Chissà quanti genitori di Siracusa sono informati sulle associazioni che compongono la rete Educare alle differenze, alla quale il Comune, attraverso l’assessorato all’istruzione e alle politiche di genere, ha deciso di aderire. Forse saranno rassicurati dal sapere che alla rete hanno aderito anche assessori e consiglieri dei Comuni di Bologna, Capannori (Lu), Fonte Nuova e Monterotondo (Rm), Parma, Pisa, Pistoia, Torino (dove responsabile delle pari opportunità è Marco Giusta, ex presidente dell’Arcigay locale), del Municipio I di Roma e della Regione Lazio. Vediamo se queste adesioni politiche da Nord a Sud possono essere rassicuranti per i genitori.
Iniziamo col ricordare che Educare alle differenze, che prende le mosse dalla Strategia nazionale Lgbt avviata nel 2013 dall’Unar, riunisce 270 realtà di vario tipo. In particolare, la rete è promossa da tre associazioni: Progetto Alice di Bologna, Scosse di Roma, Stonewall di Siracusa. Gruppi che col tempo hanno sviluppato buoni contatti politici sul territorio.
Non sorprende perciò che proprio rappresentanti di queste tre città abbiano prontamente sottoscritto l’appello rivolto dai promotori della rete agli enti locali, attraverso cui gli amministratori si impegnano a stanziare risorse nei bilanci preventivi del 2017, con i seguenti fini (grassetto nostro): “L’attivazione, all’interno delle scuole di competenza comunale, di corsi di aggiornamento professionali rivolti a educatrici/educatori e insegnanti di asili nido e scuole dell’infanzia, per promuovere l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa, […] in merito alla costruzione delle identità di genere e alla prevenzione delle discriminazioni culturali”; “per l’apertura di ludoteche, spazi di gioco e attività di lettura liberi da stereotipi […]”; “a proporre e sottoscrivere dei protocolli d’intesa con gli Atenei delle nostre città per […] indagini qualitative e quantitative sull’educazione alle differenze e sulla prevenzione di omofobia, transfobia, violenza contro le donne e discriminazioni razziali”.
Il documento si conclude con la richiesta al Parlamento di approvare una normativa che introduca “l’educazione alle differenze e all’affettività” nelle scuole di ogni ordine e grado (come sappiamo, ci sono parlamentari che ce la stanno mettendo tutta per soddisfare la richiesta).
Insomma, nell’appello c’è tutto il repertorio linguistico, pieno di neologismi e caricature, tipico dei teorici del gender. Tra i pericolosissimi stereotipi che gli aderenti alla rete si propongono di combattere ci sono la grammatica (da qui l’uso di asterischi e chiocciole in funzione neutra, per cancellare ogni riferimento al maschile e femminile plurale; esempi: bambin*, ragazz@, tutt*), l’azzurro e il rosa come colori privilegiati per bambini e bambine, le pubblicità sui giocattoli, le fiabe come Biancaneve e Cenerentola, i libri che veicolano l’ormai antiquata idea di famiglia naturale da sostituire con testi moderni che spiegano ai piccoli che si possono avere due mamme o due papà, perché dei gentili signori hanno donato un semino e delle gentili signore hanno donato prima un ovetto e poi il pancino (il lettore ci scusi se ci adattiamo al linguaggio mellifluo di questo genere di opuscoli, volti alla rieducazione di massa già dall’infanzia).
Nella manifestazione a Roma del 2015, un laboratorio “fuori programma” di Educare alle differenze si intitolava De-generiamo e si proponeva di esplorare “autoerotismo, post-pornografia, dominazione e sottomissione, bondage e burlesque”. L’associazione capofila Scosse ha inoltre proposto di inserire i temi del transessualismo e dell’intersessualismo nelle scuole per bambini di 0-6 anni e, come suo modello di riferimento, assume i famigerati Standard per l’educazione sessuale in Europa dell’Oms, della cui pericolosità per bambini e adolescenti abbiamo già parlato.
