La riforma della riforma liturgica

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\"\"CLAUDIO CRESCIMANNO, La riforma della riforma liturgica. Ipotesi per un ‘nuovo’ rito della Messa sulle tracce del pensiero di Joseph Ratzinger, con una prefazione di S.E.R. Mons. Ranjith Segretario Emerito della Congregazione per il Culto Divino e Arcivescovo di Colombo, Edizioni Fede & Cultura, 2009, pp. 340, € 24,00.
 


PREFAZIONE

 
Il Card. Joseph Ratzinger parlando della riforma liturgica postconciliare disse: “Il risultato [di codesta riforma] non è stato una rianimazione, ma una devastazione […]. Al posto della liturgia frutto di uno sviluppo continuo, è stata messa una liturgia fabbricata. Si è usciti dal processo vivente di crescita e di sviluppo per entrare nella fabbricazione. Non si è più voluto il divenire e la maturazione organica di Dio che vive attraverso i secoli e lo si è sostituito a mo di produzione tecnica, con una fabbricazione banale del momento” (“Prefazione” in Klaus Gamber, La réforme liturgique en question, ed. Sainte Madeleine, Le Barroux, 1992).
Sono parole forti ma, credo, davvero oggettive di ciò che veramente accadde nella liturgia durante gli anni immediatamente susseguenti alle riforme introdotte dai riformatori del Consilium ad Exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia; in modo particolare nei confronti della Liturgia Eucaristica.
I Riformatori erano sicuramente ben intenzionati nella loro ricerca e nel loro lavoro, ma hanno lasciato degli spazi per interpretazioni larghe di qualche loro orientamento che, in alcuni ambienti, favorì uno slittamento pericoloso verso unanarchia liturgica.
Per di più qualcuno interpretò i suddetti orientamenti come conseguenza delle aperture del Concilio e della sua Costituzione Sacrosanctum Concilium. Questa posizione è discutibile. Ma non si può negare che qualche cambiamento liturgico introdotto in certi ambienti era infatti frutto di un cosiddetto “Spirito del Concilio” che glorificava “tutto ciò che è nuovo”.


