I tre atteggiamenti denunciati dall’arcivescovo sono i seguenti: Pensare che i cattolici debbano proporre valori e non impegnarsi nel campo delle leggi perché sarebbe ideologia;
Pensare che l’impegno pro-life visibile in piazza e organizzato sia una prova di forza non cristiana;
Pensare che la biopolitica e la bioetica debbano allargarsi alla difesa dell’ambiente e ad altri ambiti oltre aborto, eutanasia, procreazione.
- Dedico questo mio intervento ad una riflessione sulla centralità del tema della difesa della vita umana dal concepimento alla sua fine naturale per la Dottrina sociale della Chiesa e, in generale, per continuare a permettere che la religione cattolica abbia un ruolo pubblico, come deve necessariamente avere[1]. Ritengo importante situare la riflessione sulla difesa della vita dentro la Dottrina sociale della Chiesa, ossia dentro il rapporto della Chiesa con il mondo. Perché in questo consiste il ruolo pubblico della fede cattolica, che non parla solo all’interiorità delle persone, non è un viatico solo per i fedeli, non è un positivismo cattolico, ma esprime la Verità e, così facendo, parla a tutti gli uomini con il linguaggio di tutti gli uomini. Senza questa dimensione pubblica, la fede cattolica diventa una gnosi individuale, un culto non del Dio Vero ed Unico ma degli dèi, una setta che persegue obiettivi di rassicurazione psicologica rispetto alla paura di essere “gettati” nell’esistenza.
- Innanzitutto il tema della difesa della vita porta con sé il messaggio della natura. Ci dice che esiste una natura e, in particolare, una natura umana. Non ci sono altre motivazioni valide per chiedere il rispetto del diritto alla vita e, per contro, chi non lo rispetta è perché nega l’esistenza di una natura umana o la riduce ad una serie di fenomeni governati dalla necessità o caratterizzati dal caso. La vita, invece, ci riconduce alla natura orientata finalisticamente, come lingua, come codice[2], come vocazione. La nostra cultura ha perso l’idea di fine[3]. Ha cominciato a perderla quando Cartesio ha interpretato il mondo come una macchina e Dio come colui che ha dato un calcio al mondo, o forse anche prima. Oggi viviamo in una cultura post-naturale, come dimostra ampiamente il perversare dell’ideologia del gender[4], da vedersi come una cultura post-finalistica. Il principio di causalità, che nella filosofia classica, era connesso con quello di finalità, se ne è staccato. La realtà non esprime più un disegno ma solo una sequenza di cause materiali. Rilanciare una cultura della difesa della vita significa allora anche recuperare la cultura della natura così intesa e la cultura dei fini.
- Il concetto di natura porta con sé la dimensione dell’indisponibile. Se la natura è “discorso” e “parola”, essa esprime un senso che ci precede. Non siamo solo produttori di parole, siamo anche uditori della parola che promana dalle cose, dalla realtà, dalla sinfonia dell’essere. Ammettere la vita come dono inestimabile significa riconoscere che nella natura c’è una parola che ci viene incontro e che ci precede. Ogni nostro fare deve tener conto di qualcosa che viene prima: il ricevere precede il fare[5]. C’è qualcosa di stabile prima di ogni divenire. Negare la natura apre la porta culturale alla manipolazione della vita, perché viene meno la dimensione dell’accoglienza e della gratitudine. Non si è accoglienti e grati nei confronti di ciò che produciamo noi, ma solo di ciò che ci viene incontro e si manifesta come un dono di senso. Se questa dimensione viene meno a proposito della vita nascente si indebolirà anche in tutte le altre situazioni della vita e la società perderà inesorabilmente la dimensione della reciproca responsabilità, come afferma la Caritas in veritate al paragrafo 28[6].
