Della vita di san Benedetto (Norcia, 480 ca – Montecassino, 21 marzo 547) conosciamo ciò che riferisce il secondo libro dei Dialoghi di Papa san Gregorio Magno (540 ca.-604), nel quale sta scritto: «L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina» (Dialoghi, Liber II, 36). Mentre della sua dottrina e della sua personalità possiamo trarre informazioni dalla Sancta Regula, quella che edificò l’intera Europa, devastata dalla decadenza dell’Impero romano, che non seppe rispondere all’invasione dei barbari.
Benedetto da Norcia resta nella storia, sia ecclesiastica che civile, come colui che rispose alle sfide dei suoi giorni e come uno dei più luminosi punti di riferimento. In un’epoca di profondi mutamenti, quando l’ordinamento romano stava crollando a causa delle sue mollezze e stava per sorgere una nuova era sotto l’impulso di popoli conquistatori e intraprendenti, san Benedetto assunse responsabilmente il compito di difendere l’identità classica e giudaico-cristiana d’Europa. Il suo impegno incommensurabile fu, dunque, religioso, sociale, civile.
Promosse la coltivazione razionale delle terre, contribuì alla salvaguardia dell’antico patrimonio culturale letterario, influì sulla trasformazione dei costumi dei barbari, instaurando un nuovo e originale tipo di vita comunitaria posta sotto una Regola da lui stesso stilata. Ecco la grandezza dei santi: essi si innestano saldamente sugli insegnamenti evangelici, adattandosi ai giorni contingenti, opponendosi agli accidenti – per usare un termine filosofico – anticristiani del tempo in cui sono chiamati a vivere.
Così, Benedetto, attraverso i suoi monaci, ha salvato l’identità cristiana, conservandola nella sua interezza, nonostante la messa a ferro e fuoco fisica e culturale di città e villaggi. Paolo VI, il 24 ottobre del 1964, con la Lettera apostolica Pacisnuntius, proclamò San Benedetto Abate patrono d’Europa: lui e i suoi figli, muniti dell’insostituibile carità cristiana, portarono con la croce, il libro, l’aratro, la civiltà e il progresso alle popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia. I neopagani oggi operano con l’intenzione di distruggere la civiltà che sopravvisse agli antichi barbari proprio grazie ai Benedettini.
Dopo 35 anni di vita eremitica e poi cenobitica a Subiaco, Benedetto, seguendo il confine con gli Abruzzi viaggiò verso Sud per 150 chilometri, raggiungendo un sito di incomparabile maestà, Montecassino. Qui vi era un tempio pagano. Sua prima cura fu quella di distruggere l’idolo, rovesciare l’ara e abbattere il bosco, considerato magico. Così, il luogo di culto di un dio olimpico, fra il 525 e il 529, divenne un oratorio dedicato al martire san Martino di Tours, iniziatore in Gallia della vita monastica; mentre un secondo oratorio, in onore di san Giovanni Battista (da sempre ritenuto modello di pratica ascetica), venne edificato al posto dell’ara sulla sommità del monte.
A Montecassino l’Abate Benedetto adattò antichi edifici e ne elevò di nuovi per le dimore dei monaci sempre più numerosi, rispettando la bellezza e l’armonia architettonica e artistica della cristianità, fino ad erigere l’Abazia, che lo vide impegnato come architetto, ingegnere, organizzatore.
Quantunque non sia stato mai rivestito del carattere sacerdotale, la vita di Benedetto a Montecassino, dove vivrà fino alla morte senza mai spostarsi, è quella di un monaco missionario e apostolo. In disparte dal mondo, ma ben presente al mondo. Ecco che il Re dei Goti, Totila, lo vuole incontrare, mettendo subito alla prova la sagacia spirituale del celebre Abate, dando ordine ad uno dei propri scudieri di presentarsi al suo posto, indossando gli abiti reali, accompagnato da tre autorevoli personaggi. Benedetto scopre immediatamente l’inganno, guadagnandosi il rispetto del sovrano.
Questo, non osando avvicinarsi, gli si prostra ai piedi. Così i Dialoghi descrivono il fatto, che avvenne nella seconda metà dell’anno 546: «Benedetto, il servo del Signore Gesù Cristo, si degna allora di avanzarsi verso il re per rialzarlo “Tu fai molto male e molto ne hai fatto: astieniti finalmente dall’iniquità. Entrerai in Roma e attraverserai il mare [fino in Sicilia]: regnerai nove anni e morrai il decimo» (Dialoghi, II, 15).
La profezia si adempirà pienamente. Prendendo spunto da regole precedenti, in particolare quelle di san Giovanni Cassiano, san Basilio, san Pacomio (fondatore del monachesimo cenobitico), san Cesario e dell’Anonimo della Regula Magistri, autore con il quale san Benedetto ebbe stretti rapporti, egli combinò in maniera mirabile la buona disciplina con il rispetto per la personalità e le capacità individuali, dando vita ad un codice su cui il saggio equilibrio si è imposto: la Regola benedettina è universalmente riconosciuta come felice sintesi di quelle precedenti, l’ideale compendio di due secoli di tradizione monastica, che ha cavalcato brillantemente i secoli, senza mai coprirsi di polvere.
Quattro sono i tratti essenziali della Regola: moderazione, gravità, giusto discernimento, dolcezza. La Regola definisce discretio la moderazione, fondata su un realismo scevro da ogni stravaganza, da ogni esibizione, e la si ritrova nelle cose più semplici, comuni, quotidiane, come il cibo e le bevande. La gravità della Regola sta nel rispetto del silenzio e nel controllo della comunicazione: «Le buffonerie (scurrilitates) nonché le espressioni oziose e ridicole, noi le escludiamo sempre e dovunque, e non permettiamo al discepolo di aprire la bocca per siffatti discorsi» (Regola, 6).
