Il Timone – Il miracolo di Legnica

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Tessuto cardiaco in un'ostia. Il vescovo di Legnica, in Polonia, riconosce il miracolo

di Greg Kandra, da Aleteia

Sì, a volte una presunta “ostia che sanguina” dopo gli esami dovuti non si rivela altro che muffa rossa del pane.
A volte, però, mettendo un’“ostia sanguinante” sotto il microscopio e sottoponendola a varie prove si scopre che si tratta di tessuto cardiaco umano.

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Ancora sull’incredibile nota 329 della ”Amoris lætitia”

  • Categoria dell'articolo:Papa

Ancora sull'incredibile nota 329 della "Amoris lætitia".
Una lettera, un racconto
di Sandro Magister

 

Ricevo e pubblico questa breve e-mail:

*

Gentile Magister,

l'esortazione apostolica "Amoris lætitia" ci ha letteralmente mandati in confusione… Io e mia moglie pensiamo infatti di rientrare in quella categoria dei "figli obbedienti" che ora non sanno più cosa pensare.

Ci permettiamo solo di allegarle un "racconto" per chiarire il nostro pensiero. Grazie per la sua attenzione.

[Lettera firmata]

*

Questa e-mail riflette sicuramente l'amarezza d'un buon numero di altri "figli obbedienti", a seguito della pubblicazione della "Amoris lætitia".

La formula "figli obbedienti" era nel titolo di un post di pochi giorni fa e si riferiva a quei divorziati risposati che, dopo avere per anni obbedito alla Chiesa e riconosciuta la sapienza del suo magistero, si sono sentiti non confortati dall'esortazione, ma umiliati e derisi.

In effetti – come Settimo Cielo aveva subito fatto notare – nella nota 329 della "Amoris lætitia" papa Francesco rivolge ai divorziati risposati che hanno scelto di convivere non più da adulteri ma "come fratello e sorella", e quindi con la possibilità di fare la comunione, un esplicito rimprovero: quello di recare un possibile danno alla nuova famiglia, poiché – parole letterali – "se mancano alcune espressioni di intimità, 'non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli'".

Questo con tanto di citazione – in realtà ritagliata da tutt'altro contesto – della costituzione conciliare "Gaudium et spes". E, peggio, col sottinteso che fanno meglio gli altri a condurre una piena vita da coniugi anche in seconde nozze civili, magari facendo anche la comunione.

Dopo una simile doccia gelata non stupisce, quindi, lo smarrimento di tanti "figli obbedienti" e soprattutto dei più obbedienti tra loro. Perché al figlio maggiore della parabola del figliol prodigo il padre certo non riservò un trattamento così sprezzante. Anzi, fece tutto l'opposto.

Una storia emblematica del loro caso è appunto quella allegata alla e-mail.

Eccola. I nomi sono di fantasia.

(segue)

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Marcia per la vita 2016

  • Categoria dell'articolo:Vita

Tutti a Roma, domenica 8 maggio 2016

 

Gli attacchi alla vita umana innocente sono sempre più numerosi e nuovi strumenti di morte minacciano la sopravvivenza stessa del genere umano: Ru486, Ellaone, pillola del giorno dopo ecc.

Da oltre trent’anni una legge dello Stato (la 194/1978) regolamenta l’uccisione deliberata dell’innocente nel grembo materno e i morti si contano a milioni.

La ?Marcia per la Vita è il segno dell’esistenza di un popolo che non si arrende e vuole far prevalere i diritti di chi non ha voce sulla logica dell’utilitarismo e dell’individualismo esasperato, sulla legge del più forte.

Con la Marcia per la Vita intendiamo:

  • affermare la sacralità della vita umana e perciò la sua assoluta intangibilità dal concepimento alla morte naturale, senza alcuna eccezione, alcuna condizione, alcun compromesso;
  • combattere contro qualsiasi atto volto a sopprimere la vita umana innocente o ledere la sua dignità incondizionata e inalienabile.

