoli anche le cadute. Scriveva: «I bambini cadono spesso, ma sono troppo piccoli per farsi un gran male».

Insegnava questa sapienza alle sue consorelle specialmente nel giorno di Natale quando – sull’esempio della sua Santa Madre – si industriava a scriver poemetti e ad organizzare pie ricreazioni, come quella nella quale un immaginario Angelo veniva a chiedere a ciascuna monaca di accogliere al Piccolo Gesù che, fattosi uomo, ha trovato sulla terra solo freddezza e indifferenza: «Le vostre carezze – cantava il messaggero celeste –, e lodi, e tenerezze, siano per il Bambinello! Bruciate d’amore, anime accese; ché un Dio s’è fatto mortale per voi. Stupendo mistero: chi vien mendicando è l’eterno Verbo! Sorelle mie, non temete, avvicinatevi, ed una ad una offrite a Gesù il vostro amore; saprete la sua santa volontà. V’insegnerò ciò che più brama il Bambinello in fasce, a voi che, pure come gli Angeli, avete in più che potete soffrire. Sempre, mai sempre, il vostro patire, e le gioie, siano per il Bambinello! Ardete d’amore, anime accese; ché un Dio s’è fatto mortale per voi. Stupendo mistero; chi vien mendicando è il Verbo eterno!».

Certamente – nota Celina – Teresa avrebbe gustato, se l’avesse conosciuta, questa preghiera di Bossuet: «Gran Dio… non lasciate giammai che alcuni spiriti, di cui alcuni si annoverano tra i dotti, altri tra gli spirituali, possano essere accusati al Vostro terribile tribunale di aver contribuito in qualche modo a chiuderVi l’accesso in non so quanti cuori, perché Voi volevate entrarvi in un modo la cui semplicità li urtava […]; piuttosto fate in modo che, diventando tutti piccoli come fanciulli, come Gesù Cristo comanda, noi possiamo entrare una buona volta per questa piccola porta, per poterla poi mostrare agli altri con più sicurezza e con più efficacia. Così sia».

Niente di strano se, alla sua ultima ora, questo grande prelato francese, che con la sua eloquenza aveva incantato intere platee, abbia pronunciato queste commoventi parole: «Se potessi ricominciare a vivere, non vorrei essere che un piccolo fanciullo che dà sempre la mano al Bambin Gesù».

È la lezione delle due Terese per questo Santo Natale.

(Cristiana de Magistris per www.corrispondenzaromana.it/il-natale-delle-due-terese/)

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Pillola omicidia: lecita l’obiezione di coscienza

  • Categoria dell'articolo:Vita

 La battaglia per il diritto all’obiezione di coscienza dei farmacisti fa segnare un importante novità con la sentenza emessa dal Tribunale di Gorizia. In attesa delle motivazioni, che arriveranno entro 90 giorni, i magistrati friulani hanno assolto una dottoressa triestina, E. M., assistita dagli avvocati Simone Pillon e Marzio Calacione con l’ausilio dei consulenti tecnici prof. Bruno Mozzanega e dott. Renzo Puccetti.

La farmacista era imputata del reato di omissione o rifiuto di atti di ufficio perché, in qualità di collaboratrice presso la farmacia comunale, e quindi incaricata di pubblico servizio, nel 2012, durante un turno notturno si era rifiutata di consegnare il Norlevo, la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, perché abortiva, nonostante l’esibizione di ricetta medica rilasciata con espressa indicazione di assumere il farmaco nella stessa giornata, appellandosi all’obiezione di coscienza e indicando la farmacia più vicina in cui l’avrebbe potuta acquistare.

Il Pubblico Ministero aveva chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche e la condanna a 4 di reclusione coi benefici di legge.

“Dopo tre anni di procedimento penale – spiegano i difensori – con tutto quello che ciò può comportare in termini personali, familiari e professionali, la nostra assistita ha visto riconosciute le sue sacrosante ragioni, conformemente a quanto previsto dall’art. 3 del codice deontologico dei farmacisti che recita: “Il farmacista deve operare in piena autonomia e coscienza professionale conformemente ai principi etici e tenendo sempre presenti i diritti del malato e il rispetto per la vita”.
In attesa di leggere le motivazioni si condivide sin d’ora questa decisione giudiziale saggia ed equilibrata che si pone come primo precedente giurisprudenziale in materia e ci si augura che processi penali simili non debbano più ripetersi e che i diritti costituzionalmente garantiti alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione di tutti gli esseri umani non siano più abbandonati al coraggio del singolo ma trovino pieno riconoscimento in un’apposita legge che prenda atto del pluralismo etico e della preminenza del diritto alla vita e alla libertà”.

