Renzo Puccetti, L\’uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU486, pp. 160, Euro 12, Società Editrice Fiorentina, 2009, ISBN: 978-88-6032-068-1
Ho conosciuto una ragazza che aveva abortito in una clinica nella zona di Regent’s Park, dove mentre abortisci ti portano fiori e champagne. Quella ragazza era stata trattata da regina tanto da uscirsene dicendo: ‘Quando potrò averne un altro?’”. Così scriveva nel 2006 sul “Guardian” una femminista storica, Mary Kelly: un segno della noncuranza con cui ormai si trattano – e non solo a Londra – le vite umane uccise con l’aborto. Lo si apprende (a p. 58) leggendo il libro di Renzo Puccetti, medico specializzato in Medicina Interna impegnato nell’associazione Scienza & Vita, pubblicato dalla Società Editrice Fiorentina (Firenze 2008) con il titolo “L’uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU 486”.
Per fortuna i sostenitori della vita hanno a disposizione sull’aborto e la contraccezione una letteratura ormai importante anche in lingua italiana, non solo dal punto di vista etico ma anche da quello medico. Tuttavia, se dovessi raccomandare un singolo libro che spieghi perché gli argomenti degli abortisti e dei sostenitori della contraccezione sono quasi sempre falsi sul piano dei fatti prima ancora che dei principi, consiglierei di leggere proprio questo. Hanno ragione Carlo Casini e Maria Luisa Di Pietro, che firmano rispettivamente la prefazione e la presentazione: ponendosi sul piano del rigore scientifico, il testo non è sempre facilissimo, e il lettore deve sopportare anche qualche formula matematica. Ma l’autore, medico, dimostra una straordinaria sensibilità nel campo della sociologia, quello dove – come insegna nelle sue lezioni il mio maestro e amico Rodney Stark – “chi non conta non conta”, cioè chi non è capace di far di conto leggendo le statistiche diventa poi irrilevante quando espone le sue conclusioni.
Inesorabilmente, Puccetti invece conta, e smentisce laicamente – con il semplice richiamo ai dati e ai fatti – tutta una serie di miti abortisti. L’aborto, si dice anzitutto, è cosa sostanzialmente diversa dall’infanticidio per cui non si dovrebbero usare parole politicamente scorrette come “uccidere”. Falso, risponde Puccetti citando affermazioni d’illustri sostenitori dell’aborto che chiedono anche l’infanticidio legale per chi nasce malformato. “Possiamo abortire se ci sono serie anomalie fetali fino al termine della gravidanza – si lamenta il professor John Harris, che insegna bioetica all’Università di Manchester – ma non possiamo uccidere un neonato. La gente cosa crede sia successo nell’uscita dal canale del parto, per giustificare l’uccisione del feto ad un estremità del canale del parto, ma non ad un’altra?”(p. 31).
Si abortisce per ragioni di salute o per gravi problemi economici, si aggiunge. Falso anche questo:statisticamente la prima ragione per abortire è il “non sentirsi pronta ad avere un bambino” (p. 46), a prescindere da ogni aspetto economico. Negli Stati Uniti e in Italia ci sono più aborti negli Stati e nelle regioni dove il reddito è più alto (pp. 47-48), a conferma della tesi generale di Puccetti secondo cui la prima causa dell’aborto è la mentalità abortista.
E, dal momento che la diffusione della contraccezione non frena ma anzi stimola la mentalità che considera la gravidanza una sorta di malattia, è falso anche il mantra tante volte ripetuto secondo cui diffondendo la contraccezione si ostacola l’aborto. È questa la parte più importante – e più tecnica – del libro di Puccetti, che accumula dati e li organizza secondo un modello matematico il cui risultato è senza equivoci: più si diffonde la contraccezione, più crescono gli aborti.