Per questo:

  • chiamiamo a raccolta tutti gli uomini di buona volontà per difendere il diritto alla vita come primo dei principi non negoziabili, iscritti nel cuore e nella ragione di ogni essere umano e -per i cattolici – derivanti anche dalla comune fede in Dio Creatore;
  • esortiamo ogni difensore della vita a reagire, sul piano politico e culturale, contro ogni normativa contraria alla legge naturale, e contro ogni manipolazione mediatica e culturale che la sostenga. E qualora ci si trovi nella impossibilità politica di abolire tali leggi per mancanza di un consenso popolare sufficiente, ci si impegna a denunciarne pubblicamente l’intrinseca iniquità, che le rende non vincolanti per le coscienze dei singoli.
La sesta edizione della marcia sarà a Roma, centro della cristianità e del potere politico. Le strade della capitale sono state attraversate, anche recentemente, da numerosi cortei indecorosi e blasfemi; il nostro corteo vuole invece affermare il valore universale del diritto alla vita e il primato del bene comune sul male e sull’egoismo.
 
L’iniziativa sarà una “marcia” e non una processione religiosa e come tale aperta anche ai pro life non credenti e a tutti i gruppi che potranno partecipare con i loro simboli ad esclusione di quelli politici.

Abbiamo però bisogno dell’aiuto di tutti!

  • Con la preghiera, che smuove le montagne (1 Cor. 13,2) e vince ogni difficoltà
  • Con la costituzione, in ogni città italiana, di centri locali che ci aiutino sul piano organizzativo (fotocopiando e diffondendo materiale, organizzando pullman per venire a Roma, preparando striscioni, bandiere, cartelli…)
  • Con il sostegno economico che può moltiplicare le nostre possibilità.
  • Per qualsiasi informazione: http://www.marciaperlavita.it/

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Primato della pastorale? Vocazioni zero!

  • Categoria dell'articolo:Chiesa

Le statistiche sono di difficile lettura, alcuni rappresentano un crollo europeo inarrestabile: http://vaticantabloid.blogspot.it/2014/11/europa-e-usa-in-calo-costante-il-numero.html
Ad esempio, lo scorso anno, in tutta la Scozia, un solo nuovo sacerdote: http://www.lafedequotidiana.it/scozia-il-crollo-delle-vocazioni-solo-un-nuovo-sacerdote-nel-2015/
E' invece certo che in Italia, a Bologna, nel 2015 zero nuovi sacerdoti: http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2015/9-novembre-2015/2015-l-anno-zero-vocazioni-nessun-nuovo-prete-ordinato–2302162928807.shtml

Monsignor Camisasca, vescovo di Reggio Emilia individua le cause in modo acuto qui: http://www.sancarlo.org/fem/fedelta-e-speranza . Ne tentiamo una “traduzione” in linguaggio corrente e meno diplomatico.

1. "Le ragioni del crollo delle vocazioni sono molte. Certamente non dobbiamo pensare che Dio chiami meno di un tempo. Dio chiama sempre, siamo noi che non lo ascoltiamo".

Se noi non ascoltiamo Dio, forse è perché non siamo più educati a farlo: ogni forma di spiritualità radicale è totalmente assente dalla vita della Chiesa d'oggi.
Infatti, negli Istituti di vita consacrata che si rifanno agli Esercizi Spirituali ignaziani, al Santo Rosario, alla schiavitù mariana e alle forme tradizionali di vita interiore, le vocazioni abbondano.

2. "Oggi ci sono meno giovani, ci sono più famiglie con un solo figlio, e questo fatto determina spesso uno sguardo molto possessivo da parte dei genitori".

Aprendo la porta ai divorziati, tollerando rapporti prematrimoniali, vergognandosi di predicare la castità, è ovvio che ci siano meno giovani.

3. "Viviamo poi in un contesto sociale in cui l’esperienza sacerdotale non è più apprezzata come un tempo".

Il sacerdote di oggi, molto spesso non eccelle in nessuna virtù cardinale o teologale rispetto ai fedeli.
Nei seminari si insegnano eresie di ogni specie.
E' generalmente ignorante (non solo di teologia), ovvero istruito dalla televisione.
Molto spesso, chiede di entrare in seminario chi non riesce negli studi o nella vita. Il guaio è che, purtroppo, tutti vengono accolti.
Sembra che la Chiesa faccia di tutto perché il sacerdote non sia apprezzato ma divenga, invece, l' “animatore pastorale” di una nuova religione basta sull'umanitarismo e il buonismo.

4. "Anche la vita del sacerdote è meno affascinante perché assediata da molti compiti e molti problemi".