ANTI SPIRITO DEL CONCILIO

Parlando di questultimo fenomeno il Cardinale disse: “Già durante le sedute e poi via via sempre più nel periodo successivo si contrappose un sedicente „spirito del Concilio che in realtà è un vero „anti-spirito. Secondo questo pernicioso anti-spirito – Konzils-Ungeist per dirlo in tedesco – tutto ciò che è „nuovo [o presunto tale: quante antiche eresie sono riapparse in questi anni, presentate come novità!], sarebbe sempre e comunque migliore di ciò che cè stato, o cè. È lanti-spirito del Concilio secondo il quale la storia della Chiesa sarebbe da iniziare dal Vaticano II, visto come una specie di punto zero” (Rapporto sulla fede, Edizioni San Paolo, 1985, p. 33).
Questo senso di esagerata passione per fare tutto ex novo, di guardare al passato con un certo senso di dispetto e di sorpassare le stesse indicazioni del Concilio, interpretandole a modo proprio, ha condizionato molti ambienti nella Chiesa man mano che il Concilio progrediva e poi nel tempo immediatamente successivo. A causa di questa tendenza alcuni elementi della liturgia Eucaristica stessa hanno subito accentuazioni sbilanciate. Per esempio: laspetto conviviale dellEucaristia a scapito della sua natura essenzialmente sacrificale; laspetto assembleare e antropocentrico a scapito di quello cristocentrico e trascendentale; laspetto del sacerdozio comune di tutti a scapito del ruolo insostituibile del sacerdozio ministeriale.
I riformatori, poi, accentuarono il concetto delle due mense – quella della Parola e quella dellEucaristia – equiparando in qualche modo la presenza reale ed integrale di Cristo nelle specie Eucaristiche con la dinamicità della Parola proclamata. Ma la natura di queste due presenze non è da mettere a paragone, e una tale equiparazione non è neanche fedele alla dottrina ecclesiale sullEucaristia.
Inoltre, un eccessivo e comunque ingenuo zelo per lecumenismo li entusiasmò e condusse ad eliminare alcuni aspetti della liturgia, considerati “difficili” per i fratelli separati, e ad introdurre altri considerati “accomodanti”. Su questo punto qualche affermazione fatta dal Segretario del Consilium mostra tristemente come, anche a quel livello, tale spirito di apertura comportasse un problema. In una presentazione del padre Annibale Bugnini apparsa su “LOsservatore Romano” del 19 marzo 1965 si parla del “desiderio […] di scartare [dal nuovo rito] ogni pietra che potesse costituire anche solo lombra di un rischio di inciampo o di dispiacere […] per i fratelli separati”. E, in un altro momento, che “la riforma liturgica ha fatto un notevole passo avanti e si è avvicinata alle forme liturgiche della Chiesa luterana” (“LOsservatore Romano”, 13 ottobre 1967). La Sacrosanctum Concilium, il documento conciliare che doveva essere lispirazione centrale di questa riforma, non aveva dato nessuna disposizione esplicita per questo ultimo orientamento. Difatti, il documento conciliare sullEcumenismo Unitatis Redintegratio, parlando delleventuale possibilità della comune celebrazione eucaristica con i fratelli separati, mette una condizione: “Superatis ostaculis perfectam communionem ecclesiasticam impedientibus” – “superati gli ostacoli che impediscono la perfetta comunione ecclesiastica” (UR, 4). Tale indicazione, come si vede, dimostra la necessità di essere cauti e prudenti, per non cadere in un falso ottimismo, o ingenuità ecumenica, che avrebbe avuto effetti negativi sulla fede cattolica. Senza una comune intesa nella fede, cosa che richiede tanto impegno e tempo di riflessione come anche preghiera, una liturgia condivisa non è possibile, perché, come dice il famoso assioma lex orandi lex credendi, la fede e la preghiera sono intimamente collegate. La posizione del padre Bugnini sopra citata già non corrispondeva ad una apertura congrua da parte dei fratelli separati verso la fede Eucaristica del Concilio, poiché quando Papa Paolo VI scrisse la Lettera Enciclica Mysterium Fidei, chiarendo alcune ambiguità dottrinali sorte sulla questione della “transubstantiatio”, in alcuni ambienti protestanti e tra alcuni teologi cattolici sorsero delle polemiche. Il Papa spiegava il motivo di quellEnciclica, anche allo scopo di comunicare, con apostolica autorità, il suo pensiero, perché “la speranza, suscitata dal Concilio, di una nuova luce di pietà Eucaristica che investe tutta la Chiesa” sembrava essere “frustrata e inaridita dai semi già sparsi di false opinioni” (MF, 13).
Si percepisce in quellEnciclica pubblicata il 30 settembre 1965, appena tre mesi prima della fine del Concilio e meno di due anni dopo la pubblicazione della Sacrosanctum Concilium, un intenso senso di preoccupazione del Santo Padre su ciò che stava accadendo.

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I Romani nella Grecia e altri scritti antinapoleonici

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\"\"Vittorio Barzoni, I Romani nella Grecia e altri scritti antinapoleonici; a cura di Giovanni Brancaccio; Millennium Editrice 2005; Pagine: 274; ISBN: 8890163615; € 12,50


Con I Romani nella Grecia, pubblicato a Venezia agli inizi del 1798, Vittorio Barzoni compie il definitivo passaggio alla propaganda apertamente antinapoleonira da quella antigiacobina, espressasi nei suoi due Rapporti (1797), con i quali infiammò il dibattilo ideologico-politico sul sacrificio di Venezia all\’Austria, sancito dal trattato di Campoformio.
In opposizione al mito della romanità alimentato dai rivoluzionari, in contrasto con il clima "classicheggiante" della Cisalpina e con l\’intento di fornire una esegesi classicistica della nascente epopea di Bonaparte, che si atteggia ad eroe di stampo plutarchiano, il Lonatese individua nella storia della conquista romana della Grecia, ad opera del console Tito Quinzio Flaminino, il vincitore di Cinoscefale (197 a.C.), un avvenimento comparabile a quello vissuto dagli Italiani dopo la discesa dell\’armée nella penisola.
Con l\’opzione della lettura degli eventi coevi in chiave classica, il Barzoni, oltre a svolgere un\’incisiva azione propagandistica antinapoleonica, infonde nuova linfa all\’antica corrente anti-romana, offrendo – come opportunamente sottolinea Brancaccio – un eccezionale documento di valore storico e storiografico.