- Se la natura è un discorso che ci interpella non ne è però il fondamento ultimo. La natura non dice mai solo se stessa. La vita nascente non dice mai solo se stessa. È discorso che rimanda ad un Autore. Anche nella persona umana nessun livello dice solo se stesso e non c’è nulla nell’uomo di esclusivamente materiale. Nessun livello della realtà è pienamente comprensibile rimanendo al suo proprio livello. Quando pretendiamo di considerare qualcosa solo al suo livello finisce che non la consideriamo più nemmeno a quel livello: «Quando le cose ci sembrano essere solo quel che sembrano, presto ci sembreranno essere ancor meno»[7]. La natura rivela il Creatore, si presenta non solo come discorso ma anche come “discorso pronunciato”, come Parola. Quando si è tentato di staccare la natura dal Creatore si è finito per perdere anche la natura. Quando si vuole staccare il diritto naturale dal diritto divino si finisce per perdere anche il diritto naturale. Quando si stacca la dimensione fisica della persona dalla sua dimensione spirituale e trascendente si finisce per non tutelare più nemmeno la sua dimensione fisica. Se si pensa che la natura dica solo se stessa, finisce che la natura non ci dice più niente. Oggi la vita nascente rischia di non dire più niente, ossia di non venire nemmeno più compresa come vita nascente, ma come semplice processo biologico. Nei suoi confronti ci si comporta sempre più come produttori piuttosto che come uditori. Ma non è la natura a non dirci più niente, è la nostra cultura che ha perso il codice per comprenderla. E questo codice non è solo un alfabeto umano.
- Allora il tema della difesa della vita rimanda alla natura, rimanda a quanto ci precede e rimanda al Creatore. Difendere la vita è difendere la vita, ma è anche fare un’operazione culturale alternativa alla cultura attuale: ricominciare a parlare di un ordine e non solo di autodeterminazione. C’è un ordine che ci precede voluto da un Ordinatore. Il Creato è un ordine e non un mucchio di cose gettate a caso. Questo ordine è ordinato ed ordinativo, ossia esprime un dover essere e un dover fare. In altre parole è un ordine morale. Se quello ontologico è un ordine, non può non tradursi in un ordine morale[8]. Eliminato il bene ontologico non c’è più spazio per il bene morale. All’ordine morale radicato nell’ordine ontologico appartiene anche la società, la convivenza umana. Ecco perché il tema della difesa della vita è centrale per la costruzione della convivenza umana degna della dignità naturale e soprannaturale della persona. Ecco perché – credo di poter dire – negli elenchi dei cosiddetti “principi non negoziabili” il principio del rispetto della vita figura sempre al primo posto e non manca mai.
- Solo se c’è una natura, e solo se questa natura è in sé un discorso, è possibile l’uso della ragione. Parlo qui non della ragione misurante i fenomeni, ma della ragione che scopre orizzonti di senso. Solo se l’ordine sociale si fonda su una simile natura è possibile l’uso della ragione pubblica. Viceversa, si avrà solo la ragione operativa o procedurale[9]. Si capisce quindi perché la difesa della vita abbia una importanza fondamentale per ricostruire la possibilità stessa di un uso pubblico della ragione. Ed infatti – lo vediamo – la negazione del dovere pubblico di proteggere la vita nascente nasce da una diserzione della ragione ad essere ragione pubblica, riducendosi a ragione privata. La verità accomuna, le opinioni dividono. È molto significativo che anche filosofi come Habermas abbiano di recente riconosciuto la fondamentale importanza del concetto di natura[10], vista ancora in senso non pieno, ma comunque tale da riconoscere i limiti di una ragione solo procedurale.
- L’uso pubblico della ragione è di fondamentale importanza per il ruolo pubblico della fede cattolica. Questa, infatti, non trasferisce immediatamente il diritto rivelato nel diritto civile, ma si affida al diritto naturale, quindi al concetto di natura e di ragione pubblica[11]. A quest’ultima spetta il compito di riconoscere l’ordine sociale come un discorso finalistico sulla convivenza umana. La fede non si sostituisce alla ragione. Ma non la abbandona nemmeno a se stessa. Se non c’è ordine naturale non c’è ragione pubblica, se non c’è ragione pubblica non c’è dialogo pubblico tra ragione e fede. Se non c’è dialogo pubblico tra ragione e fede non c’è dimensione pubblica della fede cattolica. Se non c’è dimensione pubblica della fede cattolica non c’è la fede cattolica. Lo riscontriamo: man mano che la ragione si privatizza anche la fede si privatizza. Se il credente, quando entra nella pubblica piazza, deve rinunciare alle ragioni della propria fede, alla fine pensa che la propria fede non abbia ragioni. Ma senza ragioni viene meno non solo il versante pubblico della fede, bensì anche quello personale ed intimo. Ecco perché il tema della difesa della vita umana fin dal concepimento è fondamentale per mantenere e sviluppare il dialogo tra la ragione e la fede. E, come si sa, proprio in questo consiste la Dottrina sociale della Chiesa.