La Santa Messa da decenni non è più la causa e il fine della vita sacerdotale.
Non si parla più nemmeno di Sacrificio Eucaristico.
Rileggendo la Redemptionis Sacramentum http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds_doc_20040423_redemptionis-sacramentum_it.html tutti possiamo vedere come qualche abuso liturgico sia presente ovunque.
Se i Sacramenti vengono trattati come carta igienica il sacerdote è inutile.

5. "Se vogliamo spezzare la catena di questa diminuzione delle vocazioni, dobbiamo mostrare vite sacerdotali affascinanti".

Gli esempi che il seminarista di oggi ha davanti a sé sono demoralizzanti: si fa di tutto per andare d'accordo con tutti, nulla per affermare che fuori dalla Chiesa non c'è salvezza.
I Vescovi del Piemonte hanno avuto addirittura da ridire sul Family Day.
Per trovare vite di Santi “vere”, non politicamente corrette né edulcorate, occorre andare nelle libreria antiquarie.

 

Gesù Cristo, Nostro Signore e Redentore, Ti supplichiamo che per il trionfo della Tua Santa Causa contro i suoi nemici e falsi amici, Tu voglia raggruppare i suoi fedeli, combattenti la buona battaglia, dispersi per il mondo, affinché si conoscano e si accordino nell’animo e nell’opera. Degnati fornire loro i mezzi materiali e morali, necessari ed opportuni a tale scopo. Ti preghiamo altresì che, secondo la Tua divina promessa, Tu sia sempre in mezzo a loro, benedicendoli in vita e in morte. E così sia.

Totustuus.it

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Il FAMILY DAY e ivescovi del Piemonte

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FAMILY DAY: la fuorviante dichiarazione dei vescovi del Piemonte

(di Tommaso Scandroglio)

 

Dopo il placet del Cardinal Bagnasco al Family Day del prossimo 30 gennaio, molti vescovi hanno preso coraggio ed hanno benedetto tale iniziativa nata dalla base laicale. Ad esprimere appoggio è scesa in campo anche la Conferenza episcopale piemontese con un suo comunicato.

In esso c’è un passaggio assai critico. «Ribadiamo che tutte le unioni di coppie – si legge nel comunicato – comprese quelle omosessuali, non possono essere equiparate al matrimonio e alla famiglia. Tenuto fermo questo principio, anche le unioni omosessuali, come tutte le unioni affettive di fatto, richiedono una regolamentazione chiara di diritti e di doveri, espressa con saggezza». In breve: “matrimonio” gay no, ma unioni civili omosessuali sì. Peccato che il Magistero sia di avviso opposto in merito alla regolamentazione delle unioni omosessuali.

Il documento del 2003, Considerazione circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e approvato esplicitamente da Giovanni Paolo II infatti vieta che lo Stato possa legittimare qualsiasi convivenza omossessuale, conferendo ad essa forma legale e quindi elevandola ad istituto giuridico.

Il documento – concepito ad indirizzo di vescovi e politici cattolici – indica innanzitutto quali potrebbero essere gli atteggiamenti doverosi di costoro verso uno Stato che – attenzione – meramente tollera l’esistenza della convivenza omosessuale, ma non arriva a legittimarla: «smascherare l’uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso» (5).

Quando invece siamo di fronte ad uno Stato che dalla pura tolleranza passa al riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali «è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva». Altro che auspicare come fanno i vescovi piemontesi «una regolamentazione chiara di diritti e doveri».

Il male non ha diritti, ma ha l’unico dovere di trasformarsi in bene. E dunque il dovere primo dei conviventi omosessuali è quello di sciogliere questo iniquo legame. Poi il documento spiega i motivi per cui è doveroso opporsi ad ogni forma di riconoscimento di unioni omosessuali: «le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso».

Riconoscerle «finirebbe per comportare modificazioni dell’intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune» (6). Inoltre «esse non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana», né hanno in sé la caratteristica dell’amore complementare coniugale (7). Oltre a ciò «l’assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all’interno di queste unioni» (7). E dunque «tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale» (8). Da ciò consegue che «le unioni omosessuali (…) non esigono una specifica attenzione da parte dell’ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune» (9) e perciò «tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali» (109).

Da qui la conclusione del documento: «la Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. (…) Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità» (11). Quindi la nota della Conferenza episcopale piemontese è assolutamente in contrasto con le indicazioni dottrinali del Magistero.

