Londra, l’Occidente odia sé stesso

  • Categoria dell'articolo:Islam

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 La persecuzione dei cristiani che l’Europa non vede, la cristofobia.
“Scontiamo la nostra debolezza, più che la forza dell’islam”.
Parla il cardinale Kurt Koch.

Talvolta, l’occidente dà l’impressione di aver finito per odiare se stesso e di pensare solo a evidenziare ciò che è distruttivo”. Il cardinale Kurt Koch, svizzero, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, conversa con il Foglio di Europa e fede, islam e cristianesimo, e richiama un passaggio di un vecchio discorso dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, che nel 2004 così parlò a un dibattito organizzato dal Senato italiano. Il futuro Benedetto XVI sottolineò quell’“odio strano che si può considerare solo come qualcosa di patologico”.

E’ l’occidente che “tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso”.
Sono convinto – dice Koch – che questa affermazione dell’allora cardinale Ratzinger sia profetica. E’ questa la realtà che abbiamo sotto gli occhi, anche se è difficile dire dove si trovino le sue ragioni, quali siano le cause specifiche. Ma è fondamentale mettere in rilievo anche la cristofobia che si respira in Europa. In molte realtà e in diversi ambiti ciò è palese: guardiamo alla satira, per esempio. E’ sempre la chiesa cattolica, il cristianesimo a essere oggetto del sarcasmo. Mai gli ebrei, raramente i musulmani. Questo atteggiamento contro il cristianesimo mi induce a riflettere su questa realtà così bene messa in luce dodici anni fa dal cardinale Ratzinger”.

Il discorso ricade puntuale sulle radici europee, rinnegate più d’un decennio fa, quando Bruxelles scelse di non ascoltare le suppliche di Giovanni Paolo II, che aveva anche fatto recapitare una lettera al presidente della Convenzione incaricata di stendere la Costituzione comunitaria, Valéry Giscard d’Estaing, in cui domandava quanto meno di valutare l’inserimento dei riferimenti alle fondamenta giudaico-cristiane nel Preambolo.
Ha ancora senso, vedendo come è andata a finire a quel tempo, riproporre il discorso sulle radici? “Sì. L’Europa senz’anima non ha un futuro e noi abbiamo bisogno di riscoprire l’anima”, dice Koch. “Oggi abbiamo un po’ l’impressione che l’unità in Europa abbia solo un carattere economico, che sia un’unità del mercato. Ma questa non è Europa. Ecco perché è necessario distinguere tra ciò che è l’Unione europea e ciò che è l’Europa, un qualcosa di ben più grande. Per un futuro positivo, io penso si debba riscoprire il concetto di Europa, che ha molte radici: ebraiche, cristiane, romane, greche”.

Senza questa necessaria operazione – osserva il cardinale Kurt Koch – il futuro non può essere buono. E questo va fatto soprattutto oggi che l’Unione è in grande crisi, come si vede dalla situazione tragica dei profughi”.
Il porporato invita a “non nascondere con falsa modestia” queste radici, perché “ogni famiglia che voglia riscoprire la propria realtà e prepararsi al futuro deve necessariamente riscoprire le radici delle propria famiglia e della propria storia. E l’Europa, in fin dei conti, non è altro che una grande famiglia. Senza questa domanda, senza questa volontà di recuperare la propria origine, l’avvenire non potrà essere buono”.

Il grande equivoco si ha quando il discorso sulle radici viene letto in chiave confessionale. “Ma le radici cristiane non sono soltanto una cosa che ha a che fare con la confessione. Sono un fatto storico, un’evidenza. Senza cristianesimo non si può vedere la storia d’Europa. Ritengo che ci sia una sorta di ideologia nel pensiero così diffuso a Bruxelles, dove si afferma che non si possono citare le radici perché siamo neutrali. Ma se siamo neutrali, non possiamo neppure negare tali radici… Seguendo questo ragionamento, poi, non solo la confessione di Dio, ma anche la posizione agnostica e quella atea sono una contraddizione rispetto alla neutralità. Joseph Weiler, ebreo, ha scritto un libro sull’Europa cristiana. Su questo concetto – sottolinea al Foglio il cardinale Koch – abbiamo tenuto l’ultimo congresso degli allievi di Joseph Ratzinger. Weiler, come ebreo, ha molto insistito su questo punto, sulla realtà delle origini cristiane in Europa. Questo messaggio, da parte di un ebreo e non di un cristiano, è molto importante”.

