(Avvenire) L'uomo-macchina da laboratorio ed il rifiuto di Dio

Sharing is caring!

Quell’ansia nichilistica di negare ‘padre’ e ‘madre’

Le ultime
dall’Inghilterra degli esperimenti

Marina Corradi

Avvenire, 1 febbraio 2008

Nelle scuole britanniche non si
potrà più dire ‘mamma’ e ‘papà. Il ministero della Istruzione prepara una
direttiva in questo senso. Si potrà dire soltanto ‘genitori’, per rispetto di
quegli alunni che si trovino ad avere a casa una coppia di madri lesbiche, o
una coppia di padri gay, o ogni altra di quelle declinazioni di ‘famiglie’,
rigorosamente al plurale, di cui la Gran Bretagna è antesignana e maestra.

Due anni fa andò sui tabloid
inglesi la storia di una coppia gay in cui un partner, in procinto di diventare
chirurgicamente donna, congelò il proprio seme per potere essere biologicamente
padre grazie a una donna che ‘prestasse’ il suo utero. Una situazione
ingarbugliata per il nascituro: papà e la donna che lui chiama mamma erano la
stessa persona. Per evitare, in questa crescente complessità, traumi ai
ragazzini dunque il Ministero taglia la testa al toro: di dice ‘genitori’, e
basta, mai più padre e madre.

Ricordarsi di Huxley è
inevitabile: quella parola, ‘mamma’, che ne ‘Il mondo nuovo’ genera pudichi
gridolini di orrore – come di dame vittoriane davanti a qualcosa di
sconveniente ­perché quel mondo nuovo i figli li fabbrica con una catena di
montaggio, e l’idea di una procreazione carnale s’è fatta indecente. Ma
l’editto del Ministero non ce l’ha solo o tanto con la mamma, ma anche e
altrettanto con il papà.

Anzi, forse di più. Il padre,
alla cultura del ‘gender’ – cioè della identità sessuale definita come pura
scelta culturale, e non come dato originario – risulta ancora più antipatico
della mamma. Il padre è archetipo di autorità e autorevolezza, e dunque di
maschilismo. Il padre va spazzato via: concretamente – come in quel sito web
inglese ‘Man not included’, ‘Uomo non incluso’, che vendeva on line seme
anonimo per aspiranti madri autarchiche; e anche culturalmente, e perfino spiritualmente.
La nuova versione del Nuovo testamento dell’Università di Oxford, – il faro
della cultura occidentale – così trascrive il Padre Nostro: ‘Padre/Madre nostra
che sei nei cieli’. Oppure, Gesù ai genitori, nel Tempio: ‘Perché mi cercate?
Non sapevate che io ero nella casa del Padre/Madre?’ La ‘grida’ del Ministero
per l’Istruzione britannico può fare sorridere. E però, dietro l’idiozia di
pensare di proibire ai ragazzi di dire ‘mamma’, sta, sotto le garbate apparenze
del politically correct, una pretesa dura e brutale.

Non dite madre, non dite padre,
questi sono stereotipi, ruoli imposti da una tradizione oscurantista. Nel nuovo
mondo la cultura del ‘gender’ disfa tutto: le madri non sono necessariamente
donne, i padri non sono obbligatoriamente uomini, e di padri se ne può avere
due e di madri nessuna, o viceversa, a piacere – a piacere, si intende, non dei
figli, ma di chi più o meno naturalmente li mette al mondo.

Dall’articolo 124 comma k della
Piattaforma di Pechino: ‘Adottare tutte le misure appropriate, soprattutto nel
campo della istruzione, per modificare i modelli di comportamento di uomini e
donne, e per eliminare i pregiudizi e le pratiche tradizionali’, ‘basate su
ruoli stereotipati maschili e femminili’.

E ci siamo, il Pechino-pensiero
s’affaccia nelle scuole. Il nemico vero da abbattere è l’idea che uomo e donna,
e dunque padre e madre siano identità originarie e anteriori. Qualcosa di
‘dato’ da un ordine creatore. Che ci sia un ‘prima’ a definirci, e non solo la
cultura e la storia e le scelte personali. L’ostilità al ‘dato’, scrisse Hannah
Arendt, è un segno distintivo della modernità. E quindi l’ansia rancorosa di
negare quel ‘Maschio e femmina li creò’. Ora istruiscono i bambini: mamma e
papà, non si dice. Sarà difficile però educarli bene fin da piccoli. A cinque
anni, hanno ancora scritta addosso chiara una domanda. Di una madre, di un
padre, di un disegno, di crescere – di continuare.