Già questo dovrebbe essere abbastanza per mettere in guardia i genitori. Ma poiché c’è sempre chi cerca di minimizzare è bene dare qualche informazione in più. In un tentativo di rassicurare le famiglie e spegnere le proteste, l’assessore alle politiche di genere, Valeria Troia, da anni vicina alla galassia Lgbt di Siracusa, ha detto che la rete di Educare alle differenze è composta da “associazioni no profit, enti locali, organizzazioni dell’ambito sociale, équipe di formazione, associazioni di genitori, centri antiviolenza, case delle donne, gruppi informali di insegnanti, spazi sociali […]”. Di certo, l’assessore non ha convinto la comunità di CitizenGo, che ha lanciato una petizione per fermare il gender nelle scuole di Siracusa. A questo link è possibile inoltre leggere l’elenco completo, aggiornato a settembre 2016, delle realtà che aderiscono a Educare alle differenze. Ci limitiamo ad alcuni cenni a cinque associazioni che fanno parte di questa rete:
ANDDOS
Si tratta dell’associazione assurta agli onori delle cronache per il doppio servizio televisivo della trasmissione Le Iene, che ha mostrato come nei circoli affiliati si pratichino orge e prostituzione (questo quotidiano ne ha già parlato qui, qui e qui), causando le dimissioni del direttore dell’Unar. Il 16 dicembre, cioè due mesi prima che emergesse lo scandalo, la presidente di Scosse aveva definito Anddos “un esempio virtuoso all’interno della rete di Educare alle differenze” (qui il video). L’associazione vuole portare nelle scuole il progetto Parlami d’amore, che propone un’educazione alle differenze di genere e alla sessualità fondata sui già citati standard dell’Oms. Nella scheda di presentazione di Parlami d’amore, Anddos arriva a definire “consolidata letteratura scientifica” un volume di John Money, cioè colui che diffuse il falso scientifico dell’identità di genere e convinse due genitori a crescere un bambino come se fosse una bambina: si tratta del caso di Bruce Peter Reimer, cresciuto come “Brenda”, che non si identificò mai nel sesso femminile e morì suicida nel 2004.
ARCIGAY
L’associazione è ben conosciuta, ma val la pena ricordare la posizione fin qui tenuta sull’utero in affitto. Alcuni membri si sono dichiarati pubblicamente contrari alla pratica, ma a poco a poco i vertici stanno uscendo allo scoperto, come dimostrano la partecipazione a un incontro sulla maternità surrogata del suo presidente e le dichiarazioni del suo segretario dopo le recenti sentenze che, di fatto, hanno ratificato l’utero in affitto. Nessun accenno al fatto che si tratta di una pratica disumana, che comporta la schiavizzazione delle donne e la mercificazione dei bambini. Peraltro, è espressamente vietata dalla legge.
CASSERO LGBT CENTER
Collegato all’Arcigay di Bologna, il Cassero è quel circolo che promuove corsi di bondage e, durante la Quaresima di due anni fa, organizzò l’evento blasfemo Venerdì credici, in cui uomini seminudi, con una corona di spine in testa, mimavano atti sessuali imbracciando una grande croce. È davvero triste pensare che un’associazione che offende Cristo e i cristiani possa arrivare a educare dei bambini.
CIRCOLO DI CULTURA OMOSESSUALE “MARIO MIELI”
Il circolo è intitolato a Mario Mieli, attivista gay e teorico degli studi di genere, morto suicida nel 1983. Nel saggio Elementi di critica omosessuale, Mieli arrivò a sdoganare la pedofilia, rappresentandola come “liberazione” del bambino: “Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro”. La domanda è: voi intitolereste mai un’associazione a un personaggio che scriveva di poter fare l’amore con i bambini?
FAMIGLIE ARCOBALENO
Basti dire che sostiene apertamente l’utero in affitto.
L’ampia rete di Educazione alle differenze è completata da varie sigle dell’universo Lgbt italiano, dagli atei e agnostici dell’Uaar e da associazioni abortiste e femministe che attaccano perfino l’obiezione di coscienza, ossia il diritto che preesiste a tutti i “nuovi diritti” che questi gruppi vorrebbero imporre attraverso la loro martellante propaganda, facilitata da media compiacenti. Davvero è un bene consentire che educhino bambini e ragazzi?
La realtà è che con il pretesto del contrasto al bullismo, alle discriminazioni, all’idea di omofobia veicolata dall’associazionismo Lgbt e dai suoi sostenitori politici (per cui “omofobo” sarebbe anche chi è contrario all’utero in affitto, come insegna il tweet di Monica Cirinnà contro lo spot diffuso da ProVita), nelle nostre scuole stanno entrando organizzazioni radicali.
(di Ermes Dovico per www.lanuovabq.it del 29 marzo 2017)