La storia che stiamo per raccontarvi è emblematica della crisi di fede che sta attraversando la Chiesa oggi. Da un lato c’è un vescovo che difende la verità sul matrimonio e la dottrina cattolica nella sua interezza, dall’altro ci sono degli uomini di Chiesa che hanno smarrito il senso della loro vocazione, anteponendo il mondo al bene delle anime.
La storia, riferita dalla Cna, viene dagli Stati Uniti, arcidiocesi di Indianapolis, dove una scuola superiore gestita dai gesuiti non sarà più riconosciuta come cattolica.
Il motivo? In quella scuola, la Brebeuf Jesuit Preparatory School, opera un insegnante che ha contratto un «matrimonio civile con una persona dello stesso sesso», circostanza di cui l’istituto è venuto a conoscenza nell’estate del 2017, secondo quanto scrive in una dichiarazione il gesuita Brian Paulson, superiore provinciale del Midwest.
Il fatto era tra l’altro divenuto pubblicamente noto attraverso i social network, generando quindi anche pubblico scandalo. Da allora l’arcidiocesi, retta da fine luglio 2017 dall’arcivescovo Charles Thompson, ha chiesto alla scuola cattolica di non rinnovare il contratto con l’insegnante, alla luce del suo stato di vita manifestamente contrario alla legge di Dio. Ma in questi due anni i dirigenti dell’istituto si sono sempre rifiutati di obbedire alla richiesta del vescovo.
Da qui la decisione di monsignor Thompson (nella foto), che in una dichiarazione resa pubblica il 20 giugno ha spiegato che tutti gli insegnanti di una scuola cattolica operano come «ministri» perché «è loro dovere e privilegio assicurare che gli studenti ricevano istruzione nella dottrina e pratica cattolica. Per testimoniare efficacemente Cristo, anche se non insegnano religione, tutti i ministri nelle loro vite professionali e private devono trasmettere e sostenere l’insegnamento della Chiesa cattolica». Perciò, alla luce del rifiuto dei vertici della scuola di risolvere il contratto con l’insegnante gay, «la Brebeuf Jesuit Preparatory School non sarà più riconosciuta come un’istituzione cattolica dall’Arcidiocesi di Indianapolis».
I dirigenti della Brebeuf, con in testa il presidente (il gesuita William Verbryke), hanno immediatamente risposto con una lettera aperta alla comunità scolastica in cui si afferma che «la nostra identità di istituzione cattolica gesuita rimane immutata». E sempre il 20 giugno c’è stata la già citata dichiarazione del provinciale Paulson, secondo cui la direttiva dell’arcivescovo violerebbe «la nostra coscienza informata» e costituirebbe «un preoccupante precedente per l’interferenza futura nelle attività della scuola».
«Riconosciamo che a volte alcune persone associate alla nostra missione prendono decisioni morali personali in contrasto con la dottrina della Chiesa; facciamo del nostro meglio per aiutarli a crescere in santità, tutti noi siamo amati peccatori che desiderano seguire Gesù», scrive ancora padre Paulson: eppure, presupposto per la crescita in santità non può che essere la rottura di un rapporto, come quello omosessuale, in aperta contraddizione con il disegno di Dio, e che da almeno due anni è motivo di scandalo innanzitutto per le centinaia di studenti che in quella scuola dovrebbero ricevere un’educazione cattolica. E certo non si aiuta l’insegnante gay, se lo si conferma come se il suo stato di peccatore manifesto fosse irrilevante.
Paulson ha reso noto che la sua Provincia farà ricorso contro la decisione di monsignor Thompson, prima appellandosi allo stesso arcivescovo, e poi, «se necessario, [presentando] ricorso gerarchico al Vaticano». Annuncio che è stato subito seguito dal tweet del gesuita James Martin, compiaciuto del fatto che la scuola stia «con i suoi impiegati Lgbt».
Difficile dire come andrà a finire. Certo è che il Codice di diritto canonico, in riferimento alle scuole gestite da ordini religiosi, pur richiamando al canone 806 «la loro autonomia sulla conduzione interna di tali scuole», afferma allo stesso canone che «al Vescovo diocesano […] compete dare disposizioni che concernono l’ordinamento generale delle scuole cattoliche».
In modo ancora più specifico, il canone 803 prescrive che «i maestri si distinguano per retta dottrina e per probità di vita». E aggiunge subito dopo: «Nessuna scuola, benché effettivamente cattolica, porti il nome di scuola cattolica, se non per consenso della competente autorità ecclesiastica».
Un’ultima nota: quella scuola è intitolata al missionario san Giovanni di Brebeuf (1593-1649), uno che insieme ad altri compagni gesuiti testimoniò Cristo fino al martirio. Preghiamo per la loro intercessione.
Emermes Dovico, per http://www.iltimone.org/news-timone/questa-scuola-non-piu-cattolica/
Fratres ac Sorores, ricordo, con nostalgia, “la campanela” (oratorio, in comasco), dove il Parroco, con la talare impolverata dalla partita di calcio, dava, GRATIS ET AMORE DEI, ripetizioni di latino e greco ed istruiva sul Galileo e la vita.
Ahimè, è stato tutto rottamato, anche per collaborazionismo e grave ed acquiescente responsabilità di una certa chiesa, non certo Madre, una volta.
Ma è scritto: μὴ μεριμνᾶτε . Si tratta, solo, di aver pazienza e pregare, anche col Salmo 109/108.
G.Vigni