Lo Schülerkreis, l’annuale ritrovo degli allievi ratzingeriani, ha avuto luogo nello scorso fine settimana: “Abbiamo fatto un’analisi della situazione in Europa, non troppo ottimistica. Dobbiamo avere però speranza che la situazione odierna provochi una nuova riflessione sulla riscoperta dell’anima europea. C’è un po’ paura della realtà, è vero, ma anche speranza per il futuro. Soprattutto dal vescovo Egon Kapellari, che ha parlato di un idealismo realistico, è giunto questo messaggio: se vediamo la storia dell’Europa, non possiamo negare questa realtà, quindi il nostro compito è testimoniare”.

L’Europa ha dimenticato Dio? “Non lo so, è complicato da dire. La fede degli uomini è difficile da giudicare. Penso che il problema fondamentale sia la privatizzazione della religione nelle società europee. Che, cioè, la religione e la fede debbano essere solo un affare molto privato. E’ chiaro, la fede è una cosa personale, ma non per questo privata. In questo senso – aggiunge il cardinale Koch – la religione deve avere una dimensione pubblica. Vedo il problema nei segni religiosi: la nostra società è piena di segni, dalla polizia all’esercito, dai gruppi studenteschi ai musicisti. Tutti hanno segni, senza problemi. Il problema sono sempre i simboli religiosi, la croce. E questa è per me l’indicazione che la nostra società non ha un atteggiamento sano dinanzi alla religione. Questa deve essere la nostra sfida”.

C’è qui il paradosso di una società che invoca il dialogo interreligioso quando essa, per prima, ha fatto tutto il possibile per relegare la religione a fatto privato. “Sono convinto che una società che privatizza la religione non sia in grado di sviluppare un dialogo interreligioso. E sono soprattutto i musulmani che vengono nelle nostre società, in Europa, a dimostrarlo: non hanno paura del cristianesimo, bensì della grande secolarizzazione. Ritengo che i musulmani apportino alla nostra società la dimensione pubblica della religione. In Svizzera ho fatto l’esperienza di musulmani che hanno iscritto i loro bambini alla formazione religiosa delle scuole cattoliche, perché non possono comprendere di avere una vita senza religione. E’ per questo che a mio giudizio si deve riscoprire la pubblicità della religione. Altrimenti non saremo in grado di sviluppare un dialogo interreligioso”.

Da qui la considerazione, fatta sempre da Koch, che più che la forza dell’islam in Europa scontiamo la debolezza del cristianesimo. “Noi parliamo della sfida dell’islam, ma ritengo che questa sfida diventi più grande di quello che è perché non pochi cristiani non sono più in grado di dare una risposta. Per questo è importante conoscere la propria religione, parlare in pubblico e confessare la propria fede. In questo, mi pare di poter sostenere che il cristianesimo in Europa è debole. Ecco perché dico che la grande sfida in occidente è la debolezza del cristianesimo e non la forza dell’islam. Come ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, ‘perché avete paura dell’islam? Potete andare in chiesa la domenica e confessare la vostra fede’. Sarebbe opportuno e utile ripartire da qui”.

