«Seguendo questa logica pericolosa e settaria, dovendo rispettare anche i sentimenti politici oltre che quelli religiosi, perché non chiedere che dagli uffici pubblici sia tolta l’effigie del presidente Napolitano?».
Vittorio Messori è in Spagna, per l’uscita del suo ultimo libro, ma non rinuncia a ragionare anche provocatoriamente sul tema del giorno.
Come reagisce alla sentenza di Strasburgo?
«Sono rattristato, amareggiato ma non scandalizzato. L’amarezza nasce da questa considerazione: da molto tempo ormai il crocifisso non è più soltanto un segno religioso, ma è diventato un simbolo umano per eccellenza, il simbolo dell’ingiustizia e della resistenza al male».
Volerlo cancellare è un’offesa alla religione cristiana?
«No, è un’offesa, anzi un peccato contro la storia. Il cristianesimo, la croce, ha a che fare con le origini della civiltà europea e dunque questa sentenza non va contro la religione, ma va contro la nostra storia e il senso della realtà».
Perché è importante il riferimento alle radici cristiane dell’Europa?
«Senza il cristianesimo il nostro continente non esisterebbe o nel caso esistesse, sarebbe assolutamente diverso. Nel V-VI secolo l’Europa non esisteva più, invasa da popoli nuovi provenienti dal Nord. L’amalgama tra la romanità e i barbari fu soltanto la Chiesa cattolica. Furono quelle ventimila abbazie che costellarono il continente, dalla Scozia a Pantelleria, da Lisbona fino a Kiev. I monaci hanno dato un contributo essenziale alla formazione della nostra civiltà».
Perché ha detto che non si scandalizza per la sentenza?
«Perché Gesù Cristo e la sua croce sono più grandi dei burocrati europei. Credo dovremmo smetterla con la pretesa di vivere in un’epoca di cristianità e renderci conto che siamo diventati un piccolo gregge, dunque non mi scandalizzerei a dover esporre la croce solo nei luoghi dove la religione cristiana è praticata. Per i cristiani la croce è ben di più di un simbolo culturale o di un riferimento storico».
Dunque lei toglierebbe i crocifissi?
«Non ho detto questo. L’esposizione dei crocifissi nelle scuole pubbliche, se non vado errato, venne disposta dalla legge Lanza nel 1857, mentre per gli uffici pubblici la disposizione risale al 1923, dopo i Patti Lateranensi. Nel 1988 il Consiglio di Stato ha definito la croce “simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente dalla specifica confessione religiosa”. Vorrei ricordare che anche Palmiro Togliatti decise di far confluire nella Costituzione tutti i Patti Lateranensi e che non si oppose mai all’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici».
Ora però l’Europa sentenzia e legifera…
«Ma allora, scusatemi, potrei chiedere anche di togliere la fotografia del capo dello Stato».
Che cosa fa, provoca? Non è la stessa cosa…
«Non esiste mica solo il sentimento religioso. Esiste anche il sentimento politico, e anche questo può essere offeso, non crede? Il presidente della Repubblica non è un alieno, giunto da Marte il giorno della sua designazione al Colle. Ammettiamo che io mi riconosca in una delle forze politiche che non hanno votato per lui fino all’ultimo. Sulla base del mio sentimento, potrei sentirmi offeso nel vedere la sua fotografia negli uffici pubblici. E chiedere di toglierla».
Il presidente rappresenta la nazione, rappresenta tutti, ed è un’istituzione laica.
«Certo, ma se offende il mio sentimento politico, non ho forse diritto di chiedere la rimozione della sua effigie dal municipio o dalla prefettura? La mia, ovviamente, è una boutade, e non mi sognerei mai di fare una richiesta del genere. Non ho nulla contro il presidente. L’ho detto soltanto per far comprendere che se cominciamo con questa logica, non ci fermiamo più. Abbiamo parlato di sentimento religioso e di sentimento politico. E quello sportivo dove lo mettiamo?».
Chi vuole togliere la croce dalle aule e dagli uffici si appella alla laicità dello Stato e al pluralismo religioso.
«Ribadisco: si tratta di una logica che personalmente trovo aberrante. Il crocifisso è da secoli simbolo di umanità e al contempo di speranza di resurrezione. Oltretutto, dà noia soltanto a qualche laicista nostrano, ma non, ad esempio, ai musulmani, che non mi risulta si siano lamentati».
Come, non ricorda il caso clamoroso di Adel Smith?
«Un caso isolato. Smith non rappresenta alcuna comunità islamica».
di Andrea Tornielli
Il Giornale 4/11/2009