Educazione sessuale a scuola? Inutile, lo dimostra un macrostudio
Molto spesso i cosiddetti “programmi di educazione sessuale”, generalmente promossi da organizzazioni sovranazionali come le Nazioni Unite (oltretutto in stretta collaborazione con organizzazioni Lgbt), non sono altro che un tentativo surrettizio di formare bambini ed adolescenti non ad una educazione affettiva ma alla mera sessualità genitale, accompagnata dall’ideologia gender, alla contraccezione e, quando va male, all’interruzione di gravidanza.
Non è una fissa dei comitati in difesa della famiglia, ma lo hanno ammesso gli stessi “educatori”, lo hanno rivelato gli insegnanti, lo hanno scoperto i genitori e sono purtroppo quotidiane storie di cronaca (ecco alcuni casi di cui si è parlato in Italia a Forlì nel 2015, in Friuli Venezia Giulia nel 2015, a Massa Carrara nel 2015, a Milano nel 2016, nonché alcune immagini dei libri presentati nelle scuole ecc.)
Le famiglie possono oggi avvalersi anche di un importante macrostudio realizzato dall’organizzazione Cochrane, una rete globale di ricercatori nel campo della salute, definiti dal Canadian Medical Association Journal come «la miglior risorsa per la ricerca metodologica e per lo sviluppo della scienza della meta- epidemiologia». I ricercatori, provenienti dall’University of York, dalla Liverpool School of Tropical Medicine, dal South African Medical Research Council e dalla Stellenbosch University, hanno esaminato i dati provenienti da più di 55.000 giovani 14-16enni sottoposti a “programmi di salute sessuale e riproduttiva” provenienti dall’Africa sub-sahariana, dall’America Latina e dall’Europa, seguendoli da uno a 7 anni.
La conclusione a cui sono arrivati è che tali corsi scolastici «non hanno alcun effetto sul numero di giovani persone infette da HIV ed altre malattie sessualmente trasmissibili o la riduzione del numero di gravidanze indesiderate». E’ stato anche rilevato che soltanto quando le scuole hanno fornito incentivi per rimanere a scuola oltre l’orario standard, come la divisa scolastica gratuita o piccoli pagamenti in contanti, si è verificato un miglioramento del 22% nel tasso di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate. Miglioramento che però, come detto, non si è verificato se le scuole proponevano corsi di educazione sessuale.
Il pilastro dell’attuale approccio per l’educazione sessuale non funziona e anzi, come è stato scritto nel 2007 in un importante editoriale del British Medical Journal, «contrariamente a quanto si possa pensare, invece di migliorare la salute sessuale, interventi di educazione sessuale possono peggiorare la situazione».
Per molti sarà una sorpresa, non per noi però dato che lo abbiamo segnalato in circostanze precedenti (offriamo un ulteriore studio come controprova, pubblicato sul Journal of Policy Analysis and Management nel 2006, in cui si conclude: «Gli avversari di tali programmi hanno ragione nell’osservare che l’educazione sessuale è associata con esiti negativi per la salute, ma generalmente sbagliano nell’interpretare questa relazione causale. I sostenitori di tali programmi, invece, sono generalmente corretti nel sostenere che l’educazione sessuale non incoraggia attività sessuali a rischio, ma sbagliano nell’affermare che gli investimenti in programmi scolastici di educazione sessuale producono benefici misurabili per la salute»).
Al contrario, se osserviamo la letteratura scientifica, gli unici buoni risultati si sono verificati nei casi in cui i programmi scolastici educavano al valore dell’astinenza, del custodirsi e custodire la propria sessualità, dell’attesa al completo dono di sé in una fase più matura, dedicandolo alla persona con cui si sarà deciso di condividere la vita e, per l’appunto, tutto se stessi. Studi sull’efficacia di questi programmi sono apparsi su diverse riviste scientifiche, come Review of Economics of the Household nel 2011, su Archives of Pediatrics and Adolescent Medicine nel 2010, sul Journal of Adolescent Health nel 2005, ecc. Il prof. Furio Pesci, docente di Storia della pedagogia all’Università La Sapienza di Roma, ha spiegato: «L’educazione sessuale e affettiva non è mai stata considerata – nemmeno dai sostenitori della laicità o del laicismo più accesi – come uno dei fini della scuola».
Questo quadro fornito dalla letteratura scientifica più recente sembra confermare la posizione della Chiesa, ben espressa dal presidente della CEI, card. Angelo Bagnasco: «l’educazione all’affettività e alla sessualità per la sua specificità unica, per la sua peculiarità, per la sua delicatezza, non dovrebbe far parte del quadro strutturale della scuola». Anche perché i programmi titolati «lotta all’omofobia, al bullismo, alla educazione ai valori ed al rispetto – tutti intendimenti sacrosanti – diventano il grimaldello per far passare una visione antropologica ben diversa, che va a toccare una dimensione affettiva e sessuale che è molto di più che l’italiano, il latino, il greco, le scienze e la storia perché tocca una visione delle cose, un mondo valoriale, che è troppo delicato e troppo grave».
Le alternative proposte dal card. Bagnasco sono che «su esplicita richiesta dei genitori, la scuola offra qualche momento extra curricolare, ma che non faccia parte del quadro generale del programma». Inoltre, è doveroso «che i genitori riprendano in mano, con opportuni aiuti, l’educazione affettiva dei propri figli e sarebbe la cosa migliore». Riteniamo decisamente valida sopratutto quest’ultima indicazione.
