(Giornale) Cammilleri: il ‘buon selvaggio’ rousseaviano nel 2002

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Rino Cammilleri

© Il Giornale 21.9.02
E’ lodevole che il Corsera metta in prima pagina
l’ignominia delle mogli indiane torurate o uccise
per insufficienza di dote (19.9.02).

Questa barbarie continua imperterrita anche se il
governo indiano, col Dowry Prohibition Act, la vieta
da quarant’anni.

Era vietato anche lo stupro punitivo pakistano, ma
c’è voluta la mobilitazione dei media occidentali,
la cui attenzione era puntata su quell’angolo di
mondo grazie all’intervento americano nel confinante
Afghanistan, perché le autorità locali
provvedessero.

Sul Corsera, a firma di Elisabetta Rosaspina, ampio
spazio è stato dato alle venticinquemila sventurate
che, ogni anno, vengono ammazzate o si suicidano
perché non riescono a pagare quanto pattuito (dai
loro parenti) al momento del matrimonio.

Nell’articolo, che riporta casi agghiaccianti anche
recentissimi, si precisa che da quelle parti per
questo motivo si muore per un motorino o un
ventilatore, ma anche per molto meno o per molto di
più, in quanto il fenomeno è interclassista.
Meglio: intercastale.

Non sappiamo se un altro di questi particolari
fenomeni, il rogo della moglie (viva) sulla pira del
marito (morto), sia ancora presente.

Scandalizzò il Phileas Fogg di Jules Verne e anche
il governo britannico, che agì con mano di ferro
contro certi aspetti della “cultura” del
subcontinente indiano, così come schiacciò senza
misericordia gli strangolatori rituali thugs.

In India, lo sappiamo, vige ancora l’usanza di
castrare a forza certi bambini per farne eunuchi.
E il governo vieta anche questa, di usanza, ma
apprendiamo dal Corsera che, nel caso delle mogli
scarse di dote, «generalmente la polizia interroga
le vittime agonizzanti davanti al marito o ai suoi
parenti».
Ma questi non sono mali solo indiani o pakistani.

Nel Sudafrica di Mandela, quello che la liberazione
dall’apartheid ha portato a vette di omicidi
superate solo dalla Colombia e dieci volte superiori
a quelle dei «violenti» Usa, una bella fetta di
questi assassinii sono rituali, eseguiti dagli
stregoni sangoma e aventi come vittime preferite
bambini e ragazzi; lo scopo è quello di prelevare
parti del corpo per fabbricare talismani (v. il
settimanale Tempi, stesso giorno).

E, purtroppo, si potrebbe continuare con gli esempi,
perchè solo l’Occidente industrializzato e cristiano
è un’isola felice in questo porco mondo.

Quando, nei secoli passati, gli inglesi e i boeri
ancora non sapevano che le «culture» indigene
andavano trattate col massimo rispetto essendo pari
(se non superiori) in dignità alla loro, portavano
il «fardello dell’uomo bianco» con le buone e le
cattive, perfettamente convinti che un cristiano non
potesse assistere impassibile all’oppressione del
debole e dell’innocente.

Avevano troppo rispetto per la loro, di cultura, per
continuare ad averne per quelle dei barbari.

Consideravano dovere di carità, cogente quant’altri
mai, far cessare il sopruso e l’ingiustizia (che non
erano meno tali solo perché chi li perpetrava
credeva di aver ragione), e ritenevano di star
facendo un piacere a indiani e africani e asiatici
insegnando loro quanto si sta meglio nella civiltà
occidentale e cristiana.

Non diversamente ragionarono i Conquistadores
spagnoli quando videro i sacrifici umani praticati
dagli incas e dagli aztechi (ben ottantamila solo
per consacrare il tempio di Tenochtitlan).

Prima di loro, i romani avevano avuto analogo moto
di indignazione di fronte ai sanguinosi riti dei
celti e dei fenici, ed erano intervenuti con la loro
consueta mano pesante.

Nell’Antico Testamento, vediamo Israele fare lo
stesso.
E spinto da Dio in persona.

La nostra cultura, che di tutto questo è figlia, non
può tollerare lapidazioni, amputazioni, oppressioni
di donne e bambini, eccetera.

E’ vero, è sempre dalla nostra cultura che sono
usciti quei «politicamente corretti» che si
commuovono per il «buon selvaggio» e intendono
lasciarlo com’è, per la gioia del turista.

Ma anche il cancro, ahimè, esce da un organismo
sano.