L’ingiustificata rimozione del vescovo di Albenga
di Emmanuele Barbieri per Corrispondenza Romana del 7 settembre 2016)
In data 1° settembre 2016 la Sala Stampa Vaticana ha comunicato che «il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Albenga-Imperia (Italia), presentata da S.E. Mons. Mario Oliveri. Gli succede S.E. Mons. Guglielmo Borghetti, finora Coadiutore della medesima diocesi».
Il Corriere della Sera dello stesso giorno, annunciando le sue dimissioni, ha scritto che «mons. Guglielmo Borghetti, “uomo di fiducia del Pontefice”, lo scorso maggio aveva già “svuotato” il seminario ligure nel quale erano stati accolti aspiranti al sacerdozio scartati dalle altre diocesi: le norme varate da Ratzinger stabiliscono infatti che non può essere sacerdote chi ha tendenze omosessuali».
È noto purtroppo che non c’è seminario italiano privo di sacerdoti di tendenze omosessuali, anche perché la parola d’ordine corrente negli ambienti ecclesiastici è che l’omosessualità, a differenza della pedofilia, non è una colpa grave.
La situazione della diocesi di Albenga non è certo peggiore di quella di altre diocesi, anche molto più importanti.
Perché colpire proprio questo vescovo?
Peraltro, nell’annuncio dato dal Bollettino della Santa Sede non si legge il fatidico caso 401 § 2 circa la rinunzia di un vescovo diocesano, quando egli rassegni le sue dimissioni prima del compimento del settantacinquesimo anno di età, caso in cui rientra mons. Oliveri.
Nel commiato che il Presule ha presentato alla sua diocesi, mons. Oliveri afferma di dimettersi per una richiesta da parte del Papa.
E cita un passaggio di una lettera a lui rivolta dal card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, in cui lo si invita – in quanto ormai vescovo emerito – a «voler contribuire con le Sue parole e con i Suoi gesti, notoriamente ispirati dalla bontà, dalla cristiana carità e dalla saggezza pastorale, al rasserenamento degli animi, al mantenimento della pace nei cuori dei sacerdoti e dei fedeli di codesta comunità diocesana».
I motivi gravi per cui il Papa ha obbligato mons. Oliveri a lasciare la guida della sua diocesi non vengono enunciati dalla Santa Sede (non viene citato il canone del C.I.C. riguardante le questioni gravi, cosa che invece avviene in tutti i casi in questione).
Un vescovo, i cui gesti sono ispirati dalla «saggezza pastorale» non è certo invitato alle dimissioni per un comportamento non idoneo.
Il motivo della dimissioni di mons. Oliveri va quindi ricercato altrove.
La sua vera colpa non è quella che il Corriere della Sera gli addebita: la mancanza di severità riguardo alla condotta morale del suo clero, bensì quella che lo stesso giornale, in un altro passaggio suggerisce: di essere «fedele a Benedetto XVI nella possibilità di celebrare la messa con il vecchio rito (cosa che amava fare personalmente a differenza del Papa Emerito)».
La ragione di fondo della rimozione di mons. Oliveri va identificata nel fatto che il vescovo di Albenga ha sempre ispirato il suo ministero e la sua opera ad una visione di piena continuità con il magistero perenne della Chiesa.
In occasione del XXV anniversario di Episcopato è apparso il primo volume che raccoglie le sue opere, Fides et pax (Cantagalli, Siena 2016), ove si può trovare un compendio del suo insegnamento, così dissonante da quello corrente.
La voce di un Vescovo secondo cui «la nostra missione è di natura soprannaturale e tende essenzialmente al Regno dei Cieli, alla vita con Dio, ben consci, illuminati, dalla parola di Cristo che il suo regno “non è di questo mondo”, “non è di quaggiù”» (dall’Omelia dell’Ingresso in Diocesi il 25 Novembre 1990), suonava ben diversa da quella di tanti Presuli, oggi impegnati solo ad aprire le chiese agli immigrati, disinteressandosi del loro bene spirituale.
Mons. Oliveri si è distinto inoltre per la generosa accoglienza verso un altro genere di migranti: i seminaristi e i sacerdoti perseguitati dai loro vescovi per l’amore che portavano alla Tradizione della Chiesa. Molti di loro oggi si sentono orfani.
Ancora una volta, ad un’autentica figura episcopale è stata tolta la parola. (Emmanuele Babieri)