La redazione, per http://www.uccronline.it/2017/04/05/educazione-sessuale-a-scuola-inutile-lo-dimostra-un-macrostudio/ del 5 aprile 2017
Massimo Recalcati: «siamo imprigionati dalla liberazione sessuale»
Il sesso è un tema quasi ossessivo della modernità e dei media e anche noi cristiani, di riflesso, cerchiamo di parlarne, anche spesso, offrendo su di essa uno sguardo differente. Purtroppo, però, ogni volta che la Chiesa parla di sessualità c’è sempre qualcuno pronto ad accusarla di sessuofobia, anche con la classica obiezione: “come possono i preti, che vivono in castità, parlare di sesso agli uomini?”, come se i ginecologi potessero soltanto essere donne, come se i maschi potessero soltanto rivolgersi ad uno psicologo (maschio) per farsi aiutare nelle difficoltà mentali, come se a parlare di violenza sulle donne potessero essere solo le vittime di violenza, e così via.
C’è un’esperienza di umanità nella Chiesa e nei sacerdoti e, lo abbiamo già ricordato, ad ogni “no” che viene detto, è perché si dice un “si”: diciamo “no” ad una sessualità compulsiva, egoista, occasionale, istintiva, perché diciamo “si” ad una sessualità come dono totale di sé, come promessa, come unione coniugale. E la Chiesa non dice “no” perché è pregiudizievole, ma perché è maestra di umanità e sa benissimo che è un male per noi stessi usare la sessualità in questo modo, contro la felicità dell’uomo. E’ un aiuto all’uomo, e questo è ciò che interessa e non certo preservare astrattamente una dottrina. Non è un caso che, come quasi sempre accade, anche la scienza medica, cioè lo studio scientifico sul benessere dell’uomo, dica l stessa cosa: «L’idea del suicidio, sintomi depressivi e una peggiore salute mentale sono associati ai rapporti sessuali occasionali», è stato rilevato da un’indagine pubblicata su “The Journal of Sex Research”.
Ma dopo la rivoluzione sessuale del ’68 è ancora più difficile accettare la visione della Chiesa sulla sessualità, cioè ordinata al dono di sé, non al piacere egoistico. Come ha spiegato il celebre filosofo Roger Scruton, siamo vittime di «un’ideologia che vuole ricostruire la sessualità senza legami con l’ordine naturale. Oggi si dà per scontato che le sole questioni morali che circondano l’atto sessuale siano quelle del consenso e della ‘sicurezza’. Per dirla con Foucalt, si è “problematicizzato” il sesso. Il gesto sessuale è ridotto a funzione corporale emancipata dalla moralità. L’educazione sessuale a scuola cerca di cancellare le differenze fra noi e gli animali, rimuovendo concetti come il proibito, il pericoloso o il sacro. L’iniziazione sessuale significa superare queste emozioni ‘negative’ e godere del ‘buon sesso’. Abbiamo incoraggiato i figli a un interesse depersonalizzato alla sessualità».
Anche diverse femministe oggi guardano deluse al fallimento del progetto di liberare la sessualità femminile da una presunta morale bigotta, e constatano rammaricate che l’unico risultato ottenuto è la «pornificazione del corpo femminile». Un recente documentario ha mostrato come l’educazione sessuale del Novecento ha “liberato” gli adolescenti da inibizioni e insicurezze, dirottandoli direttamente verso l’educazione attuale: la pornografica. Ovvero, la sessualità “liberata” dalla morale si è sclerotizzata.
Recentemente lo ha riconosciuto anche lo psicoanalista di “Repubblica” Massimo Recalcati che, nonostante il quotidiano per cui scrive, ha dimostrato più volte di infischiarsene di risultare politicamente scorretto nei suoi giudizi. Ha voluto identificare il punto cieco della sessuologia, quando diventa una «pedagogia disciplinare del corpo», ovvero ossessionata dalle «capacità performative degli organi» ma che «non sfiora il problema di cosa significa desiderare. Non è ancora stata inventata la pillola capace di accendere il desiderio. È il punto cieco della sessuologia che un mio vecchio paziente, dopo aver ottenuto il ripristino della capacità erettile del suo organo grazie a trattamenti farmacologici, mi descriveva smarrito: “e ora chi riuscirà a collegare l’organo ad un desiderio che non c’è?”».
Se «il desiderio si è eclissato, è morto, assente, svanito», di chi è la colpa? Anche Recalcati punta alla rivoluzione sessuale sessantottina: «Ci si potrebbe anche chiedere se la liberazione sessuale e la caduta di ogni velo sul corpo sessuale, abbiano giovato al desiderio, il quale, non dobbiamo dimenticare, si nutre sempre della distanza, della differenza, del mistero, della presenza del velo. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che gli entusiasmi per la cosiddetta liberazione sessuale hanno generato una nuova e forse più insidiosa gabbia rispetto a quella dei moralismi di ogni genere e specie. È quella del principio di prestazione che sembra colonizzare anche il mistero del corpo erotico».
Se questi sono i frutti della rivoluzione sessuale, si dovrebbe davvero dubitare che ci abbia davvero liberato. Liberato da cosa, oltretutto, non si sa. Certo, ha emancipato molti uomini dal legame con la moralità e, per questo, li ha resi schiavi delle loro pulsioni. Altro che liberazione.
La redazione, 15 gennaio 2015: http://www.uccronline.it/2015/01/15/massimo-recalcati-siamo-imprigionati-dalla-liberazione-sessuale/