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Indagine choc della Società di Pediatria sulle teenager italiane, tra amore, alcol e fumo
Le ragazzine e il sesso: a 12 anni senza limiti
Alla domanda «Cosa vuoi fare da grande?» al primo posto la velina, al secondo «Non so»
CorSera 20-11-2007 ROMA — L’allarme è stato come un fascio di luce che acceca: ci sono baby squillo sulle strade. Ce l’hanno messe i loro coetanei, per pagare debiti del gioco d’azzardo. Giuliano Amato, ministro dell’Interno, ha lanciato un sasso, l’altro giorno. E adesso rischia di venire giù una montagna. Perché quella del titolare del Viminale è la punta dell’iceberg. Ma basta fermarsi un attimo e scoprire che l’infanzia più tradizionale, ormai, non riesce a superare le classi elementari. Perché: c’erano una volta i bambini. E le bambine che giocavano con le bambole. Avevano dodici-tredici anni. E la Società italiana di pediatria (la Sip) li interrogava con domande tipo: che giornali girano in casa tua? Usi il computer? Qual è l’avvenimento che ti ha colpito di più quest’anno? L’ultima ricerca fatta così è datata 2003: non serviva più a niente. Non di certo a fotografare la realtà. E adesso a leggere l’ultima ricerca della Società dei pediatri presieduta da Pasquale Di Pietro, quella del 2006, vengono i brividi. Proprio oggi che anche in Italia celebriamo la Giornata dell’Infanzia. Il campione: 1.251 bambini tra i 12 e i 14 anni. Una domanda. Una delle tante del questionario: «Hai mai visto un tuo amico ubriaco?». Sì, dice il 37,4% del campione. Non solo, l’8,4% aggiunge: spesso. Un’altra domanda: conosci qualcuno tra i tuoi amici che ha fumato una canna? E questa volta è quasi uno su due (44,3%) a rispondere un tondo: sì. Un altro esempio? Tre ragazzini su quattro non esitano a confessare di fare cose che loro stessi definiscono rischiose, come ubriacarsi, appunto, bere liquori, prendere farmaci, uscire da soli la sera tardi, avere rapporti sessuali non protetti. Già: hanno rapporti sessuali frequenti, i nostri ex bambini.
Modelli educativi
Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra dell’età evolutiva, non ha dubbi: «L’anticipazione delle tappe dello sviluppo è dovuta ai modelli educativi. Come dire? Sono stati mamma e papà che hanno voluto che succedesse, si sono dati da fare per diversificare il modello culturale che loro avevano ricevuto. Hanno accelerato le capacità di socializzazione dei loro figli. Hanno tolto loro il senso di colpa, il senso della paura. Basta provare, per credere. Basta entrare in una qualsiasi seconda media d’Italia e capire che è impossibile far sentire in colpa questi ragazzi o mettere loro in qualche modo paura». Succede così anche nella seconda media statale di Gela, Sicilia? «I ragazzi sono molto decisi, è vero», garantisce Ela Aliosta, preside della scuola media alle soglie della pensione. Sono quarant’anni che la signora Aliosta ha a che fare con i ragazzi delle medie. Dice adesso: «Sono cambiati. E molto. Fisicamente, prima di tutto: un tempo le femmine arrivavano ragazzine in terza media. Oggi assomigliano a donne già quando entrano in prima. Soprattutto per come si vestono, si truccano, si pettinano i capelli. Con la complicità dei genitori, è ovvio».
