Il crocifisso del samurai

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Rino Cammilleri, Il crocifisso del Samurai, Rizzoli, Milano 2009, 278 pp., euro 18,50, EAN: 9788817030373

Nel suo ultimo romanzo storico, dedicato al Giappone cristiano, Rino Cammilleri non poteva non rievocare la figura del santo missionario Francesco Saverio, definito da Benedetto XVI “il più famoso di tutti” i figli di Ignazio di Loyola nel discorso rivolto il 21 febbraio dello scorso anno ai partecipanti alla 35ma Congregazione Generale della Compagnia di Gesù. Si può quindi utilmente leggere questo libro anche per iniziare ad approfondire le origini e lo sviluppo del Vangelo in Asia e la figura del grande gesuita spagnolo, tanto più nell\’imminenza della sua ricorrenza liturgica, il prossimo 3 dicembre.
Braccio destro di sant’Ignazio, non ancora quarantenne, Francesco Saverio riuscì a convertire da solo quasi un milione di persone in Oriente. Era sbarcato in Giappone nel 1549 e non aveva tardato a rendersi conto che quelle isole richiedevano un metodo di evangelizzazione assolutamente diverso: «Aveva cominciato, al solito, col soccorrere i poveri e i malati – commenta Cammilleri –. Ma si era presto accorto che quella era per i giapponesi un’attività da schiavi, perciò ai loro occhi il dio unico che il nuovo arrivato europeo predicava doveva essere davvero disprezzabile. Più tempo c’era voluto al santo per comprendere che i giapponesi non avevano alcuna idea del concetto di responsabilità individuale. Per loro esistevano solo il gregge e i suoi capi. Perciò, punti fondamentali del cristianesimo come peccato, merito, salvezza erano per loro praticamente incomprensibili» (p. 16). Il missionario capì che per «cristianizzare un popolo occorreva convertire il suo re» (ibidem) e, per impressionare favorevolmente i daimyō (signori locali), «cambiò i suoi abiti dimessi con altri in seta e volentieri si fece vedere ricolmo di onori e rispetti da parte dei mercanti portoghesi» (p. 17), cominciando così a sortire i primi successi apostolici.