La politica imperialistica di Roma, la macchina della propaganda scipionico-senatoriale e l\’esercito romano sono, ad avviso di Barzoni, elementi conformi a quelli della Francia rivoluzionaria.
L\’imperialismo della Repubblica romana è sovrapponibile a quello della Repubblica rivoluzionaria francese.
Ma, a rendere i due imperialismi ancora più somiglianti, sono i comandanti dei due eserciti: Flaminino e Napoleone. Entrambi giovani, ambiziosi, arditi, capaci di esaltare con la loro retorica e con le loro gesta i propri soldati; entrambi artefici sottili di una lungimirante strategia politico-militare di tipo personale. (altro…)

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La Sindone. Testimone di una presenza

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\"\"Emanuela Marinelli,  La Sindone. Testimone di una presenza, San Paolo 2010, EAN 9788821567056, Pagine 264, Prezzo 15,00 € 

 



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Radio Vaticana intervista la sindonologa Emanuela Marinelli:"Il Sacro Lino è uno strumento di evangelizzazione, non un falso" 
 
C’è chi l’ha definita uno ‘straccio sporco’, chi un ‘falso realizzato per ingannare i fedeli’. Eppure la Sindone, continua ad attrarre l’attenzione di scienziati e storici. Secondo la sindonologa Emanuela Marinelli un approccio informato e rigoroso conduce a una certezza: il ‘Sacro Lino’, oltre a essere uno strumento di evangelizzazione, non è un falso. La studiosa italiana ne parla nel suo ultimo libro "La Sindone, testimone di una presenza’"edito dalla San Paolo. (altro…)

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Cristianità, modernità, Rivoluzione

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\"\"Marco Tangheroni, Cristianità, modernità, Rivoluzione. Appunti di uno storico fra "mestiere" e impegno civico-culturale, SugarCo, Milano 2009, 184 pp.

 


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Finalmente i cultori della storia – ma anche tutti gli appassionati – hanno a disposizione un nuovo utilissimo strumento per conoscere e riflettere su di essa senza subire i condizionamenti ideologici che spesso tengono prigioniera la musa Clio. Sotto il titolo Cristianità, modernità, Rivoluzione. Appunti di uno storico tra mestiere e impegno civico-culturale sono raccolte – riviste e annotate – alcune conferenze dello storico pisano Marco Tangheroni (1946-2004), docente universitario e grande studioso del Medioevo.

Tangheroni ha insegnato, oltre che nella città natale, nelle Università di Barcellona, di Cagliari e di Sassari. Sposato e padre di tre figlie adottive ruandesi, ha svolto attività politica e di apostolato culturale ed è stato attivo e apprezzato conferenziere su numerosi temi, anche al di fuori dell’ambito strettamente accademico.

Tutto ciò nonostante una grave malattia renale che sin dalla giovinezza ne ha minato il fisico e ha conferito un senso "provvidenziale" alla coincidenza fra la memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes, venerata come salus infirmorum, e la sua morte, avvenuta l’11 febbraio 2004.

Fra i suoi numerosi saggi e volumi pubblicati ricordiamo Commercio e navigazione nel Medioevo (Laterza, Roma-Bari 1996) e la mostra Pisa e il Mediterraneo. Uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici (Skira, Milano 2003), che costituiscono un po’ la summa delle sue ricerche e dei suoi interessi, nonché il libro postumo Della Storia. In margine ad aforismi di Nicolás Gómez Dávila, recentemente uscito per i tipi di Sugarco di Milano.

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Parola e comunità politica

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\"\"STEFANO FONTANA, Parola e comunità politica. Saggio su vocazione e attesa, Edizioni Cantagalli, Siena 2010, pp. 165, Euro 11,50.
 
E’ uno degli aspetti più sottovalutati dei nostri tempi, eppure resta un dato di fatto osservabile da chiunque che la ‘società liquida postmoderna’ attraversi una diffusa crisi della vocazione, a vari livelli. Crisi della vocazione non solo nel senso ‘tradizionalmente’ religioso (sebbene anche questo sia un aspetto rilevante e, per la verità, tutt’altro che marginale) ma prima ancora in senso umano, nel senso di dare una ragione e un fine coerente alle scelte della propria esistenza. Una crisi che investe come forse mai prima era successo i comportamenti pubblici e le scelte intime dell’uomo contemporaneo, fino ad arrivare a quella che alcuni hanno chiamato una vera e propria “atrofia” (pag. 13) dell’intelligenza e del cuore. Su questa crisi riflette Stefano Fontana, giornalista pubblicista, direttore dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa e consultore del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, in un notevole saggio in uscita in questi giorni che non mancherà di suscitare dibattito per la visione ‘alta’ ed impegnata di un progetto educativo che rifugge con coraggio dagli astratti modelli pedagogici di omologazione e dai riduzionismi tipici della cultura attuale.    