«Faccio la velina»
Oppure la cubista, la show girl, la ballerina. Alla più tradizionale delle domande: «Cosa vuoi fare da grande?», le bambine intervistate dalla Società dei pediatri hanno infatti messo al primo posto: voglio fare il «personaggio famoso». E fino a qui non sarebbe una scoperta sensazionale. È che però, tolta questa prospettiva, rimane il vuoto: al secondo posto delle preferenze delle bambine c’è, infatti, un disarmante: «Non lo so». «Ho dodici anni faccio la cubista mi chiamano principessa», è il titolo del libro di Marida Lombardo Pijola, una giornalista-mamma che non a caso ha gettato scompiglio tra mamme e papà. Ha scoperchiato il mondo delle discoteche pomeridiane, lasciando disorientati nugoli di genitori davanti a frasi di bambine come: «Se fai la cubista sei una donna. Non più una ragazzina. Con i clienti della disco treschi soltanto se ti va. E puoi farti pagare…». Non è fantasia. È qualcosa che da noi è arrivato da pochissimi anni, probabilmente importato ancora una volta dagli Stati Uniti. Era del 2003 «Thirteen, 13 anni», il film-choc ambientato a Los Angeles con protagoniste due ragazzine (tredicenni, appunto) che vivono vite sempre più pericolose tra sesso promiscuo, droga, fumo, alcol, piccoli furti, accenni di lesbismo. «Sono vent’anni che insegno nella scuola media di Centocelle, a Roma», dice Margherita D’Onofri, insegnante di scienze. E spiega: «Soltanto negli ultimi anni, però, ho visto cambiare gli atteggiamenti durante i campi scuola, ovvero quelle gite che consentono ai ragazzi di dormire fuori dalla propria città. Adesso anche nelle prime classi stanno svegli tutta la notte e si mescolano dentro le stanze. Fino a poco tempo fa non succedeva».
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Tra le ragazze «Mamma e papà cosa dicono? Mica lo sanno che veniamo qui. Altrimenti dove andiamo?»
E il sabato pomeriggio tutte a caccia in discoteca
Arrivano in jeans e maglioncino largo, appena dentro si (s)vestono da lolite e cubiste
MILANO — «E l’età?». Tanta: almeno almeno il doppio tuo. «Che importa, se c’è l’amooore…». Dalla febbre del sabato sera al probabile febbrone — tanto son mezze nude — del sabato pomeriggio, quando la discoteca Shocking apre dalle 15 alle 18 solo ai minorenni, c’è un conto anagrafico alla rovescia, dai 15 agli 11 anni, che conta e riconta l’attesa: «Ancora un’ora e quindici, e si entra». Che choc, allo Shocking. Arrivano prima, prima tanto, per prendere posto in coda, star davanti, essere sicure d’entrare, con l’attesa fumata via tra una sigaretta, uno sputo (sì, uno sputo), una tirata in su del tanga che scende e del reggiseno push-up che traballa, e un posizionamento tattico della frangetta per occultare il brufoletto. Quando son dentro, corrono come centometriste alla conquista del cubo, potessero segnerebbero il terreno attorno con le bandierine, lo occupano e non lo mollano nemmeno a pagarle. E da lì in avanti, via con le danze. Musica elettronica a manetta, incessante, martellante. Mezzoretta iniziale di balli, per scaldarsi. Quindi, le grandi manovre dell’«amore», ché questa discoteca, e così è il vicino Tocqueville, sempre in zona corso Como, sempre in zona movida, il sabato pomeriggio a una cosa sola serve: prendersi. Per lasciarsi, certo, appena il dj spegne la consolle e le luci se ne vanno. Ma chissenefrega: per intanto, godiamocela. Un popolo di lolite (s)vestite da donna, con l’abbigliamento da urlo — parola d’ordine la trasparenza, meglio se assoluta — e nascosto dentro uno zainetto. Escono di casa, salutano mamma e papà con jeans, maglioncino largo, giubbotto, un normal look tra la secchiona e la brava figliola, e appena valicato il controllo agli ingressi partono per il bagno, aprono lo zainetto, e oplà. In un amen, trasformazione estetica, jeans, maglioncino e giubbotto appallottolati dentro il suddetto zainetto, consegnato, previo pagamento di euro 9, alla cassa. A proposito di soldi: ai 9, si aggiungano i 10 euro dell’ingresso, e gli almeno 5 della seconda consumazione (la prima è gratis). Morale: escono non meno di 24 euro. Spesi bene? «E certo. In ogni modo, altrimenti, dove vado il sabato pomeriggio?». E dove potrebbero andare, inseguite, affascinate, sedotte come sono per tutta la settimana dai coetanei — la specialità qui è maschile — addetti alle pubbliche relazioni? I baby pr presidiano i corridoi delle scuole, i mezzanini del metrò, piazza Duomo, gli oratori, con in mano un plico di depliant che consegnano con il sorrisone e la promessa: «Vieni da noi, siamo il massimo dei massimi».
