Di fronte alla situazione confusa creatasi nella chiesa in questi ultimi anni, che cosa avrebbe detto il prof. Plinio Corrêa de Oliveira?
Ecco la domanda che, in numero sempre crescente, si stanno facendo tanti discepoli e simpatizzanti del noto leader cattolico brasiliano, in Italia e all’estero.
Essendo egli scomparso nel 1995, è ovviamente impossibile rispondere con certezza apodittica. Possiamo, tuttavia, tracciare un parallelo con un’altra situazione storica.
Siamo nel 1970. Le riforme liturgiche volute da papa Paolo VI (il Novus Ordo Missae), avevano suscitato forti reazioni. I fedeli si sentivano smarriti e scoraggiati. Due autorevoli cardinali – Ottaviani e Baci – avevano scritto una supplica al Pontefice, presentando un «Breve Esame Critico del “Novus Ordo Missae”». Era la punta dell’iceberg di una richiesta di chiarezza che andrà crescendo nei decenni successivi.
Sul fronte politico, il Vaticano era impegnato nella cosiddetta Ostpolitik, ovvero la politica di dialogo e di concessioni al comunismo sovietico. La sua figura di punta era mons. Agostino Casaroli. Anni più tardi, il cardinale slovacco Ján Chryzostom Korec la sintetizzerà in una frase lapidaria: “L’Ostpolitik tradì la parte sana della Chiesa, la nostra grande speranza. L’Ostpolitik le tagliò le vene, lasciando migliaia di giovani profondamente sdegnati”.
Ci fu a Roma una marcia pubblica per chiedere luce sulle riforme nella Chiesa, alla quale parteciparono quasi duemila persone. Radunati davanti a piazza S. Pietro, i manifestanti chiesero l’attenzione del Pontefice, che non ottennero. Pochi giorni prima egli aveva ricevuto nella Cappella Sistina il patriarca scismatico Vasken.
Interpellato in merito, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira scrisse, sotto forma di un fittizio scambio epistolare, l’articolo che riproduciamo qui di seguito e che, crediamo, possa riflettere in maniera assai fedele l’atteggiamento che egli avrebbe avuto ai giorni nostri di fronte all’attuale situazione.
La perfetta gioia
Ho ricevuto dal signor Jeroboão Cândido Guerreiro la seguente lettera, coraggiosamente scritta e “firmata” a macchina:
“Leggendo le recenti notizie sulla manifestazione anti-progressista a Roma, e la sua triste conclusione, ho pensato a Lei.
“Dunque, millecinquecento cattolici di diversi paesi sono sfilati a Roma per esprimere a Paolo VI il loro dispiacere a proposito della riforma che sta facendo nella Chiesa. Tra le altre cose, vogliono che il vescovo di Roma continui a godere dello stesso potere assoluto dei suoi predecessori.
“Giunti in piazza S. Pietro, rimangono lì in sommessa veglia di preghiera a chiedere che Dio illumini Papa Montini. Questi, dal canto suo, tiene sdegnosamente la sua finestra chiusa per tutto il tempo in cui rimangono lì queste pecorelle… alle quali, tuttavia, egli non può imputare altro che il fatto di essere più papiste di lui. Il povero gregge della superfedeltà supercattolica e superpapista si disperde malinconicamente, senza aver ricevuto dal Pastore Supremo, al quale vuol restare unito, una sola parola di affetto paterno. Anzi, poco tempo dopo, in un’allocuzione Paolo VI li ha pure umiliati.
“Nei giorni precedenti era stato ricevuto con onori degni di un papa, nella Cappella Sistina, un ‘eretico’ (adotto qui la terminologia dei teologi cattolici) come il patriarca armeno Vasken.
