Gli inarrestabili di Allah
Rino Cammilleri
Liberal, anno II, n. 15, dicembre 2002.
In una settantina d’anni dalla morte di Maometto l’islam si estendeva dall’Armenia all’Atlantico e si apprestava ad attaccare l’Europa cominciando dalla penisola iberica. Come si spiega questa incredibile avanzata che aveva fatto in così breve tempo tabula rasa di superbe civiltà quale l’intera Africa romana? In modo molto più semplice di quanto si possa pensare. L’ostinazione religiosa dava luogo a «uno schema strategico che rimase costante attraverso i secoli: una scorreria nei confronti dei miscredenti, avvertita come un dovere religioso e, in caso di successo, un’invasione in piena regola». Sono parole di un giovane studioso di storia militare, Alberto Leoni, in un libro (La croce e la mezzaluna, Ares, pp. 448, e. 22) che non può mancare sul tavolo di chiunque voglia capire l’islam. Le analisi, i reportage, gli instant-book e i pamphlet polemici non servono a niente senza un robusto ed essenziale libro di storia. E la storia dell’islam è una storia soprattutto bellica (altrimenti non saremmo ancora qui, nel 2002, a interrogarci con trepidazione su di esso). La citazione continua così: «Nel caso in cui la scorreria avesse esito infausto, un nuovo contingente sarebbe partito, o nella stagione stessa o nell’anno successivo. L’impressione che si ricava da una cronologia dell’espansione islamica è di una marea inarrestabile che, occasionalmente, incontra un ostacolo più forte di altri; un ostacolo che, però, viene sommerso dalla seconda o terza ondata di assalti, senza possibilità di scampo». La conquista della Spagna ben illustra questo modo di procedere. Il regno visigoto era potente e agguerrito, e già nel 680 aveva distrutto una squadra navale araba. Ma era diviso nel suo interno. Roderico aveva spodestato il precedente re, facendosi dei nemici. Questi fomentarono una rivolta dei baschi (tanto per cambiare) e chiesero segretamente aiuto ai musulmani d’Africa. Mentre Roderico era impegnato dalla parte opposta del regno, dodicimila berberi guidati da un ex schiavo, Tariq, sbarcarono con l’aiuto del governatore (cristiano) di Ceuta. Erano semplici predoni armati alla meno peggio, quelli che Roderico, accorso in fretta e furia, affrontò nel 711 con forze più che doppie. Ma al comando della cavalleria visigota c’erano i complottisti, che sul più bello fecero dietrofront abbandonando il re al massacro. Con i cavalli catturati, gli uomini di Tariq inseguirono e sterminarono il resto. Fu così che, a causa di un tradimento-boomerang, la Spagna non tornò cristiana che otto secoli dopo.
Muhammad (il Profeta) era morto nel 626 ma già nel 636 gli arabi erano in grado di mettere in ginocchio la superpotenza dell’epoca, Bisanzio, infliggendole la catastrofe di Yarmuk che toglieva ai cristiani la Siria e la Palestina. Mentre il califfo Omar entrava a Gerusalemme, i sessanta superstiti dell’eroica guarnigione dell’ultimo baluardo cristiano, Gaza, rifiutata la conversione all’islam venivano massacrati. La stessa Costantinopoli era cinta una prima volta d’assedio nel 674 e una seconda nel 717. Nel frattempo i nuovi padroni della Spagna saccheggiavano l’Aquitania, Narbona e Tolosa, battevano i franchi a Bordeaux, arrivavano alla Loira devastando Tours. Intervenne Carlo Martello, che li sconfisse a Poitiers. Ma dovette affrontarli ancora negli anni seguenti, vincendoli ad Arles e ad Avignone. Fu a Poitiers (732) che per la prima volta i cronisti usarono il termine «europei».
Non potendo qui fare la cronistoria puntuale di tutte le tappe della continua, ossessiva aggressione all’Europa dovremo limitarci, da qui in avanti, a qualche carotaggio qua e là. Cominciando col dire che, quasi nello stesso tempo, l’Europa dovette affrontare due pericoli di non minore entità, i vikinghi a nord e i magiari a est. Solo che questi due popoli, una volta battuti militarmente, si convertirono ed entrarono nella Cristianità. Si tenga presente che quei barbari, specialmente i vikinghi, ben conoscevano l’islam, con cui erano entrati tante volte in contatto. Ma, sebbene si trattasse di una religione guerriera e come tale ben più vicina alla loro mentalità, scelsero il cristianesimo e vi perseverarono, diventandone anzi, gli antemurali.