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La centralità della liturgia nella storia della salvezza

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don Enrico Finotti, La centralità della liturgia nella storia della salvezza, Fede e cultura 2010, Isbn: 978-88-6409-042-9 , Pagine 112, Euro 12,00

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Per tanti anni, quasi 40, come i giorni di Cristo nel deserto, chi nella Chiesa riteneva che la questione liturgica fosse centrale, è stato spesso ignorato, o deriso.

Sembrava che la Fede fosse essenzialmente, o solamente, azione, nel mondo. «Dalle messe alle masse», si diceva tra i cattolici “adulti” negli anni Settanta. Poi, improvvisamente, quasi come un fuoco che covava sotto le ceneri, l’idea che la liturgia sia “culmen et fons” della vita interiore ha ripreso piede. Piano piano, certo. Ma impetuosamente.

Sono così nati siti internet come messainlatino.it e rinascimentosacro.com, che stanno riscuotendo sempre più successo grazie alla loro capacità di rispondere ad un mai sopito desiderio di bellezza e di vera liturgia. Ma a segnalarsi per l’attività in questo campo è stata soprattutto una giovane casa editrice, “Fede & Cultura”, che si è proposta come apripista di un nuovo “movimento liturgico”, destinato a ridare vitalità e splendore alla Chiesa.

“Fede & Cultura” ha iniziato pubblicando un Messale, quello di san Pio V, che sembrava archiviato per sempre. Una scommessa editoriale, visti i costi, che è stata, incredibilmente, premiata. Poi ha dato alle stampe “La messa antica” di Francesco Cupello, “Introibo ad altare Dei”, di tre ottimi e giovani liturgisti laici, “La liturgia fonte di vita” di Mauro Gagliardi.

L’ultima fatica di questo coraggioso editore è un bellissimo libro di don Enrico Finotti, “La centralità della liturgia nella storia della salvezza”, che vuole analizzare il “movimento pendolare, tra Liturgia ed apostasia, tra adesione obbedienziale e adorante all’unico Dio e avversione e allontanamento da Lui”, proprio di tutta la storia della salvezza.

Per don Finotti, Scritture alla mano, la liturgia è «quell’atteggiamento di adorazione, di stupore, di lode, di sottomissione, di obbedienza, di consegna di sé, di amore e di obbedienza fidente, che sale dal cuore dell’uomo verso Dio e che coinvolge globalmente tutte le facoltà spirituali e le scelte esistenziali». E’ «l’accettazione di Dio e della sua maestà nella nostra vita, che si esprime nella adorazione contemplativa e nella obbedienza operativa». (altro…)

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Chesterton: Ortodossia

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Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia, Lindau 2010, pp. 256, ISBN: 978-88-7180-876-5 , euro 18,00

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Tutto l’ottimismo di quest’epoca è stato falso e deprimente perché ha sempre cercato di dimostrare che noi siamo fatti per il mondo. L’ottimismo cristiano è basato sul fatto che noi non siamo fatti per il mondo. Ho cercato di essere felice dicendo a me stesso che l’uomo è un animale, come tutti gli altri che aspettano il nutrimento da Dio. Ma ora so che sono stato realmente felice, perché ho imparato che l’uomo è una mostruosità. Avevo ragione nel pensare che tutte le cose fossero strane, perché anch’io ero peggiore e al tempo stesso migliore di tutte le cose. Il piacere dell’ottimista era prosaico, perché risiedeva nel fatto che tutto è naturale, il piacere del cristiano era poetico, perché dimorava nel fatto che tutto è innaturale alla luce del soprannaturale. Il filosofo moderno mi aveva ripetuto più volte che io ero al posto giusto, eppure mi ero sentito ancora depresso, pur essendo d’accordo. Ma avevo saputo di essere al posto sbagliato, e la mia anima cantava di gioia, come un uccello in primavera. La consapevolezza ha scoperto e illuminato stanze dimenticate nella buia dimora della mia infanzia. Ora sapevo perché l’erba mi era sempre sembrata strana come la barba verde di un gigante e perché riuscivo a provare nostalgia pur trovandomi a casa. (G.K.Chesterton)