“Ora Paolo VI si appresta a ricevere, certamente per qualche ‘dialogo’ seguito da concessioni, quel leader contestatore che è il cardinale Alfrink di Utrecht. Inoltre, pochi giorni dopo aver sbattuto la porta in faccia ai suoi infelici superfedeli, Paolo VI ha ricevuto con speciali riguardi tre leader guerriglieri marxisti dell’Africa portoghese. Per agosto è in programma la visita di Tito in Vaticano, dove sarà ricevuto con gli onori di un capo di Stato, e così via…
“Lei, dott. Plinio, non si accorge che le porte del Vaticano e il cuore del Papa sono aperti a tutti i venti e a tutte le voci, eccetto che ai venti ideologici che soffiano dal quadrante dove Lei si pone e alle voci che dicono cose simili a quelle che Lei dice?
“Francamente trovo fantastica la semplicità con cui Lei fa mostra, nei suoi articoli, di non vedere nulla di tutto questo e si professa cattolico fervoroso e intransigente come se oggi fosse papa non Montini ma Sarto (‘san’ Pio X), il truculento spaccaeretici di inizio secolo.
“L’intento di questa lettera non è di mortificarla, dott. Plinio, ma dopo tutto la verità è la verità: la guardi in faccia. Non vi è al mondo nessuno che sia rifiutato dal papato modernizzato e dalla Nuova Chiesa più di Lei e di quelli del suo stampo.
“Osservi bene il contrasto. Durante l’ultimo sinodo episcopale si sono riuniti in una chiesa protestante di Roma alcuni sacerdoti cattolici supercontestatori, che hanno portato a Paolo VI un messaggio sulfureo. Per essi le porte del Vaticano si sono aperte. Sono giunti fino all’anticamera papale. Hanno consegnato il loro messaggio. Paolo VI non li ha ricevuti in udienza, ma ha promesso in modo molto affabile che avrebbe studiato le richieste dei contestatori.
“Che ne è stato del messaggio della TFP, che implorava da Paolo VI provvedimenti contro quella che Lei chiama ‘infiltrazione comunista nella Chiesa’, benché firmata da un milione e seicentomila trecentosessantotto cattolici? Paolo VI non ha fatto seguire nessuna risposta! Chiedo: si può avere una prova più chiara di rifiuto?
“Ora, benché Le siano sbattute le porte in faccia, Lei si presenta pubblicamente come un papista fanatico, fanatico come lo era quando, ancora giovane, si faceva notare nelle file dei congregati mariani cantando l’inno ‘Viva il Papa, Dio protegga il Pastore della Santa Chiesa!’
“Non si accorge, dott. Plinio, che è cambiato tutto e che ora è Lei a essere alla berlina?
“Abbia il coraggio di spiegare al pubblico la sua odierna posizione contraddittoria…”
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Signor Jeroboão Cândido Guerreiro (Jeroboão è un nome da protestante: gli sta benissimo. Questo Jeroboão mi sembra poco candido e molto guerriero), comincio con il peraltro facile coraggio di pubblicare la sua lettera integralmente.
Benché sia tentato di entrare nel merito indicando alcuni errori di stile, di pensiero e di storia (presente e passata) del mio corrispondente, preferisco entrare nel cuore dell’argomento, nel poco spazio che il suo lungo testo mi lascia. E questo cuore consiste – trattandosi di un interlocutore di formazione protestante – nel mostrare come si dovrebbe comportare un cattolico, non precisamente nelle condizioni in cui mi trovo, ma nelle condizioni in cui immagina che io sia.
Il signor Jeroboão si sbaglia. Non mi pongo oggi davanti alla Santa Sede con il mio entusiasmo dei tempi della gioventù, ma con un entusiasmo ancora maggiore, e molto maggiore. Infatti, nella misura in cui vivo, penso e mi faccio un’esperienza, capisco e amo di più il Papa e il papato. E questo accadrebbe negli stessi termini anche se mi trovassi – ripeto – esattamente nella situazione che il signor Cândido Guerreiro descrive.