- Oggi, da molte parti nel mondo cattolico si pensa che le comunità cristiane e soprattutto i laici debbano limitarsi a seminare valori piuttosto che impegnarsi nel campo delle leggi a favore della vita o delle politiche governative pro-life. Si ritiene che un impegno pubblico pro-life “visibile” e organizzato costituisca una prova di forza che trasforma la fede cristiana in una ideologia politica. Inoltre si pensa che sia venuto il momento di espandere il tema della vita al di là dei due momenti della nascita e della morte (aborto ed eutanasia) per affrontare il tema della vita in tutti i suoi aspetti. La bioetica e la biopolitica dovrebbero allargare il proprio orizzonte. A questo proposito vorrei fare due brevi osservazioni. L’idea che affermare la verità in pubblico, compresi i livelli politico e giuridico, sia un atto di forza che trasforma la fede in ideologia risente dell’influenza del moderno pensiero debole secondo cui l’affermazione della verità è una sostanziale arroganza. Noi pensiamo invece che sia un dovere morale e un atto di carità. Quanto all’allargamento del tema della vita oltre i temi, diciamo così, classici, per comprendere anche gli immigrati, i disoccupati o la difesa dell’ambiente dal riscaldamento globale, segnalo il pericolo che, aumentando l’estensione diminuisca la comprensione, e si perda di vista la particolare e tragica gravità dell’aborto, dell’eutanasia o del sacrificio di embrioni umani con la fecondazione artificiale, mettendo tutto sullo stesso piano. Ne risulterebbe un cambiamento inaccettabile dell’agenda della lotta per la vita.
- La fede nella vita è benefica anche per la vita della fede. Per ottenere questo risultato è necessario collocare il tema della difesa della vita dentro la Dottrina sociale della Chiesa, come del resto ha fatto il Magistero a cominciare dalla Evangelium vitae. In questo caso non si chiude il tema della vita dentro un recinto. In realtà così facendo lo si colloca là dove la Chiesa si interfaccia con il mondo e dove ragione pubblica e fede pubblica dialogano tra loro dentro l’unità della Verità.
S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Prolusione al 51mo Convegno sui problemi internazionali dell’Istituto Nicolò Rezzara, Vicenza 27 settembre 2018
da: http://www.vanthuanobservatory.org/ita/la-difesa-della-vita-umana-51mo-convegno-sui-problemi-internazionali/
[1] Ho illustrato le ragioni teologiche del ruolo pubblico della fede nel primo capitolo del mio libro Il Cattolico in politica. Manuale per la ripresa, Cantagalli, Siena 20122.
[2] Della natura umana come “lingua” ha parlato, per esempio, Benedetto XVI nel Discorso ad un gruppo di Vescovi degli Stati Uniti in visita “ad limina”del 19 gennaio 2012.
[3] Cf R. Spaemann-Reinhard Löw, Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teleologico, Ares, Milano 2013.
[4] Cf G. Crepaldi e S. Fontana, Quarto Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo – La colonizzazione della natura umana, Cantagalli, Siena 2012.
[5]J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico, dodicesima edizione con un nuovo saggio introduttivo, Queriniana, Brescia 2003, pp. 41. Ho ritenuto di dover interpretare l’intesa enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate in questa chiave: G. Crepaldi, Introduzione a Benedetto XVI, Caritas in veritate, Cantagalli, Siena 2009, pp. 7-42.
[6] «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono” (Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate n. 28).
[7] In margine a un testo implicito, Adelphi, Milano 1996.
[8] Lo spiega molto bene J. Pieper in La realtà e il bene, Morcelliana, Brescia 2011.
[9] G. Crepaldi, Ragione pubblica e verità del Cristianesimo negli insegnamenti di Benedetto XVI, in G. Crepaldi, Dio o gli dèi. Dottrina sociale della Chiesa, percorsi, Cantagalli, Siena 2008, pp. 81-94.
[10] M. Borghesi, I presupposti naturali del poter-essere-se-stessi. La polarità natura-libertà di Jürgen Habermas, in F. Russo (a cura di), Natura cultura libertà, Armando, Roma 2010.
[11] Benedetto XVI, Discorso al Reichstag di Berlino, 22 settembre 2011.
Domani il mondo ci incolperà di non essere stati fedeli al Vangelo e al mondo non gridando in modo forte la difesa di ogni vita a cominciare dalla più indifeasa. Per questo, pur essendo d’accordo su quanto detto nella prolusione credo che la vita va difesa assolutamente in ogni suo momento.