Castità, una virtù assente dall’Amoris Laetitia

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Castità, una virtù assente dall’Amoris Laetitia
(di Cristina Siccardi)

Nell’esortazione apostolica Amoris laetitia Papa Francesco cita il termine castità una volta soltanto, come «condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale».
Nulla più.
Questa virtù è una difesa straordinaria e sarebbe molto opportuno che la Chiesa, senza vergogna, ritornasse a parlarne per correggere cristianamente il malcostume diffuso e il paganesimo imperante, ricordando ciò che la Chiesa ha sempre affermato in materia di matrimonio e di famiglia.

L’indissolubilità del matrimonio è legge divina ed essendo tale, anche nella forzata separazione di una coppia, non è lecito né l’adulterio né il concubinato (divorziati risposati) che conducono la persona, inesorabilmente, a trovarsi non più in uno stato di grazia, indispensabile per poter essere degni di ricevere la Comunione.

Lo stato di grazia permette alla potenza di Dio, attraverso i Sacramenti, di irrompere nelle vite tribolate, aiutando a portare piccole e grandi croci: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 29-30) a differenza del peccato mortale che procura macigni orrendi.

Più la Chiesa utilizza un ingannevole buonismo, una falsa misericordia e più il peccato corrode le anime e più esso indebolisce persone e società. «Supponiamo che vi sia un giardino pieno di alberi da frutto e di altre piante aromatiche, ben coltivato e adornato in ogni sua parte, provvisto anche d’un muricciolo protettivo. Supponiamo, poi, che vi sia un fiumiciattolo che vi scorre accanto: questo, quantunque povero d’acqua, sbatte contro la parete del muricciolo e la corrode; allargando a poco a poco una fessura irrompendo all’interno del giardino, l’acqua finisce col travolgere e sradicare tutte le piante, distruggendo ogni coltivazione e rendendo sterile il suolo. Ebbene, non diversamente avviene anche nel cuore dell’uomo» (San Macario il Grande, Omelie spirituali, 43, 6).
Sanare, potare, sradicare le erbacce, alzare muriccioli e muri per liberare la vita degli uomini è il compito benefico dei pastori della Chiesa. La castità è attrezzo meraviglioso di pulizia del giardino di ogni persona e di ogni famiglia.

La promiscuità della società odierna, dalla scuola ai luoghi di lavoro; la mancanza di pudore nelle donne; l’inconsistente autorità paterna; il lassismo delle madri, utilizzato per sé e per i propri figli; il linguaggio sboccato; le influenze nefaste della pubblicità e della cultura pornografica e omosessuale a vasto raggio; le legislazioni degli Stati occidentali non sono certo l’humus ideale per la coltivazione di pensieri puri; ma proprio per tale ragione i fedeli sono in affannosa attesa di giusti insegnamenti evangelici da parte degli ecclesiastici, che pare abbiano interessi diversi dalla Fede e dalle loro responsabilità davanti a Dio e alle anime.

Osservare troppo in basso i mali della società, senza pupille anelanti la vita soprannaturale, è patologia moderna della Chiesa sorta dopo il Concilio Vaticano II, quella patologia che non permette di servirsi delle corrette terapie. Pio XI, di fronte alla desacralizzazione dell’istituto familiare e alle minacce secolarizzatrici, scrisse nel 1930 una memorabile enciclica, la Casti connubii al fine di contrastare la «perversa moralità. E poiché si sono cominciati a diffondere anche tra i fedeli questi perniciosissimi errori e questi depravati costumi, che tentano d’insinuarsi insensibilmente ma sempre più profondamente, abbiamo creduto essere dovere del Nostro ufficio di Vicario di Gesù Cristo in terra di supremo Pastore e Maestro, alzare la Nostra voce apostolica per allontanare le pecorelle a Noi affidate dai pascoli avvelenati e, per quanto dipende da Noi, custodirle immuni».