Piero Uroda e Giorgio Falcon, rispettivamente presidente e vice dell’Unione cattolica farmacisti italiani, non nascondono la loro soddisfazione per un “risultato storico” e parlano apertamente di “ingiusta persecuzione per un comportamento erroneamente considerato ideologico”.
Le novità contenute in questa sentenza – affermano – non potranno essere disconosciute per il loro valore dirompente.
Per la prima volta viene riconosciuto a un farmacista la piena autonomia nel proprio ambito professionale fondata sul suo bagaglio culturale e morale.
Ci aspettiamo una piena consapevolezza e un costruttivo confronto all’interno della Fofi (la Federazione degli ordini dei farmacisti, ndr) alla luce delle nuove indicazioni giuridiche”.

Rifiutare di vendere farmaci abortivi non è un reato ma un diritto che rientra nell’obiezione di coscienza.
Siamo quindi molto contenti della decisione del Tribunale di Gorizia – ha commentato il presidente del Comitato promotore del Family day, Massimo Gandolfini – Ringrazio in particolar modo l’amico avv. Simone Pillon, membro del direttorio del Family day, e i colleghi e amici prof. Bruno Mozzanega e dott. Renzo Puccetti che col loro lavoro hanno contribuito ad ottenere questo straordinario risultato che segna una svolta nella giurisprudenza italiana.
Finalmente – continua Gandolfini – dopo anni di silenzi e di censure, è apparso chiaro a tutti che nessun professionista può essere costretto ad andare contro la propria coscienza con la minaccia della galera.
La caccia ideologica agli obiettori non trova nessuna giustificazione, anche perché i dati, diffusi pochi giorni fa dal Ministero della Salute, mostrano la facilità di accesso all’acquisto di pillole abortive, consentito anche senza ricetta, che è infatti aumentato di circa il 400% dal 2012 a oggi”.

“E’ stato un onore difendere una donna tanto umile quanto determinata – conclude Pillon – Ora ci aspettiamo che il parlamento approvi nel più breve tempo possibile una norma che tuteli la libertà di coscienza, anche perché non possiamo lasciare al coraggio dei singoli, per quanto grande, il presidio dei più elementari principi etici e il rispetto della vita”.

Da: http://www.interris.it/2016/12/20/109212/cronache/italia/rifiuto-la-pillola-del-giorno-dopo-assolta-farmacista-triestina.html

 

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La proposta francese di chiudere i siti pro-life. Cosa rispondere?

 Il governo francese ha presentato una proposta di legge per chiudere i siti internet pro-life.
Il Presidente dei Vescovi francesi ha scritto una lettera pubblica e la cosa segna indubbiamente la gravità del momento.
Si tratta di un processo che procede sempre più velocemente verso la dittatura del relativismo.
Per combattere questo processo è indispensabile tuttavia coglierne il senso profondo.

La proposta del governo francese è perfettamente coerente con i presupposti della cultura del modernismo individualista.
Non è stato un errore di percorso.
Oggi gli Stati non si limitano più a considerare le violazioni di principi non negoziabili della morale naturale come delle eccezioni.
L’aborto, l’eutanasia, la fecondazione eterologa sono considerati un diritto umano.
Così come il diritto di espressione, quello di cambiare la propria residenza oppure di accedere a cure sanitarie di base.
La donna ha diritto ad uccidere il bimbo che porta in seno, il medico avrà il diritto di uccidere il malato terminale che, magari quando era ventenne, aveva firmato una dichiarazione anticipata di trattamento o, perfino in assenza di questa, interpretando che così avrebbe voluto lui (non è successo così anche per Eluana Englaro?), la coppia che vuole figli con la fecondazione in vitro ha diritto di sacrificare un certo numero di embrioni umani.

Ora, se si tratta di diritti umani lo Stato li deve regolamentare, proteggere, promuovere, e ad essi deve anche educare i cittadini.
Tra questi compiti dello Stato figura senz’altro anche quello di contrastare tutti coloro che ne vogliono limitare l’esercizio.
Quelli – per esempio – che vogliono dissuadere la donna ad abortire violando la sua libertà di coscienza.
Se abortire è un diritto umano contemplato dalla legge e protetto dai pubblici poteri, cercare di impedire di abortire è un reato che lo Stato deve prevenire e punire.
Se il contrario dei principi non negoziabili è qualcosa di non negoziabile, è perfettamente coerente che lo Stato chiuda i siti internet pro-life.
Gli si può rimproverare un errore logico a monte: negare i principi non negoziabili fino al punto da affermare come non negoziabile il contrario, ma dato quell’assunto tutto ciò che ne deriva è perfettamente coerente e logico.
Uno Stato che prima riconosce dei diritti umani e poi non li difende da chi li contrasta o impedisce è un voltagabbana.

Questa è la situazione tragica da denunciare, altrimenti si rimane nella logica perversa di questo stesso processo culturale.
L’opposizione dovrebbe riguardare l’origine stessa del tentativo di rovesciare la morale naturale e rendere diritto ciò che è torto, bene ciò che è male.
La polemica contro queste forme di arroganza di Stato dovrebbe risalire fino alle origini, fino alle leggi che consentono l’aborto e che distruggono gli stessi presupposti della convivenza civile.
Accade invece che l’opposizione si limiti a rivendicare la libertà di espressione come diritto soggettivo.
Oscurare i siti pro-life non vorrebbe dire rendere obbligatori i principi non negoziabili, ma semplicemente impedire l’espressione democratica dei cittadini.
Al centro della critica al governo, non viene messo il diritto a nascere del concepito, ma la possibilità che le donne, anche con l’aiuto di questi siti pro-life, si informino meglio.
La scelta di abortire non è definita in ogni modo cattiva, ma la si presenta come una scelta difficile e problematica per la donna, sicché qualche parola di conforto da parte di siti pro-life sarebbe di aiuto.