A far da sfondo alla vicenda dell’opera di Cammilleri, ricca di azione e colpi di scena, è il Giappone del 1637, e l’epica ribellione dei samurai cristiani di Shimabara, una penisola dell\’estremo Ovest dell\’arcipelago nipponico. Qui, quasi quarantamila cristiani, donne e bambini compresi, guidati da un gruppo di samurai convertiti al cattolicesimo (più precisamente di ronin, samurai senza padrone) si ribellarono alle angherie dei daimyō che, per conto dello Shogun (il capo militare del clan dei Tokugawa che aveva di fatto esautorato l’Imperatore), tartassavano terribilmente tutta la popolazione. Incuranti delle pessime condizioni causate dalle carestie, pur di soddisfare il governo centrale ed evitare di essere deposti o puniti, i funzionari locali non risparmiavano alcuna efferatezza pur di riscuotere le esorbitanti imposte.
La scintilla che spinse i cristiani alla ribellione fu la violenza gratuita perpetrata su Yumiko, figlia del samurai cattolico Kayata, che non aveva potuto pagare le proprie tasse alle autorità. A motivo di ciò la giovane fu torturata pubblicamente e, gli abitanti del suo villaggio, raccolti attorno al Crocifisso, decisero di rifugiarsi nel castello abbandonato di Hara, difendendosi strenuamente sotto la guida dello stesso Kayata, del suo discepolo Kato (marito di Yumiko) e, soprattutto, del sedicenne samurai Amakusa Shirō, Inviato del Cielo figlio di Masuda Yoshitsegu. Quest’ultimo, grande guerriero diventato famoso al tempo dei conflitti che avevano dato il potere ai Togukawa, da cristiano aveva disobbedito agli editti persecutori mettendosi a percorrere il Giappone in nome di Cristo. Il motivo che indicava Shirō come leader fu una strana profezia: un gesuita, espulso dal Giappone venticinque anni prima, aveva lasciato una specie di poesia divenuta nota fra i cristiani giapponesi: in essa era predetto l’arrivo di un ragazzo ame no tsukai, Inviato del Cielo, che avrebbe riscattato la fede in quelle terre. Per cinque interminabili mesi, senza cibo e possibilità di scampo, i ribelli tennero testa agli emissari dello Shogun, potendo contare solo delle armi leggere dei ronin,ma aggrappati alla Speranza incrollabile nella Resurrezione. Il nemico, invece, aveva a disposizione molte più armi e anche potenti cannoni. Nella battaglia finale i cristiani vennero uccisi e le loro teste infilzate su pali per terrorizzare chiunque avesse voluto farsi cristiano. L’armata dello Shogun riuscì quindi a stroncare la ribellione, al costo però di settantamila uomini armati fino ai denti e ben addestrati, che morirono combattendo contro contadini e anziani affamati e indeboliti dal freddo ma saldi nella fede in Gesù Cristo. Per evitare l’onta di non essere riuscito a domare la rivolta più velocemente, il generale giapponese Matsudaira Nobutsuna offrì ai rivoltosi l’onore delle armi, la dilazione sulle tasse e il perdono, ma i samurai cristiani rifiutarono perché l’unica cosa che chiedevano era la libertà di professare la loro religione, tanto da spingersi fino al martirio. Solo ideali soprannaturali, infatti, avrebbero potuto dare ai ribelli la capacità di resistere contro avversari più numerosi e meglio equipaggiati, perché unicamente la Fede può dare la forza di superare ogni sopraffazione, dando coraggio ad un popolo in lotta.
Questo ardore e libertà di spirito era proprio ciò che le autorità temevano. Per i due secoli successivi alla rivolta cristiana, il Giappone entrava nel sakoku, la chiusura al mondo esterno, perseguitando tutti coloro che si dicevano o volevano diventare seguaci di Cristo.All’epoca i cattolici nel Paese del Sol Levante erano diventati circa 300.000, evangelizzati soprattutto dai gesuiti, con san Francesco Saverio in prima fila.
Solo alla fine del XIX secolo cessarono le persecuzioni dei cattolici nipponici e, considerando che i pochi rimasti erano tutti concentrati a Nagasaki, si può dire che la “cristianità giapponese”, a seguito dell’esplosione di una delle due bombe atomiche, sia stata azzerata per la seconda volta! Quando nella seconda metà dell’Ottocento, sotto la minaccia delle cannoniere americane del commodoro Perry,il Giappone consentì il riaprirsi ai traffici occidentali e l’invio di missionari europei, questi rimasero meravigliati nel trovare ancora discendenti di quegli antichi cristiani. E lo stupore crebbe ancora di più quando li sottoposero a un esame di “cattolicità”: infatti, non solo avevano conservato la Fede, nella clandestinità, ma si erano tramandati di padre in figlio anche una perfetta distinzione tra ortodossia e protestantesimo.
Lo scrittore e giornalista Rino Cammilleri, appassionato indagatore della vita dei santi e della cristianità, dopo essersi a lungo occupato di sfatare le leggende nere che ancora gravano sulla storia della Chiesa, i presunti scheletri nell’armadio del cristianesimo come Inquisizione, Crociate, Galileo, Conquistadores ecc., dopo avvincenti romanzi che hanno il pregio di focalizzare l’attenzione su periodi mal interpretati della storia italiana (penso ai due lavori sull’Italia post-unitaria, Sherlock Holmes e lo strano caso di Ippolito Nievo e Immortale odium), in quest’ultima opera riesce a dipingere un affresco crudo e realistico dell’epopea dei martiri giapponesi, in grado d’immergere completamente il lettore nel tempo e nei personaggi narrati. Ne esce uno struggente romanzo storico capace di toccare le corde più profonde dell’anima, esplorando le radici del concetto stesso di fede.

Sara Deodati