Efficaci e santi frutti vennero da quell’Enciclica, nonostante che i novatori, con la loro funesta teologia, disseminassero la zizzania, la stessa che si ritroverà nel Concilio Vaticano II. Come non ricordare le reazioni irose alla Humanae vitae di Paolo VI?
Oltre 200 teologi firmarono sul New York Times un appello per invitare tutti i cattolici a disubbidire all’enciclica papale.
Alcuni protagonisti del Concilio, contrari all’enciclica, si riunirono a porte chiuse nella città di Essen per stabilire una strategia di opposizione al documento pontificio, che venne sbeffeggiato, disatteso, rigettato con asprezza da interi episcopati, che ebbero la meglio: la dottrina dell’Humanae vitae non fu seguita e nelle università e nei seminari i testi di studio divennero quelli del redentorista Bernhard Häring, padre morale della Costituzione dogmatica Gaudium et Spes, nonché acerrimo nemico dell’Enciclica del 1968.

Da lunghissimo tempo si preparava Amoris laetitia, tonnellate di parole scritte, di conferenze, di convegni, di consigli pastorali… per poi giungere ai due recenti sinodi ed ora all’Esortazione apostolica.

Ancora una volta l’antropocentrismo è stato il protagonista indiscusso e con esso le circostanze storiche, sociali e culturali, quelle che determinano la direzione della rosa dei venti della Chiesa contemporanea, come recita la stessa Esortazione: «Sono innumerevoli le analisi che si sono fatte sul matrimonio e la famiglia, sulle loro difficoltà e sfide attuali. È sano prestare attenzione alla realtà concreta, perché “e richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia”, attraverso i quali “la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia” (II, 31)».

Quando riascolteremo nuovamente parole di seria disciplina agganciata agli insegnamenti di Cristo e non a quelli della rivoluzionaria teologia e della rivoluzionaria pastorale?
Soltanto nelle regole e nella sana educazione si formano uomini e donne forti in grado di formare famiglie forti per una civiltà responsabile di se stessa e delle generazioni future, a dimostrazione di ciò esistono mirabili esempi sia nella macrostoria come nella microstoria. E la castità rientra a pieno titolo nella corretta formazione dei figli di Dio.

La castità è un prisma d’eccellenza che la Chiesa è tenuta ad insegnare affinché possa rifrangersi in esso la luce della volontà non degli uomini, ma di Dio «perché il bene della fede splenda nella debita purezza, le stesse vicendevoli manifestazioni di familiarità tra i coniugi debbono essere caratterizzate dal pregio della castità, in modo tale che i coniugi si comportino in tutte le cose secondo la norma di Dio e delle leggi di natura, e si studino di seguire sempre, con grande riverenza verso l’opera di Dio, la volontà sapientissima e santissima del Creatore» (Casti connubii I).

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il Foglio – La fontana di Trevi rossa del sangue dei martiri, per non dimenticar

Il Foglio

La fontana di Trevi rossa come il sangue dei martiri cristiani

Venerdì sera, a Roma, manifestazione per i cristiani perseguitati. Testimonianze e immagini per denunciare il genocidio

di Matteo Matzuzzi | 27 Aprile 2016 ore 14:47

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Cammilleri: Chiedo scusa, ma non capisco

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Nota di Rino Cammilleri

 

Caro direttore,

Tutti mi sono testimoni che finora, su questo Papa, sono stato zitto. Molte erano le cose che, onestamente, non mi quadravano nel suo agire, ma mi sono sempre detto: il Papa è lui, e chi sono io per giudicare?
Ma sabato al telegiornale ho visto la scena straziante di un cattolico pachistano in lacrime, col cuore spezzato e la schiena pure a furia di stare genuflesso ai piedi del papa: un poveraccio che non sapeva se ridere per la gioia inaspettata o piangere per la disperazione.
Ripeto: un cattolico, e pachistano. 



Ed è inutile qui ribadire quel che sanno tutti sulla situazione del posto da cui scappa.

Poi lo stesso tiggì mi comunica che il Papa, sul suo aereo, s’è imbarcato tre famiglie musulmane, in nome e per conto della solita Sant’Egidio.
Musulmane. A chi gli ha fatto notare l’incongruenza (e non ci voleva certo un kattolico come me per accorgersene) ha risposto che: a) è stato lo Spirito Santo a ispirarlo, b) quei dodici musulmani avevano le carte in regola.
Gli unici, a quanto pare, su decine di migliaia di «profughi».
Uno dei quali, lungamente intervistato dallo stesso tiggì, era un nero della Sierra Leone. Profugo pure lui? E da quale guerra scappava, da quella all’Ebola? 