A fine giornata, i gestori prendono i depliant — lasciapassare per l’ingresso in discoteca —, che sopra hanno riportato un piccolo codice, corrispondente al nome di chi li ha piazzati, e contano. Se tal dei tali ha portato un bel numero di persone, in premio bevande gratis, biglietti gratis per le discoteche, tessere gratis per esclusivi privé di locali super-vip. Insomma, se uno s’impegna, è bravo, si sbatte, gli si aprono le porte dell’olimpo del divertimento, e allora ecco perché la ricerca di possibili clienti è una caccia estenuante, sfiancante, finanche stoica, addirittura eroica. Dicono: e i genitori? In questo sabato pomeriggio, di genitori manco l’ombra. Zero. Lo sanno i tuoi che andate in discoteca? «Cosaaaa?». Lo sanno i tuoi che andate in discoteca? «No. Cambia qualcosa?». Boh, forse sì, forse no. «Guarda che mica rubiamo o ammazziamo…». E, a dire il vero, manco si ubriacano: al bancone del bar, gli alcolici non ci sono. E, a ridir il vero, manco si drogano: qualche nuvoletta di canne, d’accordo, e però pasticche o cocaina non se ne vedono. Le nasconderanno? Forse sì, forse no. E comunque sia: l’imperativo è lo stesso. L’amore. Certi appostamenti, certi movimenti, certi affondi restano nella memoria. Con il maschietto piantato lì, come un baccalà e la faccia da finto duro, al centro dell’arena, e le ragazzine attorno che lo osservano, scrutano, bocciano o promuovono con un bacio, e dopo il bacio una chiacchierata e dopo la chiacchierata mani che frugano. Con le femminucce che svettano sui cubi e, sotto ai cubi, i ragazzi che sfilano in processione, uno dopo l’altro, e speranzosi s’affidano agli sguardi delle miss. Se parte l’occhiata, lei scende e si finisce su un divanetto a raccontarsela. Se l’occhiata manco è accennata, avanti il prossimo. E così per cinque ore, in un vortice di telefonini che scattano fotografie e mandano sms, senza sosta, senza interruzione, senza pause. Una frenesia di sudore arginata dal consumo in quantità industriale della bevanda che nella pubblicità ti mette le ali. Litri e litri di energia, sia mai faccia capolino la fatica o, peggio, la stanchezza, o, peggio del peggio, la voglia d’andarsene. Cinque, sei, settecento ingressi, ogni volta, allo Shocking. Altrettanti al Tocqueville. Generalizzando: lo Shocking ambito dai pischelli della Milano bene; il Tocqueville, amato da quelli delle periferie e dell’hinterland. Volgarizzando: «Al Tocqueville ci vanno i tamarri»; «Lo Shocking è il posto dei fighetti». Alla fine, beata gioventù. Toglietegli tutto, tranne che la baby discoteca. Sabato, i gestori del Tocqueville l’han tenuto chiuso perché, la settimana prima, c’era stato un rissone tra adolescenti agitati. E che rabbia, che indignazione, che dolore, tra le abituali clienti che ugualmente si sono messe in fila, sperando che i titolari ci ripensassero. Macché. E ora? «Ora è davvero un grandissimo casino». Scusate, c’è lo Shocking… «Mmmmm». E vabbé, fate uno sforzo, no? Si radunano in gruppo, sigaretta e uno sputo, uno sputo e una sigaretta: vuol dire che ci stanno pensando su, chissà, magari, per stavolta, si può fare un’eccezione. In nome dell’amore, s’intende.