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Interris – Il male avanza e non si può far finta di niente

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Interris

IL MONDO ALLA ROVESCIA

di don Aldo Buonaiuto –
 
Apr 12, 2016

Ormai ne sentiamo di tutti i colori. Strasburgo ha solennemente rimproverato all’Italia di essere discriminante verso quei medici che praticano l’aborto; ora sono diventati loro i poverelli che mentre sopprimono la vita altrui piangono per tutelare il diritto di poterlo fare meglio. L’Europa è veramente così attenta e scrupolosa verso l’Italia nell’assicurare lo sterminio delle piccole creature rannicchiate nel grembo delle mamme, e invece di promuovere la crescita demografica del vecchio Paese lo bacchetta perché non rende più fluidi gli aborti.

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Un documento catastrofico

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L’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia: prime riflessioni su un documento catastrofico
di Roberto de Mattei

 

Con l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, pubblicata l’8 aprile, Papa Francesco si è ufficialmente pronunciato sui problemi di morale coniugale di cui si discute da due anni.

Nel Concistoro del 20-21 febbraio 2014 Francesco aveva affidato al cardinale Kasper il compito di introdurre il dibattito su questo tema. La tesi del card.  Kasper, secondo cui la Chiesa deve cambiare la sua prassi matrimoniale, ha costituito il leit motiv dei due Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015 e costituisce oggi il cardine dell’esortazione di Papa Francesco.

Nel corso di questi due anni, illustri cardinali, vescovi, teologi e filosofi sono intervenuti nel dibattito per dimostrare che tra la dottrina e la prassi della Chiesa deve esistere un’intima coerenza. La pastorale infatti si fonda sulla dottrina dogmatica e morale. «Non vi può essere pastorale che sia in disarmonia con le verità della Chiesa e con la sua morale, e in contrasto con le sue leggi, e non sia orientata al raggiungimento dell’ideale della vita cristiana!» ha rilevato il cardinale Velasio De Paolis, nella sua Prolusione al Tribunale Ecclesiastico Umbro del 27 marzo 2014. L’idea di staccare il Magistero da una prassi pastorale, che potrebbe evolvere secondo le circostanze, le mode e le passioni, secondo il cardinale Sarah, «è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica» (La Stampa, 24 febbraio 2015).

Nelle settimane che hanno preceduto l’Esortazione post-sinodale, si sono moltiplicati gli interventi pubblici e privati di cardinali e vescovi presso il Papa, al fine di scongiurare la promulgazione di un documento zeppo di errori, rilevati dai numerosissimi emendamenti che la Congregazione per la Dottrina dalla Fede ha fatto alla bozza. Francesco non è arretrato, ma sembra aver affidato l’ultima riscrittura dell’Esortazione, o almeno di alcuni suoi passaggi chiave, alle mani di teologi di sua fiducia, che hanno tentato di reinterpretare san Tommaso alla luce della dialettica hegeliana. Ne è uscito un testo che non è ambiguo, ma chiaro, nella sua indeterminatezza. La teologia della prassi esclude infatti ogni affermazione dottrinale, lasciando che sia la storia a tracciare la linee di condotta degli atti umani. Per questo, come afferma Francesco, «è comprensibile» che, sul tema cruciale dei divorziati risposati, «(…) non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi» (§300). Se si è convinti che i cristiani, nel loro comportamento, non devono conformarsi a princìpi assoluti, ma porsi in ascolto dei «segni dei tempi», sarebbe contradditorio formulare regole di qualsiasi genere.

Tutti aspettavano la risposta a una domanda di fondo: coloro che, dopo un primo matrimonio, si risposano civilmente, possono accostarsi al sacramento dell’Eucarestia? A questa domanda la Chiesa ha sempre risposto categoricamente di no. I divorziati risposati non possono ricevere la comunione perché la loro condizione di vita contraddice oggettivamente la verità naturale e cristiana sul matrimonio significata e attuata dall’Eucaristia (Familiaris Consortio, § 84).

La risposta dell’Esortazione postsinodale è invece: in linea generale no, ma «in certi casi» sì (§305, nota 351). I divorziati risposati infatti devono essere «integrati» e non esclusi (§299). La loro integrazione «può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate» (§ 299), senza escludere la disciplina sacramentale (§ 336).