Il IX secolo vide la caduta in mani musulmane della Sicilia (conquistata «con metodi di rara brutalità»), di Bari e Taranto. Nell’846 venne saccheggiata Ostia e l’incursione si spinse alla basilica di San Pietro, che fu depredata perfino delle lamine dorate delle porte (ma, sulla via del ritorno, una furiosa tempesta colò a picco le navi saracene). Neanche tre anni dopo, una grande flotta proveniente dall’Africa si ripresentò davanti a Ostia, ma questa volta trovò ad attenderla le navi di Napoli, Gaeta e Amalfi. La battaglia che ne seguì fu la prima vinta da italici dal tempo dei romani. Il pontefice organizzò subito la riconquista delle basi saracene del Circeo, del Garigliano e di Frassineto (che controllava il Fréjus). Nel 935 i musulmani saccheggiavano Genova dopo aver preso Reggio Calabria e Cosenza. Nel 982 l’imperatore Ottone II subiva una tremenda disfatta sotto Crotone e si salvava a stento.
Il secolo seguente vide l’ascesa delle Repubbliche marinare, la progressiva perdita da parte islamica del predominio sul mare e i normanni riconquistare la Sicilia metro per metro. Nel 1081 solo Siracusa ancora resisteva, e da lì partivano feroci incursioni sulle coste calabresi (questa storia delle incursioni, pur tra una guerra e l’altra, non cessò mai: si tenga presente che l’inno dei marines americani fa riferimento a Tripoli perché anche gli Usa dovettero far fronte ai pirati barbareschi). Quando l’emiro Benavert saccheggiò Nicotera e deportò le suore negli harem orientali, Ruggero d’Altavilla reagì con una decisione che si concluse, come nei film, con un personale duello tra il condottiero normanno e l’emiro (che ebbe la peggio). Nel 1087 il numero di schiavi cristiani in mano agli islamici era così alto che il papa Vittore III non faceva fatica a chiamare gli italici alla riscossa, e una flotta di trecento navi genovesi, pisane e amalfitane, accresciuta di un contingente pontificio, conquistava la base africana di Al Mahdia. Nel 1113 i pisani prendevano Maiorca; nel 1146, i genovesi, Minorca. In ambedue i casi, provenzali e catalani parteciparono.
In Spagna nel 721 gli arabi erano padroni di tutto. Tranne un minuscolo ridotto sulle Asturie pirenaiche, un «piccolo resto» di irriducibili che il Leoni nel suo libro paragona al villaggio di Asterix. Inquadrati dagli ultimi visigoti rimasti, al comando del conte Pelayo, quei contadini e montanari inflissero ai mori una tremenda sconfitta a Covandonga nel 722. Fu il genero di Pelayo, Alfonso I, a iniziare quella Reconquista che si sarebbe conclusa solo nel 1492 a opera de Los Reyes Católicos, Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. «Nella storia della Cristianità europea non esiste un solo popolo che non abbia difeso con le armi la propria fede», scrive Alberto Leoni. E fu proprio il successore di Alfonso I, Alfonso II il Casto, a comprendere l’importanza che avrebbe avuto, da lì in avanti, il ritrovamento delle reliquie di s. Giacomo (non a caso appellato Matamoros), per le quali fu fondato il santuario di Compostela. Seguì una epopea di travolgenti vittorie (come Simancas nel 939) ma anche di pesantissime sconfitte (come Valdejunquera, nel 920), di eroi a tutto tondo, come Rodrigo Diaz («El Cid») e s. Ferdinando III di Castiglia, e di massacri immondi, come quello effettuato dai mori su migliaia di prigionieri inermi sul Duero nel 917. Nacquero ordini monastico-cavallereschi quale il Santiago, sorto per iniziativa di tredici cavalieri castigliani che avevano fatto voto di dedicarsi a scortare i pellegrini; poi l’Evora, Aviz, San Giuliano, Alcántara, Nostra Signora della Montesa, San Giorgio di Alfama. La grande svolta nell’interminabile braccio di ferro si ebbe con la vittoria cristiana di Las Navas de Tolosa nel 1212.
