(Avvenire) B. XVI messaggero di Speranza

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Avvenire 30-4-2009

L’ECO DELLA VISITA DEL PAPA  HA TRASFORMATO IL NOSTRO LAMENTO IN DANZA 

 DON LUIGI MARIA EPICOCO

 « Hai trasformato il nostro la­mento in danza». Questo ver­setto dei Salmi è la descrizione poetica di ciò che è accaduto a noi e alla nostra gente a L’Aquila, martedì, durante la vi­sita del Papa. Abbiamo tutti sperimen­tato, nonostante gli occhi ancora gonfi di lacrime, che persino i pianti possono diventare fecondi quando qualcuno ti ricorda che non tutto è perduto se ri­mane la voglia, la decisione, la passione di ricominciare. Questo ha fatto per noi il Santo Padre. Ci ha confermati nella fe­de, ma soprattutto ci ha ridato speran­za. È venuto a rialzare i muri caduti del­le certezze e degli entusiasmi, e ci ha in­dicato direzioni più alte delle macerie che ci circondano.

  Lo sappiamo: quando si soffre – come noi aquilani ora – il dolore rischia di di­ventare totalizzante, l’unica chiave di let­tura di tutta la storia. Ma chi ti vuole dav­vero bene non ti compiange, né ti asse­conda: aiuta piuttosto a ricordare, a guardare tutta la realtà, non solo quella che fa più rumore e più male.
  Così anche la pioggia silenziosa delle o­re trascorse insieme al Pontefice è di­ventata una benedizione, e il sole na­scosto dietro le nuvole lo si è visto ri­splendere sui volti della gente, della no­stra gente. Nei sorrisi rugosi degli anzia­ni e nelle irrequietezze dei bambini, tra gli occhi lucidi dei giovani e le mani stret­te dei superstiti. Il Papa è con noi. Non ha regalato scampoli di benedizioni ma ci ha offerto una paternità forte su cui poggiare progetti di ricostruzione che non possono crescere orfani di amore. Solo quando qualcuno si sente amato riesce a osare, a rischiare, a provare vie audaci di ripresa. È questo Amore che abbiamo sperimentato tutti. Certe cose, però, non le puoi davvero raccontare, perché la parola tradisce l’esperienza. Puoi solo sperare che gli altri si fidino che quanto hai vissuto non ha la durata di un’emozione ma il respiro di una vita rinnovata.
  E allora Onna non è più solo la capitale di questo terremoto ma l’avamposto da cui proclamare che è tempo di svegliar­si dai convenevoli della tragedia, che è pronta la primavera della gente, delle i­stituzioni, della Chiesa, di tutti gli uo­mini di buona volontà. Collemaggio non è più solo una basilica caduta ma il can­tiere di una Chiesa più grande di quel re­cinto che non ha bisogno solo di un nuo­vo tetto ma di persone rinnovate, fedeli non più sonnecchianti fra i banchi per­ché già pronti alle porte per recare nel mondo la buona novella del perdono che il Papa Celestino ha lasciato tra quelle navate. La Casa dello studente non è più soltanto il teatro macabro di chi ha visto tradito il proprio futuro ed è rimasto sot­to quelle mura, ma il promemoria per chi vorrà ricostruire, affinché l’ingegne­ria sia abitata non solo dai buoni calco­li ma da consapevoli coscienze che san­no riconoscere il valore della vita, più grande di qualsiasi interesse.
  Questo ha fatto per noi Pietro. Ha tra­sformato l’orrore in uno sguardo nuovo, «il nostro lamento in danza». Ma non è magia: è l’ottimismo della fede, che sgor­ga dal cuore di ciascuno, e si fa proget­to. Il Papa non è un super-eroe venuto a fugare i problemi della nostra gente: ci ha ricordato che le ferite di oggi non han­no contratti eterni, e che insieme pos­siamo trovare soluzioni a lunga scaden­za.
 
Ce l’ha ricordato ieri anche il nostro ar­civescovo aquilano, lui che ha piantato la tenda fra le tende della sua gente: «Qualcuno è venuto ad asciugare le no­stre lacrime e a confortare i nostri dolo­ri. E questo Padre e Amico è lo stesso vi­cario di Cristo e Successore di Pietro, che ci ha manifestato così la vicinanza di tut­ta la Chiesa universale». Le parole del Papa diverranno «un primo fecondissi­mo seme di un mondo nuovo che si in­travede già dietro le rovine del terremo­to ». Ora per noi non è più tempo di utopie ma di impegno. Da oggi la nostra spe­ranza è un cantiere.