Il dato di fatto è questo: la proibizione di accostarsi alla comunione per i divorziati risposati non è più assoluta. Il Papa non autorizza, come regola generale, la comunione ai divorziati, ma neanche la proibisce. «Qui – aveva sottolineato il card. Caffarra contro Kasper – si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la volontà del Signore. Non c’è dubbio alcuno su questo» (Intervista a Il Foglio, 15 marzo 2014).

Per la teologia della prassi non contano le regole, ma i casi concreti. E ciò che non è possibile in astratto, è possibile in concreto. Ma, come bene ha osservato il cardinale Burke: «Se la Chiesa permettesse la ricezione dei sacramenti (anche in un solo caso) a una persona che si trova in un’unione irregolare, significherebbe che o il matrimonio non è indissolubile e così la persona non sta vivendo in uno stato di adulterio, o che la santa comunione non è comunione nel corpo e sangue di Cristo, che invece necessita la retta disposizione della persona, cioè il pentimento di grave peccato e la ferma risoluzione di non peccare più» (Intervista ad Alessandro Gnocchi su Il Foglio, 14 ottobre 2014).

Inoltre l’eccezione è destinata a diventare una regola, perché il criterio dell’accesso alla comunione è lasciato in Amoris laetitia, al “discernimento personale” dei singoli. Il discernimento avviene attraverso «il colloquio col sacerdote, in foro interno» (§300), “caso per caso”. Ma quali saranno i pastori di anime  che oseranno vietare l’accesso all’Eucarestia, se «il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare» (§308) e se bisogna «integrare tutti» (§297), e «valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (§292)? I pastori che volessero richiamare i comandamenti della Chiesa, rischierebbero di comportarsi, secondo l’Esortazione, «come controllori della grazia e non come facilitatori» (§310). «Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa “per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”» (§305).

Questo inedito linguaggio, più duro della durezza di cuore che rimprovera ai “controllori della grazia”, è il tratto distintivo dell’Amoris laetitia che, non a caso, nella conferenza stampa dell’8 aprile, il cardinale Schönborn  ha definito «un evento linguistico». «La mia grande gioia per questo documento», ha detto il cardinale di Vienna, sta nel fatto che esso «coerentemente supera l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra regolare e irregolare». Il linguaggio, come sempre, esprime un contenuto. Le situazioni che l’Esortazione post-sinodale definisce «cosiddette irregolari» sono quelle dell’adulterio pubblico e delle convivenze extramatrimoniali. Per la Amoris laetitia esse realizzano l’ideale del matrimonio cristiano, sia pure «in modo parziale e analogo» (§292). «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (§305), «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti» (nota 351). 

[segue]

 

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Alzheimer spirituale meneghino

  • Categoria dell'articolo:Chiesa

Alzheimer spirituale alla Don Abbondio

di Giorgio Nadali

 

La Chiesa è malata di Alzheimer spirituale. Ipse dixit. Sono parole di papa Bergoglio.
La malattia della faccia funerea riguarda le persone «burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza». Secondo papa Francesco «la severità teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia…».

Accade anche che per difendere il valore della vita umana dal concepimento, gli insegnanti di religione vengano attaccati dal “fuoco amico” della propria Curia che dovrebbe piuttosto difenderne lo sforzo quotidiano in prima linea in un ambiente potenzialmente ostile e ad alta percentuale laicista.
Il docente di religione è infatti – soprattutto nei grandi centri urbani, in primo luogo nel Nord Italia – come un simbolo dell’ingerenza della Chiesa Cattolica nella laicità dello Stato.
Lo è almeno per quel settantacinque percento di docenti di estrazione ideologica e politica laicista che operano nella scuola italiana.

La Curia malata di Alzheimer spirituale preferisce sacrificare un docente piuttosto che esporsi nella sua difesa, entrando in rotta di collisione con il mondo.
È la scelta del Don Abbondio di manzoniana memoria.

L’insegnante di religione parla – o almeno, parlava – di bioetica, di difesa della vita umana. Parlava, perché dallo scorso novembre i venticinquemila insegnanti di religione si guarderanno bene dall’esporsi nel trattare una tematica così delicata e che facilmente fa vibrare le corde dell’orgoglio laicista, insieme alla questione del gender.
Una questione che fa perdere il posto di lavoro per volontà della Curia.