Ancora, si dice che la contraccezione d’emergenza (la cosiddetta “pillola del giorno dopo”) è un’efficace alternativa all’aborto. Falsi, incalza Puccetti, i dati sulle sue percentuali di successo, false le informazioni spesso fornite alle pazienti sul modo in cui opera e gli effetti collaterali, e falsa la tesi di fondo: anche la massiccia diffusione della contraccezione d’emergenza è accompagnata non da una diminuzione ma da un aumento degli aborti. In Scozia è stato condotto “il più vasto studio mai realizzato” (p. 73) nella contea di Lothian, dove a oltre 22.000 donne in età fertile è stata data la possibilità di tenersi in casa, pronte all’uso, cinque confezioni di pillola del giorno dopo. Comprensibilmente, in questo campione il numero di donne che usa queste pillole è salito: dal due al dieci per cento. Ma non c’è stata “nessuna riduzione del tasso di abortività” (p. 74): un risultato per cui i ricercatori – che erano partiti dall’ipotesi contraria – “non sono stati in grado di fornire una spiegazione” (ibidem). Naturalmente la spiegazione per Puccetti c’è: più si diffonde la contraccezione di ogni ordine e grado, più dilaga una mentalità ostile alla gravidanza che – quando la contraccezione per qualunque ragione fallisce – considera “normale” passare all’aborto.
Falsi – ma questo lo sapevamo da anni – i dati sugli aborti clandestini che ci sarebbero stati in Italia e altrove prima dell’introduzione delle leggi abortiste: pura propaganda politica, talora ridicola. Falsa la tesi cara all’onorevole Livia Turco secondo cui le leggi che legalizzano gli aborti li fanno diminuire: è il contrario, aumentano. Falsa perfino – e questa sarà una sorpresa per qualcuno – la tesi secondo cui almeno l’aborto legale negli ospedali fa diminuire i rischi di morire in seguito all’aborto clandestino praticato da mammane e medici radiati dagli albi. È vero, l’aborto clandestino è pericoloso: tra le donne che nel mondo muoiono nel periodo della gravidanza o immediatamente dopo il 13% decede a causa di un “aborto non sicuro”, o così dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma le cose non vanno molto meglio con l’aborto legale. A Cuba, paradiso degli aborti legali secondo una certa propaganda, il tasso di mortalità materna dovuto ad aborto legale è del 14,8% (p. 100). Ci sono sia percentualmente sia in cifra assoluta più donne morte per aborto legale a Cuba che per aborto clandestino a Malta (dove l’aborto è vietato: p. 101). Inoltre, chi ci dice che abortire è più o meno come farsi estrarre un dente dovrebbe riflettere sul fatto che tra le donne che muoiono dopo un aborto legale ce n’è un numero non insignificante che si suicida (quante si suicidano dopo aver perso un dente?).
Puccetti è specialista della questione della RU 486, la pillola che induce l’aborto farmacologico, presentato come più sicuro e meno doloroso dell’aborto chirurgico. La tesi è stata sostenuta anche in documenti ufficiali del governo Prodi, a proposito dei quali un’interpretazione benevola potrebbe sostenere che ignorano i dati scientifici più recenti. Questi sono ora disponibili, e ancora una volta del tutto chiari per chi sa contare: la stragrande maggioranza delle donne che ne ha avuto esperienza considera l’aborto farmacologico più doloroso, e i dati dimostrano che è anche meno sicuro.
Dopo la desolante cronaca di una giornata a un congresso di medici abortisti, Puccetti conclude che il problema non è solo né soprattutto medico ma è morale e politico. Oggi “la questione sociale – afferma Benedetto XVI al n. 75 dell’enciclica “Caritas in Veritate”, proprio con riferimento agli attacchi alla vita – è diventata radicalmente questione antropologica”. È vero anche il reciproco: la questione antropologica è diventata radicalmente questione sociale e politica. Il libro di Puccetti lo dimostra. Non si uscirà dal dramma antropologico dell’aborto con soluzioni tecniche, ma solo con una presa di coscienza del fatto che l’aborto è la tappa ultima di un processo rivoluzionario che, avendo negato i diritti di Dio, non è capace di capire e di rispettare neppure i veri diritti dell’uomo.
Massimo Introvigne