Nel 1071, a Manzikert, dall’altra parte del mondo, la potenza bizantina crollava di schianto davanti ai turchi selgiuchidi, lasciando del tutto indifese le vie dei pellegrinaggi cristiani in Terrasanta. Tra i sultanati turchi, quello più potente aveva la sua capitale a Nicea, a pochi chilometri da Costantinopoli. Nel 1097 cominciarono le Crociate, che terminarono nel 1291 con la caduta di Acri. Meno di due secoli durarono, e furono limitate nello spazio e nel tempo. Le fasi di conflitto armato furono ancora più ridotte. I crociati vi trovarono, anche qui, disastrose sconfitte (come quella di Dorileo, nella seconda crociata, e quella di Hattin nel 1187, a opera del Saladino), e sudate vittorie (come la presa di Antiochia, nella prima crociata, e quella di Damietta nel 1219). Re e imperatori ci morirono, come Federico Barbarossa e s. Luigi IX di Francia. Se da un punto di vista complessivo lo sforzo europeo non valse la candela, va pur detto che fino a quando i «franchi» (così erano chiamati dagli islamici tutti i crociati) occuparono la striscia costiera della Palestina l’avanzata dell’islam segnò il passo.
Acri, ultima roccaforte cristiana, cadde nel 1291, abbiamo detto. Ebbene, il primo scontro con Bisanzio, rimasta scoperta, è solo del 1301. Nel frattempo lo stendardo del Profeta era passato agli ottomani. Immediatamente il loro fondatore, Osman, iniziava a stringere la morsa sulla capitale dell’Impero romano d’Oriente. Del 1316 è l’assedio dell’importante Bursa, presa nel 1326. Seguono, dal 1330 in poi, Nicea, Nicomedia, Pergano, Smirne. Nel 1354 i turchi passano lo stretto e cade Gallipoli. Nel 1361 è la volta di Adrianopoli. Nel 1387 sono i serbi a subire l’assalto. Vincono il primo scontro a Plocnik, nel 1387. Ma, due anni dopo, il sultano Murad I massacra serbi, albanesi e bosniaci a Kosovo Polje (quel giorno, 15 giugno, è ancora oggi ricordato dai serbi come giornata del loro orgoglio nazionale). Il disastro di Nicopoli, in cui l’esercito cristiano guidato dall’imperatore Sigismondo fu annientato nel 1395, non ebbe conseguenze peggiori solo perché nel 1402 i mongoli di Tamerlano schiacciarono i turchi ad Ankara (ma subito abbracciarono l’islam).
Nel 1444 il nuovo sultano, Murad II, schiantava ungheresi (comandati dal valoroso Jan Hunyadi), polacchi, serbi, francesi e valacchi (guidati, questi, da Vlad Drakul, il leggendario «Dracula») a Varna, uccidendo il re Ladislao III di Polonia. Nel 1451, appena succeduto al padre, Mehemet II cominciava i preparativi per la conquista di Costantinopoli. La città fu presa nel 1453, dopo due anni di epico assedio che vide i cristiani prodursi in prodigi di valore. L’ultimo imperatore, Costantino XI, cadde sugli spalti. La Grecia finiva in mano ottomana e la via dell’Europa era aperta: appena tre anni dopo, i turchi erano sotto Belgrado. Ma vennero fermati il 6 agosto da Jan Hunyadi e s. Giovanni da Capestrano (il francescano che fu l’anima della coalizione cristiana). Il papa Callisto III istituì per quel giorno la festa della Trasfigurazione, a indicare la letizia che aveva illuminato l’Europa allo scampato pericolo. Ma non era affatto finita. Mentre l’eroe nazionale albanese Skanderbeg (Giorgio Castriota, detto «Iskander Bey», cioè «Alessandro Magno») passava l’esistenza a combattere i turchi, questi prendevano Otranto e devastavano il Friuli a più riprese. Belgrado cadde nel 1521, l’anno seguente fu la volta di Rodi. Nel 1526, con la catastrofe inflitta ai cristiani a Mohàcs, Solimano potè invadere l’Ungheria. Nel 1529 Vienna fu cinta d’assedio, ma questa volta le armate cristiane ebbero la meglio. Anche Malta, eroicamente difesa dai suoi cavalieri, resistette. Non così Cipro, il cui ultimo baluardo, Famagosta, cadde nel 1571. Pochi mesi dopo, il 7 ottobre, fu il giorno dell’incredibile battaglia navale di Lepanto, nella quale i turchi si schierarono a mezzaluna e i cristiani a croce. Il papa s. Pio V proclamò, per quella data, la festa di Nostra Signora delle Vittorie.