“La verità non va taciuta ne detta a metà ne ammorbidita”, tuonava con voce stentorea San Giovanni Paolo II.
“Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore”, ricorda papa Francesco.
Accade dunque che in ottobre l’insegnante di religione, verso il termine della lezione di bioetica chieda ai suoi nove alunni sedicenni, di cui quattro ragazze, se vogliano rendersi conto perché la chiesa ritenga l’interruzione volontaria di gravidanza un abominevole delitto.
La legge 194 prevede che quando la donna è minorenne (art. 12), per interrompere la gravidanza nei primi 90 giorni sia necessario il consenso di entrambi i genitori o di chi esercita la tutela. Tuttavia, quando per vari motivi ciò non sia possibile, il giudice tutelare può dare il consenso all’interruzione della gravidanza.
Inoltre in Italia l’età del consenso per disporre validamente della propria libertà sessuale è fissata a 14 anni.

Ottenuto dunque il consenso entusiasta dei suoi alunni, il docente mostra con un piccolo lettore dvd posto su un banco, il vecchio video “L’urlo silenzioso” (1984) del medico americano Bernard Nathanson – ex abortista convinto – che mostra la realtà di un aborto eseguito con il metodo Karman in ecografia, quello più usato (64%) tuttora in Italia, secondo i dati del Ministero della Salute.

L’articolo 33 della Costituzione Italiana ricorda che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». Da questo principio deriva la libertà didattica di chi insegna. Le finalità e gli obiettivi dell’azione educativa dei docenti sono sì stabiliti normativamente: nelle leggi statali e regionali, nei programmi, nelle circolari e regolamenti applicativi, scendendo sempre più in dettaglio fino ai documenti programmatici del singolo Istituto scolastico.
Ma questa quantità di disposizioni e indicazioni, proprio per l’art. 33, non può imporre ai docenti l’adozione di un preciso metodo d’insegnamento. Il “come”, cioè con quale metodologia specifica realizzare gli obiettivi dell’insegnamento stabiliti dalle norme, è lasciato alla libertà dei docenti: vale a dire alla loro ricerca didattica, alla loro scelta consapevole e quindi alla loro responsabilità personale, comprendenti anche l’utilizzo di foto e riprese filmiche rientranti nell’ambito sopra specificato dalla Direttiva n.104 del 30 novembre 2007 del Ministro della Pubblica Istruzione.

Un video non particolarmente impressionante per adolescenti abituati a vedere ben di peggio. I genitori con l’adesione all’ora di religione automaticamente autorizzano il docente ad adottare i mezzi per che ritiene più opportuni per la sua didattica.
Il video era usato da molti docenti di religione e ora non verrà mai più usato da nessuno per paura.
Tuttavia i genitori di quei nove alunni – su un totale di novanta alunni soddisfatti del suo insegnamento – senza neppure consultare il docente “incriminato” scrivono subito alla Curia e al Preside e ottengono un immediato procedimento di revoca dell’idoneità all’insegnamento della religione cattolica al docente, dopo ventisei anni di servizio (e dieci libri pubblicati). La motivazione sarà poi quella di carenza di abilità didattica e pedagogica.

Una vittoria totale del fronte laicista col plauso della Curia, disposta piuttosto a far dubitare delle sue qualità intellettuali, dato che si “accorge” della carenza dopo ventisei anni, per giunta legandola solo a singoli episodi di intolleranza laicista, senza aver verificato tecnicamente la capacità di insegnamento.

Qualcuno ha voluto dare un segnale, tanto è vero che è stata apposta avvisata la stampa e in primis il laicissimo quotidiano “Repubblica”. Il risultato è prevedibile.
Un docente sacrificato e venticinquemila “ammoniti” a non permettersi di trattare ancora del tema del “sacro laico” aborto.
Come è possibile?

È ancora lo stesso Pontefice a rispondere indirettamente – parlando delle Curie. Negli stessi giorni un cui si consumava la vicenda scriveva della loro «schizofrenia esistenziale» definita come «la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete».

Una giustizia a doppio senso.
La stessa Curia era stata coinvolta due settimane prima nello “scandalo” di aver inviato una lettera riservata a tutti i seimila docenti di religione della diocesi, chiedendo si segnalare iniziative pro gender nelle scuole.
Anche qui la cosa finì sui giornali e l’iniziativa fu subito ritirata con le scuse pubbliche dello stesso Arcivescovo, quello della più grande diocesi del mondo.