Bene, spenta la tivù, mi sono arrampicato sugli specchi per cercare una pezza di giustificazione.
Mi sono detto: vorrà apparire imparziale, far vedere che il papa è padre di tutti; magari, se avesse imbarcato solo cattolici, gli altri cristiani e pure i musulmani avrebbero potuto accusarlo di faziosità.
Ma poi mi sono replicato: il papa è padre non di tutti ma dei cattolici.
E se un cattolico viene posposto dal Papa a un musulmano, allora chiunque può pensare che per il papa una religione vale l’altra (questo è il «messaggio» che parte, non un altro), meglio essere musulmani che cattolici, perché Maometto difende i suoi figli, Cristo (di cui il Papa è vicario) no. 



Nella stessa linea del «messaggio» lanciato con le contorsioni sinodali sulla comunione ai divorziati: non vale la pena di rispettare le regole, basta aspettare la prima sanatoria (come nell’edilizia abusiva). Siamo in una società liquida, perciò anche la religione si adegua. 



Perdono, ma ciò è quanto, a questo punto, ho capito io. E, poiché faccio il saggista e giornalista cattolico da trent’anni, se questo è quel che ho capito io figuriamoci gli altri. Ora, è vero che il Papa è lui e chi sono io per giudicare, ma poiché non ci capisco più niente non so a chi altro chiedere. Chiedo scusa se il mio tono è franco e poco reverente, ma papa Bergoglio, mi pare, non ama i salamelecchi reverenziali né il bacio alla sacra pantofola, perciò ne approfitto e mi adeguo.
Detto questo, ritorno nel mio guscio.


Auguri ai dodici musulmani che, al posto del gommone, hanno avuto la fortuna dell’aereo pontificio. Altri dodici musulmani in Italia. A Roma troveranno pure la più grande moschea d’Europa.
Nel Pater noi cristiani preghiamo «non ci indurre in tentazione», ebbene, vedendo quanto siano rispettati, coccolati, temuti, riveriti e favoriti, pure dal Papa, i musulmani, e quanto siano sputati, derisi e vessati i cattolici, uno potrebbe cominciare a pensare che, in fondo, se «il nome di Dio è misericordia», guarda un po’, si tratta di uno dei novantanove nomi di Allah.
Dunque…

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Avvenire – Asia Bibi ancora senza giustizia: chi pensa a lei?

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Asia Bibi, da 2.500 giorni in carcere
Stefano Vecchia
Avvenire – 27 aprile 2016

Il 19 giugno 2009, la cattolica Asia Bibi veniva presa in custodia dalla polizia nel suo villaggio di Itttanwali, nella provincia del Punjab, denunciata da alcune vicine musulmane per una presunta offesa al profeta Maometto. Formalmente incriminata il mese successivo e condannata a morte per blasfemia l’11 novembre 2010, da allora ha trascorso in carcere – attualmente quello di Multan nel Punjab – , spesso in isolamento per tutelarne l’incolumità, prima il tempo dell’appello e poi, dal luglio scorso, l’attesa di una sentenza finale della Corte suprema pachistana sulla legalità di tutto il procedimento contro di lei.

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il Foglio РIl comunismo cinese ̬ ateo e combatte la religione

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Il Foglio

La religione è nemica della Cina
Le parole del presidente Xi Jinping e sempre più chiese demolite
di Redazione | 26 Aprile 2016 ore 06:20

La libertà religiosa in Cina è un pericolo. Lo ha detto, neanche troppo velatamente, il presidente cinese Xi Jinping sabato scorso, durante una conferenza sulle religioni, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa cinese Xinuha. Xi ha detto ai membri del Partito comunista di agire come “atei marxisti inflessibili, consolidando la loro fede, e tenendo a mente i princìpi del partito”, perché è attraverso la dottrina religiosa che l’ostile presenza straniera può avere la sua influenza in Cina. “I gruppi religiosi devono rispettare la leadership del Partito comunista, e sostenere il sistema socialista cinese”, ha detto.