In questo modo si pensa di prendere in contraddizione lo stato laico e democratico:
come? tu che ti dici democratico non permetti la libertà di espressione?
Come? tu che ti dici laico, imponi una tua visione assoluta e non lasci libertà ai cittadini?

Ma si tratta, così facendo, di cadere invece nella stessa logica che si vorrebbe combattere.
Il problema è proprio la libertà di scelta, non vincolata al bene e al vero.
Quella libertà di scelta che lo Stato oggi proclama come diritto assoluto e, per difenderla, è costretto a contemplare il diritto al male.
Criticarlo solo sul terreno delle libertà di scelta democratiche, e non sui loro fondamenti, significa rientrare nel suo stesso gioco.

 

Stefano Fontana, per http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=2426

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Minista (d)istruzione: immatura. E il Veneto insorge

  • Categoria dell'articolo:Politica

  E’ ufficiale: la ministra Fedeli non ha neanche il diploma di maturità

Dopo le dichiarazioni del neoministro all’Istruzione Valeria Fedeli di poter fare tranquillamente la ministra senza avere la laurea è intervenuto Mario Adinolfi, ex Direzione Nazionale del PD, il quale affidandosi a facebook ha affermato che non solo la ministra non ha la laurea ma non ha nemmeno il diploma di maturità.

Insomma per la prima volta – andiamo a memoria – nella storia della Repubblica,  il ministro che deve dare le linee politiche all’Istruzione  sia alla scuola che all’università non solo non è in possesso della laurea che “erroneamente” aveva dichiarato nel suo CV, ma non ha nemmeno il diploma.

E’ inutile dirvi che sul web oltre all’ironia feroce tipica degli utenti della rete si sta registrando l’indignazione dei docenti che chiedono le dimissioni  immediate del ministro.

Siamo sicuri che la neoministra all’Istruzione non abbia nemmeno il diploma?

Il quotidiano Libero si dice sicuro: non ha il diploma.

Il giornale ha contattato lo staff della ministra Fedeli chiedendo se le affermazione di Mario Adinolfi corrispondessero al vero.

Lo staff – scrive il quotidiano – “non ha potuto far altro che confermare le parole di Adinolfi. Il corso frequentato – sottolineano dallo staff – è quello triennale della Scuola magistrale. E alla fine del percorso di studio non è previsto l’esame di maturità. Inoltre affermano, sempre dallo staff, che in questo caso il ministro non ha mai inserito nel Cv informazioni imprecise su questo punto”.

Da: http://www.informazionescuola.it/e-ufficiale-la-ministra-fedeli-non-ha-neanche-il-diploma-di-maturita/

ELENA DONAZZAN ASSESSORE SCUOLA DEL VENETO:
A NEO MINISTRO FEDELI DICO:
"NO A TEORIA GENDER IN CLASSE, IL VENETO CONTRARIO A OGNI FORZATURA IDEOLOGICA"

14 Dicembre 2016 14:40

Il Veneto si è già espresso chiaramente, ai massimi livelli istituzionali, contro l'insegnamento a scuola di teorie 'gender' che destrutturano la famiglia naturale. Sappia il nuovo ministro che vigileremo, che scuole e genitori terranno alta la guardia nel segnalare alla Regione ogni eventuale forzatura che dovesse avvenire nei luoghi deputati all’educazione pubblica di bambini e ragazzi.

Quanto appreso dalle cronache in merito al neo ministro Valeria Fedeli, alla quale è stata affidata la massima carica per l'Istruzione in Italia mi preoccupa moltissimo.
La principale posizione politica che pare caratterizzare il profilo dell'ex sindacalista della CGIL, è la sua propensione a diffondere nelle scuole la teoria del genere. Al nuovo ministro ricordo che la Regione Veneto, che ispira la propria azione amministrativa alla promozione della famiglia naturale, fondata sull'unione tra uomo e donna , che ha pubblicamente aderito al Family day e che ha formalmente impegnato i precedenti governi a non applicare il documento standard dell'Oms per l'educazione sessuale in Europa, terrà alta l'attenzione su ogni eventuale intervento ministeriale diretto a veicolare nelle scuole teorie ideologiche che considera pericolose per una corretta educazione all'identità di genere e alla tutela del valore costituzionale della famiglia naturale.

Che il nuovo ministro parta male è oggi oggetto della cronaca ma mi auguro non voglia usare una carica delicata come il dicastero all'Istruzione per piantare bandierine ideologiche che mirano a cambiare i connotati culturali del popolo italiano!

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