In seguito alla pubblicazione nel 1905 di Eretici – una raccolta di saggi in cui l’autore attacca con stile brillante e corrosivo i dogmi della sua epoca – Chesterton fu sfidato dalla critica a indicare quale fosse la propria visione del mondo. Tre anni più tardi, nel 1908, diede alle stampe Ortodossia, forse il suo saggio più importante, una autobiografia filosofica. In quest’opera, ricchissima di idee e di suggestioni, lo scrittore inglese esprime la sua incrollabile fede cristiana, di cui argomenta con rigore, ma senza rinunciare al gusto per il paradosso, l’assoluta ragionevolezza.

Tutte le obiezioni e le accuse che vengono di norma rivolte al cristianesimo sono affrontate con schiettezza, discusse e infine puntualmente rovesciate. Il risultato, spesso sorprendente, è la dimostrazione che anche i punti più astrusi della dottrina colgono una verità profonda dell’essere umano.
In particolare, nel cristianesimo l’autore individua un insieme di valori spirituali e morali in grado di difendere l’uomo da ciò che, minando la bellezza e la santità della vita, lo rende infelice: le ingiustizie del capitalismo, le teorie materialiste e deterministe (in particolare l’evoluzionismo), le eresie del passato e del presente.
Il cristianesimo, per Chesterton, è la sola risposta possibile a quell’aspirazione al Vero, al Bene, al Bello, al Giusto, che abita nel cuore di ciascuno di noi.


L’AUTORE

Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) fu scrittore e pubblicista dalla penna estremamente feconda. Soprannominato «il principe del paradosso», usava una prosa vivace e ironica per esprimere serissimi commenti sul mondo in cui viveva. Scrisse saggi letterari e polemici, romanzi «seri» (L’uomo che fu Giovedì, L’osteria volante) e gialli (celebre la serie di avventure di Padre Brown). Lindau ha pubblicato i suoi saggi biografici su san Francesco d’Assisi e san Tommaso d’Aquino, le opere La Chiesa cattolica ed Eretici e il romanzo Il Napoleone di Notting Hill.

La «Nota biobibliografica» e l’elenco delle «Opere di Chesterton» sono a cura di Marco Sermarini, Presidente della Società Chestertoniana Italiana.

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Cornelio Fabro: profilo biografico

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Rosa Goglia, Cornelio Fabro: Profilo biografico cronologico tematico da inediti, note di archivio e testimonianze, Edivi 2010, ISBN 978-88-89231-37-1, pagine 336,  Euro 18,00
http://www.corneliofabro.org/