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Messori. Quando il prete diventa sociologo

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Quando il prete diventa sociologo si dimentica di Dio

di Vittorio Messori
il Giornale, Gio, 14/04/2016

 

Infiltrata dalla corrente oggi prevalente in Occidente, e che tende a creare una sorta di «società liquida», dove tutto sembra, appunto, liquefarsi in tutto, anche la Chiesa pare volere dissolvere i contorni netti della fede in una sorta di brodo indeterminato e rimescolato dal «secondo me» di certi sacerdoti.

Non ostacolati, anzi istigati, dai teologi che sappiamo. Ebbene: della fede, i sacramenti sono l'espressione, il frutto, il dono più alto e prezioso.

***

Alla base di tutto quanto succede nella Catholica ormai da decenni, c'è quanto l'autore denunciava anche nei libri precedenti: quella «svolta antropocentrica che ha portato nella Chiesa molta presenza dell'uomo, ma poca presenza di Dio». La sociologia invece della teologia, il Mondo che oscura il Cielo, l'orizzontale senza il verticale, la profanità che scaccia la sacralità. La sintesi cattolica – quella sorta di legge dell'et-et, di unione degli opposti che regge l'intero edificio della fede – è stata troppo spesso abbandonata per un'unilateralità inammissibile.

Quanto ai sacramenti in particolare, da laico sarei tentato di lanciare una sorta di monito ai sacerdoti. Attenti! – mi verrebbe da dire – non sappiamo che farcene (ne abbiamo già troppi) di sociologi, sindacalisti, politologi, psicologi, ecologi, sessuologi e, in genere, di tuttologi! Attenti, perché non c'è bisogno di preti, frati, monaci che esercitino i mestieri che dicevo, per giunta spesso da improbabili orecchianti.

Non si dimentichi mai che quella che soltanto il consacrato può esercitare, quella dove non ha e non può avere «concorrenza» è la funzione di tramite, di legame, tra l'uomo e Dio. Nell'amministrazione, appunto, dei sacramenti. È il «santificare» il munus che – per ridurci all'essenziale – ne giustifica l'esistenza e la presenza.

Ottimo, se ben condotto, l'impegno clericale nel sociale, nella cultura, in ogni campo dell'attività umana. Ottimo ma non indispensabile: anche noi laici quegli impegni sappiamo esercitarli e li esercitiamo, assai spesso, ben meglio. Da professionisti e non da dilettanti. Ma solo un uomo cui sono state imposte le mani scandendo sul suo capo le parole alte e terribili «tu es sacerdos in Aeternum», solo un uomo così può assicurarci il perdono di quel Cristo di cui è tramite; e può trasformare, nella fede, il vino e il pane nel sangue e nella carne del Redentore. Lui solo. Nessun altro al mondo.

Le folle si accalcano, per un istinto profondo, attorno all'altare e al confessionale di padre Pio, spintonando per essere il più vicini possibile alla sua eucaristia e per poter avere il privilegio di affidare a lui i peccati che Gesù giudicherà. Ma non si conoscono folle, se non di studenti iscritti a quel corso, attorno alla cattedra del chierico teologo che spiega che è puerile credere alla realtà anche «materiale» dell'eucaristia. E che è una sceneggiata, indegna del cristiano adulto, pensare che il perdono dei peccati passi attraverso uno strumento, un uomo come noi. Già, ma al contempo, invisibilmente, diverso. Diverso perché consacrato.

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Vocazioni: effetto Papa Francesco?

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Vocazioni, il calo arriva anche nel Sud del mondo
I dati dell’Annuarium Statisticum: dopo il massimo storico toccato nel 2011 i seminaristi stanno diminuendo anche a livello globale. Dopo anni di forte crescita frena l’Asia, ma il calo si vede soprattutto in Sudamerica

di Giorgio Bernardelli

 

La diminuzione delle vocazioni al sacerdozio? Non è più solo un fenomeno dell’Occidente: anche nelle diocesi del Sud del mondo i seminari iniziano a essere un po’ meno pieni rispetto a qualche anno fa. Nella domenica in cui la Chiesa cattolica celebra la Giornata mondiale delle vocazioni, con le ordinazioni sacerdotali presiedute dal Papa in San Pietro, uno sguardo ad alcuni dati recentemente diffusi dalla Santa Sede mostra in maniera chiara un’inversione di tendenza in atto ormai anche a livello globale.