L’austerità è inscindibile da qualsiasi forma di vita monastica, che è in Occidente la versione mitigata di quella che conducevano i Padri del deserto del Vicino Oriente, del Basso e Alto Egitto, di Palestina e di Siria: è il distacco dal mondo e dai suoi valori. La dolcezza, severa e mai stucchevole, è, infine, riconducibile alla carità cristiana e al perdono. «Pregare per i nemici nell’amore di Cristo. Riconciliarsi con i propri avversari prima del tramonto del sole» (Regola, 4, 72-73). Tutto viene ordinato, comunque, al servizio di Dio, culminante nell’ Ufficio divino.
I due cardini della vita comunitaria sono il concetto di stabilitas loci (l’obbligo di risiedere per tutta la vita nello stesso monastero contro il vagabondaggio) e la conversatio, cioè la buona condotta morale, la pietà reciproca e l’obbedienza all’Abate, considerato padre premuroso (il nome deriva proprio dal siriaco abba, padre), mai chiamato superiore, e cardine di una famiglia ordinata, che scandisce il tempo (come ricorda la verga presente nell’iconografia di san Benedetto) nelle varie occupazioni della giornata, durante la quale la preghiera e il lavoro si alternano nel segno del motto ora et labora.
L’unità della comunità è sottoposta alle capacità dell’Abate, che nel correggere «agisca con prudenza e senza eccessi, perché, mentre vuole raschiare troppo la ruggine, non debba rompersi il vaso; sia sempre diffidente verso la propria fragilità e ricordi che non bisogna spezzare la canna sbattuta […]. Faccia in modo di essere amato piuttosto che temuto. Non sia agitato e inquieto, non sia esagerato e ostinato, non sia invidioso o troppo sospettoso, perché non avrebbe mai pace. Negli stessi suoi ordini […] sia prudente e moderato, tenendo presente la discrezione del santo Giacobbe che diceva: “Se affaticherò troppo i miei greggi, morranno tutti in un sol giorno” (Gen 33, 13). Adottando dunque questi e altri insegnamenti suggeriti dalla discrezione, madre di tutte le virtù, disponga ogni cosa in modo che ci sia ciò che i forti desiderino e che i deboli non possano evitare» (Regola, prol. 45-46; cap. LXIV, 12-19).
L’Abate prende le veci di Cristo e il monastero è immagine della Chiesa, rappresentando un piccolo stato autonomo autosufficiente, e i monasteri si organizzano in confederazioni monastiche, delle quali le più importanti sono le congregazioni di diritto pontificio cassinense e sublacense, originatesi rispettivamente attorno all’autorità dei monasteri di Montecassino e di Subiaco.
La preminenza assoluta che vi si riconosce alla preghiera rispetto alle occupazioni del mondo non è stata di ostacolo, al contrario, ha promosso l’espansione prodigiosa dei Benedettini nel corso del tempo. Molti furono i Papi, i patriarchi, i cardinali, i vescovi seguaci della Regola e i santi formati alla sua scuola si contano a migliaia. Affaticato e felice in Dio, il capostipite di una costellazione di anime votate al Signore, volle morire in piedi e in preghiera nell’oratorio dell’Abazia di Montecassino, sostenuto dai suoi figli e con le mani levate al Cielo. Era il 21 marzo 547.
San Benedetto è il modello di coloro che non rinunciano alle proprie radici, anzi, le nobilitano e le esaltano per evangelizzare e convertire, secondo il mandato di Gesù Cristo agli Apostoli.
Non così l’attuale Arcivescovo di Spoleto e Norcia, Monsignor Renato Boccardo, che, parlando della ricostruzione post-terremoto di Norcia, ha dichiarato che la Basilica di San Benedetto dovrà rispecchiare la modernità e diventare attrazione turistica «dando vita a una composizione tra quello che c’era prima e che si è salvato e qualcosa di nuovo, anche di ardito, capace comunque di diventare un simbolo e un’attrazione turistica mondiale sia dal punto di vista architettonico che della fede. La Basilica di San Benedetto è diventata l’icona di questo terremoto e allora credo sarebbe interessante promuovere un concorso internazionale, invitando gli architetti conosciuti ad avanzare proposte su come ricostruirla» (http://ansa.it/umbria/notizie/2017/02/01 /antico-moderno-per-nuova-basilica-norcia_c06f7508-eb80-49a9-8c73-e7438766a8af.html).
I Benedettini, che per sedici anni hanno custodito la Basilica, si sono spostati permanentemente nel granaio del vecchio Monastero di San Benedetto in Monte, una collina sopra il luogo natio di san Benedetto e della sorella gemella santa Scolastica, dove riedificheranno la nuova dimora della comunità. Intanto Unione europea e Stato italiano s’impegnano a ricostruire Basilica e monastero di Norcia di proprietà dell’Arcidiocesi: gli spazi saranno utilizzati dalla diocesi stessa.
Per l’ennesima volta avranno la meglio le scelte radical chic che la CEI ha, nella maggior parte dei casi, dimostrato da cinquant’anni a questa parte? Uno dei simboli cristiani più identitari e più potenti, già peraltro crollato a causa di precedenti terremoti, come d’altra parte la stessa Abbazia di Montecassino (distrutta dai Longobardi nel VI secolo e poi dagli Americani durante la seconda guerra mondiale), dovrebbe essere cancellato non dal terremoto, ma da una Chiesa asservita all’arte contemporanea gnostica, aniconica, anticattolica delle archistar?
(Cristina Siccardi, per https://www.corrispondenzaromana.it/crolla-non-lo-spirito-san-benedetto/ )