Certo, per una convivenza migliore è necessaria più reciprocità: “Dobbiamo insistere su questo, lo testimonia anche la mia esperienza. Da vescovo di Basilea, ricordo molti musulmani che venivano da noi a chiedere aiuto per la formazione degli imam. Abbiamo risposto di sì, domandando però che prima fosse riaperta la scuola teologica greco-ortodossa di Khalki, cosa poi non avvenuta. Insistere sì, dunque. Ma d’altra parte dobbiamo essere obbedienti alla nostra legislazione, non a quella dei paesi islamici. Abbiamo le nostre leggi e dobbiamo rispettarle. Non ci può essere un equilibro di ingiustizia”.

Il che non significa cedere al mantra multiculturale che tanto in voga pare essere: “E’ molto difficile comprendere ciò che vuol dire ‘multiculturalismo’. Significa che nelle nostre società abbiamo diverse culture. Ma quali sono le conseguenze? Io non conosco una cultura senza diritto. Quindi significa che dobbiamo avere, nelle nostre società, molti diritti diversi? Ma questo non va bene. Non dobbiamo di certo negare che nelle nostre società c’è una cultura principale né dimenticare che di questa cultura fa parte anche la virtù dell’ospitalità e l’apertura per persone che provengono da altre culture. Questo è un aspetto positivo, perché è un bene che uomini e donne di diverse culture arricchiscano le nostre società occidentali. Ma non credo che ciò sia sufficiente per parlare di multiculturalismo”.

La strada per la salvezza dell’Europa è una, e si chiama nuova evangelizzazione. “Serviranno tempo e pazienza, certo. Ma credo che il grande progetto dei papi dopo il Concilio Vaticano II – progetto che comincia già con Paolo VI e la sua lettera apostolica Evangelii nuntiandi – sia la nuova evangelizzazione del continente. Un’idea confermata poi da san Giovanni Paolo II, in America latina e in Europa. Infine, Benedetto XVI, che ha promosso quest’opera fino al punto di istituire un Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. A mio giudizio, però, è molto importante il modo in cui viene realizzata questa nuova evangelizzazione. Benedetto XVI, nell’omelia della messa di inaugurazione della Conferenza generale dell’episcopato dell’America latina, ad Aparecida, ha detto molto bene che l’evangelizzazione si fa non per proselitismo, ma per attrazione. Ciò significa che il cristianesimo deve riscoprire la sua bellezza, annunciare questo messaggio. Papa Francesco ha lanciato l’appello per una dimensione missionaria del cristianesimo, e io sono convinto che molti ascoltino questo messaggio per andare nel mondo e confessare. E’ da qui che bisogna ripartire”. Nonostante le stragi, le mattanze che il terrorismo compie qua e là in Europa. Ma è proprio da questo che qualcosa può rinascere, che la coscienza dell’uomo europeo potrà ridestarsi. Il cardinale Koch ne è convinto.

Guarda al martirio di padre Jacques Hamel, il sacerdote sgozzato sull’altare, in Normandia: “Questo caso va visto in un contesto più ampio, che è quello della grande persecuzione che i cristiani subiscono nel mondo di oggi. Questa persecuzione è maggiore che nei primi secoli, ma è una realtà che non è ancora sufficientemente presente nella consapevolezza dei popoli europei. Questi attacchi e attentati islamisti ci chiamano a rispondere alla grande sfida posta dalla cristofobia, mai prima d’ora così evidente. Per me – aggiunge il porporato – è anche una grande sfida ecumenica. Tutte le chiese, tutte le comunità cristiane hanno i loro martiri, oggi. In questo senso, già san Giovanni Paolo II parlò di ‘ecumenismo dei martiri’, e Papa Francesco insiste sull’‘ecumenismo del sangue’. E’ una sfida ecumenica, ma anche una grande speranza. Credo si possa ripetere quanto si diceva nella chiesa primitiva, e cioè che il sangue dei martiri sarà seme di nuovi cristiani. Sono convinto che oggi si possa dire che il sangue dei martiri sarà il seme dell’unità del Corpo di Cristo”.
 

Matteo Matzuzzi, per Il Foglio dell'11 Settembre 2016