Da anni ormai l’Europa vive un calo sensibile nelle vocazioni al sacerdozio, che in tante diocesi ha portato alla diminuzione del numero delle parrocchie e a un’età media sempre più avanzata del clero.
A livello globale, però, questo fenomeno veniva bilanciato da una crescita significativa delle nuove ordinazioni nelle diocesi del Sud del mondo. E questo faceva sì che il dato totale dei sacerdoti nel mondo fosse comunque in crescita. Con la conseguenza indiretta che, oggi, vi sono anche preti nati in Africa o in Asia che prestano il proprio ministero in parrocchie europee, in una sorta di «ricambio» del dono dei missionari fatto un tempo dalle Chiese di antica tradizione cristiana.

Da qualche anno, però, il trend sta cambiando e anche in maniera relativamente rapida. A rivelarlo è l’Annuarium Statisticum, il libro che raccoglie le statistiche ufficiali della Chiesa cattolica nel mondo, la cui ultima edizione aggiornata al 31 dicembre 2014 è stata pubblicata all’inizio di marzo.
Dall’analisi dei dati emerge, infatti, che se il numero dei cattolici globalmente rimane in crescita, quello dei preti si è stabilizzato intorno alle 415.000 unità. E se si va a guardare anche i dati sui seminaristi nel mondo ci si accorge che – dopo un massimo storico raggiunto nel 2011 – il numero complessivo dei candidati al sacerdozio sta cominciando a scendere.

Entrando nel dettaglio: gli studenti di filosofia e teologia nei seminari erano 117.978 nel 2009 e sono saliti fino a quota 120.616 nel 2011; poi, però, è cominciato un calo lieve ma costante, che li ha portati a scendere a quota 116.939 nel 2014. E quando dal dato generale si passa a quello per continenti, alcune dinamiche emergono in maniera abbastanza chiara.
L’unico continente nel quale i seminaristi continuano ad aumentare è l’Africa: erano 26.172 nel 2009, sono diventati 28.528 nel 2014. Crescita importante, vicina al 10%, ma comunque inferiore al tasso di crescita dei battezzati: infatti anche in Africa il tasso vocazionale – cioè il numero di seminaristi in rapporto alla popolazione cattolica – pur restando altissimo rispetto all’Europa, è sceso tra il 2009 e il 2014 da 43,51 a 38,12 preti ogni 100.000 persone. In pratica la crescita dei seminaristi africani appare oggi più legata alle dinamiche demografiche generali del continente che alla continuazione della primavera vocazionale.

Discorso analogo per l’Asia, con la sola differenza che qui anche il dato assoluto ha cominciato a scendere: dopo il picco di 35.476 unità fatto registrare nel 2012, in due anni i seminaristi asiatici sono scesi a quota 34.469 (anche se va detto che – pur in discesa – il tasso vocazionale dell’Asia resta il più alto al mondo: 42,99 seminaristi ogni 100.000 battezzati).  

Se per Africa e Asia si tratta comunque di frenate dopo crescite impetuose, c’è invece una regione dell’America dove il calo dei seminaristi è oggi molto evidente. E – contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare – non sta nell’emisfero Nord. Se infatti in Stati Uniti, Canada e Messico il dato sulle vocazioni sacerdotali oggi è abbastanza stabile, è in Sudamerica che la crisi si fa sentire: in Brasile, Colombia, Argentina e nei Paesi vicini oggi i seminaristi sono quasi il 17 per cento in meno rispetto a soli dieci anni fa.
E se si restringe lo sguardo ai soli ultimi cinque anni ci si accorge che la diminuzione percentuale in Sudamerica è stata più forte che in Europa.
Al punto che anche il tasso vocazionale oggi è significativamente più basso: 7,73 seminaristi per 100.000 battezzati contro i 9,99 dell’Europa.
L’unico posto al mondo dove i seminaristi sono diminuiti ancora di più è il Medio Oriente, dove però il calo delle vocazioni è stato un fenomeno del tutto particolare, legato alle guerre e persecuzioni che negli ultimi anni hanno portato alla chiusura di molti seminari.  

In sintesi: se questa tendenza dovesse continuare, per i cattolici in Africa, in Asia e in America Latina si prepara un futuro con più fedeli ma meno preti. Un dato che non potrebbe non andare a incidere profondamente sul volto complessivo della Chiesa del XXI secolo. 

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