Ricordiamo che tra i libri scaricabili gratuitamente, c'è quello di Padre Padre Arturo Ruiz Freites I.V.E., scaricabile da qui: https://www.totustuus.it/modules.php?name=Downloads&d_op=viewdownload&cid=30
Introduzione
Da tempo la scena pubblica italiana e internazionale è occupata, a tratti dominata, dai dibattiti sul fine-vita.
Tuttavia, come spesso accade nelle questioni bioetiche, ad una grande massa di informazioni non sempre si accompagna una conoscenza – scientifica ed etica – adeguata. Spesso discussioni televisive, pubblicazioni divulgative e agenzie culturali si limitano alla ripetizione di luoghi comuni, o si affidano all’emotività del “caso pietoso”, o ancora si fondano esclusivamente su calcoli di audience e di profitto.
In questo modo i mezzi di comunicazione di massa si fanno – talora inconsapevolmente – veicolo di una propaganda ideologica che, al contrario, non ha nulla di improvvisato, ma che anzi con rigore metodologico e costanza si adopera affinché possa imporsi socialmente una determinata visione dell’uomo e della vita umana, quella che con una sintetica locuzione il Beato Giovanni Paolo II aveva definito la “cultura della morte”.
Nel caso dell’eutanasia ciò si declina nell’elaborazione di precise strategie e tattiche, che i movimenti pro-eutanasia applicano dettagliatamente.
Tale “cultura” trova terreno fertile nell’ostilità che l’Occidente ha sviluppato nei confronti della retta ragione – come mirabilmente ha spiegato Benedetto XVI nel discorso di Regensburg il 12 settembre 2006 –,una ragione fatta di riconoscimento umile dell’oggettività del reale, della possibilità umana di conoscere la verità e il bene, dell’apertura dell’intelletto alla ragionevolezza del mistero e dunque alla trascendenza e alla fede, dell’esistenza di una natura umana di carattere meta-fisico da cui deriva anche la nozione di legge morale naturale, dell’esigenza di individuare e difendere gli autentici diritti umani fondamentali, primo fra tutti il diritto alla vita.
Questa “cultura”, negata la retta ragione, propone una prospettiva radicalmente relativistica, entro la quale il bene e il male diventano sostanzialmente indistinguibili e poi addirittura intercambiabili, e in cui la sfiducia nei confronti della verità lascia spazio, al massimo, ad un tentativo gnostico di rifondazione dell’uomo.
In tale contesto il lavoro del Reverendo Dottor Padre Arturo Ruiz Freites, IVI, si inserisce come un prezioso strumento di approfondimento e di riflessione sul tema spinoso dell’eutanasia.
Afferma infatti l’Autore: “la capacità e il rispetto, presupposti anche per il riconoscimento di un’etica naturale e di una legge morale naturale, sono imprescindibili nel dibattito sulla moralità di una questione come l’eutanasia, giacché su presupposti relativisti è impossibile il dialogo” (par. II.I.2).
Padre Ruiz riesce nel difficile intento di condensare i molti livelli argomentativi e persuasivi che caratterizzano il dibattito sul tema, toccando tutte le corde del cuore del lettore.
In questa direzione a mio avviso va letta la cornice letteraria che giustifica il titolo del volume, Mabel e la morte, tratta da un romanzo avvincente, Il padrone del mondo di R.H. Benson, che con illuminante precisione descrive i contorni principali e più acuti della “cultura della morte”.
Il lettore, attraverso il libro di P. Ruiz, è condotto a conoscere ed accompagnare la sconvolgente vicenda umana e spirituale di Mabel, e nel contempo è guidato a porsi domande di fondo sul senso della morte (e della vita!) a cui l’Autore puntualmente risponde nella parte più dottrinale del suo lavoro, ove emergono fra l’altro un’esauriente rassegna dei pronunciamenti del Magistero della Chiesa Cattolica, alcuni riscontri normativi nazionali e internazionali, nonché un riferimento ai casi (clinici e mediatici) di eutanasia che hanno più interessato l’opinione pubblica negli ultimi anni.
L’Autore non si sottrae all’esame delle questioni più scottanti che riguardano il fine-vita: oltre alla definizione e descrizione dell’eutanasia, affronta i temi dell’accanimento terapeutico, dello stato vegetativo, del testamento biologico e delle dichiarazioni anticipate di trattamento, della morte cerebrale, del controllo del dolore, mostrando una volta di più come le problematiche bioetiche relative alla fine della vita siano tutte strettamente interconnesse e facciano parte di un’unica antropologia, che non si può in parte accettare e in parte negare come vogliono le logiche del compromesso morale.
Con un metodo di analisi paziente e sistematico Padre Ruiz considera le varie obiezioni alla “cultura della vita” e, dopo averne compiuta la pars destruens, affronta la pars construens, in cui l’ordine naturale emerge nella sua limpidezza: è sempre gravemente illecito uccidere un essere umano innocente, anche con il suo consenso, dal momento che la vita umana ha un valore intrinseco, che non dipende dal significato che viene ad essa attribuito dalla società, da un gruppo o anche dal soggetto medesimo.
Escluso dunque il caso in cui, nell’imminenza della morte, ci si trovi di fronte a trattamenti chiaramente sproporzionati alle condizioni del paziente (accanimento terapeutico), sarà da rigettare ogni forma di sospensione della terapia da cui segua la morte del paziente: un simile atto mette l’esecutore dell’eutanasia in una condizione inaccettabile di “potere” sulla vita umana, un potere che nessun uomo può attribuirsi senza compromettere il fondamentale diritto di ciascuno all’inviolabilità, quel favor vitae su cui si basa il nostro ordinamento e tutta la civiltà.
L’intrinseca immoralità della morte procurata (come fine o come mezzo per eliminare il dolore) aiuta anche a comprendere l’inganno di chi intende l’eutanasia come un atto di “pietà” verso un sofferente.
Come osserva infatti Padre Ruiz, riproponendo un passaggio dell’enciclica Evangelium Vitae n. 66, “la vera ‘compassione’ …rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza”.
Da ultimo, non è assente un passaggio sulla congiuntura parlamentare e legislativa che impegna Italia in una legge sul finevita.
Qui, con rara delicatezza e prudenza, l’Autore, pur mantenendosi al di fuori dell’arena politica, offre alcuni importanti spunti di riflessione sui pregi e sui difetti del processo normativo, riconoscendo le buone intenzioni che guidano molti parlamentari nell’elaborare una legge che escluda la richiesta eutanasica e paventando, al tempo stesso, i pericoli di una formalizzazione giuridica di tale scivolosa questione.
Il volume risulta così utile tanto al politico quanto al giovane in formazione, a chi è impegnato nell’attività pastorale come a chi svolge compiti educativi a vario titolo (scolastico, universitario, familiare) e infine a tutti coloro che sull’eutanasia desiderano semplicemente saperne di più, non cercando mera informazione ma attenta formazione per la propria coscienza.
Claudia Navarini