A nemmeno un anno di distanza una flotta barbaresca tentava il saccheggio di Loreto e del suo santuario, ma veniva sconfitta dai veneziani. Lo stillicidio di incursioni continuò finchè i turchi non furono in grado di riprendere in grande stile l’assalto all’Europa. Nel 1645 cominciò l’assedio a Creta, che durò ben ventiquattro anni e costò ecatombi da entrambe le parti. L’anno precedente i turchi erano stati fermati sulla Raab, in vista di Vienna (ancora!), dal Montecuccoli. Nel 1677 cominciava l’epopea del polacco Jan Sobieski, che praticamente dedicò la vita a lottare contro gli ottomani. Nel 1683 Vienna era nuovamente assediata. Questa volta il ruolo che fu di Giovanni da Capestrano era occupato dal cappuccino Marco d’Aviano. Il 12 settembre (da quel giorno, festa del Nome di Maria) i cristiani, pur in condizioni di inferiorità, inflissero una tremenda sconfitta ai turchi (Bernard Lewis, massimo islamologo vivente, dice che i fondamentalisti islamici ancora oggi vi fanno riferimento). Sorgeva in quella memorabile battaglia l’astro di uno dei più grandi condottieri di tutti i tempi, Eugenio di Savoia. L’11 settembre (data fatidica) 1696 questi, al comando degli imperiali, infliggeva una sonora sconfitta al nemico a Zenta, e si spingeva fino a Belgrado. Il 15 agosto del 1717 coglieva la più bella (e insperata) delle sue vittorie a Petrovaradino.
Ma anche la Russia è Europa. Invasa dai mongoli nel XIII secolo e ripiombata nella semibarbarie (prima, i principi di Kiev si permettevano di dare le loro figlie in sposa alle più importanti teste coronate d’Europa), solo nel 1380 cominciò a rialzare la testa grazie a s. Sergio Radonez e al principe Dmitrij, che sconfisse clamorosamente i mongoli sul Don. L’opera di riconquista fu proseguita da Ivan III, principe di Mosca, e soprattuto da suo nipote, Ivan IV «il Terribile», che ricacciò i mongoli nelle steppe e riprese Kazan e Astrakhan ai turchi. Da quel momento per i russi le guerre antiturche divennero una costante: con Pietro il Grande cadeva Azov; Caterina II, grazie al generale Suvorov, riprendeva la Crimea. Ma già si era alle soglie della Rivoluzione francese (nel 1789 russi e austriaci battevano i turchi a Rymnik, e tutto il Danubio ritornava europeo) e, anche se il confronto con la mezzaluna continuava, non si poteva più parlare di difesa della civiltà «cristiana» (gli ultimi a parlarne in termini di profonda convinzione erano stati Eugenio di Savoia e Suvorov). Adesso erano Stati, quelli che si scontravano, e gli europei avevano altro cui pensare.
Questa velocissima carrellata, condotta seguendo l’opera del Leoni (che peraltro prosegue fino all’avvento di Al-Qaeda), non si è soffermata sugli orrori, le nefandezze e le immani sofferenze che hanno dovuto sopportare gli occidentali pur di non vivere da dhimmi, cioè da schiavi o da esseri umani di second’ordine che, per aver diritto di respirare, dovevano pagare la «protezione». Non poter andare a cavallo né ricoprire cariche, non avere case più alte, alzarsi in piedi e cedere il posto all’ingresso di un musulmano, portare segni di riconoscimento (per gli ebrei, abiti gialli o ridicoli copricapi), non riparare le chiese né costruirne nuove, non suonare le campane, celebrare i propri riti a porte chiuse e a bassa voce: questo era il massimo di «tolleranza» che la «gente del Libro» poteva aspettarsi, quando andava bene. Gli "equidistanti nel giudizio", che non mancano mai, fanno osservare che in molti casi i cristiani non si comportarono meglio, che spesso i comandanti musulmani erano dei cristiani rinnegati, che il regno di Francia più volte tenne il sacco agli islamici, che la mora al-Andalus era splendida, che Saladino era cavalleresco e Riccardo Cuor di Leone sanguinario. Tutto vero. Ma le date su riportate testimoniano che fu l’Occidente, e non l’islam, a non avere avuto un attimo di respiro dal VII secolo al XVIII.