Quando invece fu uno dei suoi docenti ad essere attaccato, la reazione è stata ben diversa. Forte con i deboli e debole con i forti.
Ancora Alzheimer spirituale?
Sì, secondo Bergoglio. «Una Curia che non fa autocritica… che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo».

In sostanza il male è quello di una Chiesa che si piega al mondo per paura o convenienza e perde così la sua funzione profetica, avendo terrore dell’ultima beatitudine: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5,11).

Il primo papa disse: “se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate” (1 Pt 3,14).
Quello attuale lamenta l’«impietrimento» mentale e spirituale.
Riguarda quelli che «perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non uomini di Dio».

La Curia vuole vivere tranquilla.
Non importa il motivo delle lamentele.
La notizia della Curia Don Abbondio ha fatto il giro del mondo, ma d’altra parte “il coraggio uno non se lo può dare”.
 

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La fecondità della Chiesa stà nella sua stabilità millenaria

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La fecondità della Chiesa stà nella sua stabilità millenaria

(di Cristina Siccardi)

La vita viene dalla fecondità, il nulla dalla sterilità. Il nostro tempo è caratterizzato da una diffusa sterilità voluta (aborti, contraccezioni) e involuta (problemi legati allo stile di vita: matrimoni tardivi, stress, vita da single…) ed ecco che l’Europa è vecchia.

Anche la Chiesa è vecchia, lo ha affermato, con angoscia, Papa Francesco all’incontro con i partecipanti al Giubileo della Vita consacrata lo scorso lunedì 1° febbraio, nell’Aula Paolo VI: «(…) vi confesso che a me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni, quando ricevo i vescovi e domando loro: “Quanti seminaristi avete?” – “4, 5…”. Quando voi, nelle vostre comunità religiose – maschili o femminili – avete un novizio, una novizia, due… e la comunità invecchia, invecchia…. Quando ci sono monasteri, grandi monasteri, e il Cardinale Amigo Vallejo (si rivolge a lui) può raccontarci, in Spagna, quanti ce ne sono, che sono portati avanti da 4 o 5 suore vecchiette, fino alla fine… E a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: “Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?”».

Domanda legittima, domanda doverosa, domanda alla quale il Santo Padre non ha però dato una risposta, si è limitato ad invitare le comunità religiose a pregare affinché la fecondità torni nelle congregazioni e negli ordini religiosi. Ma la Madre Chiesa è infeconda perché è molto malata. E una madre assai malata non può mai generare figli. Nella storia le maggiori chiamate vocazionali sono giunte quando ci sono stati Pontefici che hanno riformato la Chiesa nel solco della Tradizione, quando hanno rivolto lo sguardo severo agli errori e li hanno, come un buon padre di famiglia, evidenziati, definiti, invitando i fedeli a starne ben lontani per non essere a loro volta contaminati.

Oggi questo non sta avvenendo e le conseguenze delle piaghe/rughe degli errori ecclesiali ricadono, inevitabilmente, sulla Chiesa stessa, con una sua tragica senilità. «Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?»: adattandosi al mondo e adagiandosi sul mondo, la Chiesa perde la sua vitalità rigenerante, il suo essere principio di virgulto. «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15, 5-11).

I germogli primaverili della Fede sono alimentati da una Chiesa che ha in sé la linfa dei principi e valori eterni, sempre uguali a se stessi; se la linfa viene mutata con surrogati proposti dal mondo la Chiesa perde la sua forza attrattiva: il profumo del sacro rapisce le anime; l’odore e l’olezzo del mondo allontana l’anima assetata di vita spirituale. Le chiamate non mancano fra i giovani perché Dio non si stanca mai di espirare il suo richiamo d’amore, ma sono le risposte che sono insoddisfacenti e il giovane chiamato rinuncia, perché non trova la fonte in grado di appagare la sua arsura. Per trovare il mondo nella Chiesa, tanto vale appartenere al mondo.

La forza di attrazione della Chiesa non sta nella sua umiliante piegatura alle direttive ideologiche e culturali del momento, ma nella sua stabilità millenaria di proposta della Verità: «Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17, 15-19). Questo è ciò che cerca il giovane: dare un senso alla propria vita e darlo nella Verità.

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