Ricordo ancora le lezioni di catechismo in cui mi venivano spiegati il papato, la sua divina istituzione, i suoi poteri, la sua missione. Il mio cuore di ragazzino (avevo allora nove anni) si riempì di ammirazione, di rapimento, di entusiasmo: avevo trovato l’ideale a cui mi sarei dedicato tutta la vita. Da allora a oggi, l’amore per questo ideale non ha fatto che crescere. E prego la Madonna che lo faccia aumentare in me sempre più, fino al mio ultimo respiro. Desidero che l’ultimo atto del mio intelletto sia un atto di fede nel papato; che il mio ultimo atto di volontà sia un atto di amore per il papato. Così, infatti, morirei nella pace degli eletti, ben unito a Maria mia Madre, e per mezzo di Lei a Gesù, mio Dio, mio Re e mio buonissimo Redentore.
E questo amore per il papato non è in me un amore astratto. Include un amore speciale per la sacrosanta persona del Papa, sia quello di ieri sia quello di oggi o quello di domani. Amore di venerazione, amore di ubbidienza.
Sì, insisto: di ubbidienza. Desidero dare a ogni insegnamento di questo Papa come a quelli dei suoi predecessori e dei suoi successori, tutta quella misura di adesione che la dottrina della Chiesa mi prescrive, considerando come infallibile quanto comanda di considerare infallibile e come fallibile quanto insegna che è fallibile.
Desidero ubbidire agli ordini di questo o di qualsiasi altro Papa in tutta la misura in cui la Chiesa comanda che siano ubbiditi. Cioè non anteponendo mai a essi la mia volontà personale, né la forza di qualsiasi potere terreno, e rifiutando l’ubbidienza a un ordine del Papa soltanto, e assolutamente soltanto, nel caso che comportasse un peccato. Infatti in questo caso estremo, come insegnano – ripetendo l’apostolo san Paolo – tutti i moralisti cattolici, è necessario mettere al disopra di tutto la volontà di Dio.
Ecco quanto mi è stato insegnato nelle lezioni di catechismo, ecco quanto ho letto nei trattati che ho studiato; così penso, così sento, così sono. E di tutto cuore.
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Come ho già detto, avrei qua e là alcune precisazioni e rettifiche da fare a proposito dei fatti che Lei narra. Immaginiamo tuttavia – per ipotesi – che siano così come Lei li descrive, e che le porte del Vaticano mi siano state sbattute o stiano per essermi sbattute in faccia. Io non cambierei in nulla il mio atteggiamento di fede, di entusiasmo e di ubbidienza. E, inoltre, mi sentirei perfettamente felice.
Sa cosa ci insegna san Francesco sulla perfetta gioia? Per refrigerio e gaudio della sua anima lo trascrivo dai Fioretti, anche se in sunto:
“Venendo una volta Santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angeli con frate Leone a tempo di verno, e il freddo grandissimo fortemente li crucciava, […] frate Leone con grande ammirazione il demandò e disse: ‘Padre, io ti prego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta gioia’. E Santo Francesco sì gli rispose: ‘Quando noi giungeremo a Santa Maria degli Angeli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di lodo e afflitti di fame, e picchieremo la porta del luogo, e il portinaio verrà adirato e dirà: – Chi siete voi? – e noi diremo: – Noi siamo due de’ vostri frati – e colui dirà: – Voi non dite vero; anzi siete due ribaldi che andate ingannando il mondo e rubando le elemosine dei poveri, andate via – e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all’acqua, col freddo e colla fame, insino alla notte, allora, se noi tanta ingiuria e tanta crudeltate e tanti commiati sosterremo pazientemente senza turbazione e senza mormorare di lui, […] scrivi che quivi è perfetta gioia. E se noi, pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l’amore di Dio, con grande pianto, che ci apra e mettaci pure dentro e quegli più scandalizzato dirà: – Costoro sono gaglioffi importuni, io gli pagherò bene come sono degni – e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto e piglieracci per lo capuccio e gitteracci a terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo a nodo con quello bastone; se noi queste cose sosterremo pazientemente con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Leone iscrivi che qui e in questo è perfetta gioia. E però odi la conclusione, frate Leone. Sopra tutte le grazie, e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere sé medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie ed obbrobri e disagi” (I fioretti di S. Francesco, Vita e Pensiero, Milano 1970, pp. 57-60).
Plinio Corrêa de Oliveira, 12-07-1970