Presentazione

          
          Si racconta che quando San Gaspare Bertoni, fondatore della congregazione degli stimmatini, usciva di casa alla ricerca di libri rari e particolari, i collezionisti e librai di Verona tremavano in cuor loro, perché quell’uomo dal fiuto di un segugio sarebbe subito riuscito a scoprire qualcosa di importante, accaparrandoselo per la biblioteca che stava allestendo nel nuovo convento. Il patrimonio librario allora
in commercio, proveniva spesso dai monasteri soppressi anni prima da Napoleone. La sua ricerca, con un permesso particolare del Papa Gregorio XVI, non si fermava solo a Verona ma i volumi provenivano da Padova, Venezia, Parigi. Manoscritti antichi, incunaboli, edizioni preziose come l’Opera del Baronio edita dal Mansi, e quella del teologo gesuita P. Francesco Suarez.
          Mi hanno raccontato che negli anni dell’immediato dopoguerra, anche P. Cornelio Fabro si aggirasse fra le bancarelle di Roma o nei negozietti degli antichi librai alla ricerca di opere rare ed importanti. Erano gli anni in cui le distruzioni della seconda guerra mondiale potevano disperdere nei dimenticatoi più impensati e nell’abbandono più totale libri e testi di grande ricchezza ed importanza. Ed anche per il nostro confratello gli orizzonti della ricerca si aprirono sull’Europa ed oltre, a formare quella preziosissima biblioteca di circa trentamila volumi che ora possediamo.
Quasi spontaneamente ho sempre accostato in questa luce la figura di questo religioso stimmatino al suo Fondatore.
          Nelle intenzioni di San Gaspare Bertoni la ricerca non era finalizzata al mero piacere letterario o ad una qualche mania di collezionismo, ma aveva lo scopo di creare i mezzi per una preparazione profonda e completa dei suoi discepoli al compito di evangelizzatori come "Missionari Apostolici". Antonio Bresciani, gesuita, tra i fondatori della rivista Civiltà Cattolica, assicura che «era voce comune in Verona che Don Gaspare fosse, oltre che profondo negli studi teologici, eziandio profondo conoscitore nelle lettere greche, latine e italiane».
          E così P. Cornelio. Per lui tutto era guidato dal desiderio profondo, direi quasi dall’ansia, della ricerca su Dio e sull’uomo: nel solco della libertà per la verità e della verità nella libertà.
          Mentre con grande gioia accompagno il nascere di questa prima biografia di P. Cornelio Fabro, qui presentata dalla cara e per tanti anni sua fedelissima segretaria Suor Rosa Goglia, vorrei esprimere sinteticamente su di lui un unico pensiero.
          Il Fabro filosofo, teologo, saggista, studioso, scrittore, insegnante non può mai essere separato dal Fabro discepolo di Cristo, uomo di profonda spiritualità, religioso e sacerdote.
          Le sue riflessioni, le intuizioni filosofiche e teologiche, il mondo del suo sapere sono sempre stati per lui l’anima della sua fede e del suo credere e nel contempo la sua vita spirituale di cristiano era il motore trainante della sua ricerca e del suo lavoro.
          Solo in questa cornice si possono comprendere tanti momenti della sua vita, dove con facilità ed estrema naturalezza egli passava dalle cattedre delle università e dai convegni filosofici a livello mondiale, dai momenti di studio e di composizione di saggi, dai dibattiti accesi nei circoli culturali degli amici, al semplice momento di preghiera personale con la recita del breviario o del rosario, alla celebrazione dell’Eucaristia e all’omelia domenicale per i suoi fedeli di Santa Croce al Flaminio, al servizio pastorale del confessionale in Basilica, ai quattro calci al pallone nel cortile dell’oratorio, scambiati con vero tifo calcistico con i ragazzi della parrocchia e ad un buon bicchiere di Piculit o Tocai, vini famosi della sua terra friulana, condivisi in amicizia con i confratelli della sua comunità.
          Ai lettori l’augurio che scorrendo queste pagine possano non soltanto conoscere fatti, episodi, curiosità della sua vita, ma anche percepire la passione dello studioso per la Verità e il profondo spirito di un discepolo di Cristo.
P. Andrea Meschi
Sup. Gen. Stimmatini

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Il suicidio dell’Occidente

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\"\"Roger Scruton, Il suicidio dell\’Occidente, a cura di L. Iannone, Le Lettere 2010, ISBN 9788860873583; Pagine 74; € 9,50

 


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Chi abbia avuto la possibilità di accostarsi agli scritti di Scruton non avrà difficoltà a comprendere la ragione dei tanti modi con cui è stato definito: anticonformista, geniale divulgatore, laicissimamente cattolico, astuto polemista, tuttologo illiberale, o anche, per dirla con il New Yorker, “il più influente filosofo del mondo”.
L’ampiezza delle tematiche affrontate da Scruton è davvero impressionante e sempre trae origine dalla sentita necessità, per l’uomo moderno, di riformulare le sue teorie all’interno di un sistema di pensiero che si attenga alla tradizione senza, al tempo stesso, trascurare l’importanza della conservazione di memorie personali e collettive. Punto di partenza della sua indagine è la crisi profonda dell’uomo occidentale, e in particolare dell’uomo europeo, che si lascia alle spalle tradizione e caratteri ereditari per perdersi sempre più in un indistinto universalismo e in un dedalo di riferimenti che sono sempre più vasti e dispersivi.
Quest’ampia intervista raccolta da Luigi Iannone ha il pregio di affrontare, in breve, uno spettro molto ampio di temi attuali che possa restituirci, in sintesi, il nucleo della sua speculazione: l’idea di stato e di nazione, la necessità di un risveglio della cristianità in Europa, i rapporti tra arte, bellezza e mercato, il conflitto tra scienza e ragione, il matrimonio, l’omosessualità, l’eutanasia, il diritto alla privacy nella società contemporanea e molto altro.

 

(27 febbraio 1944) è filosofo, letterato, columnist, compositore, editore. E’ attualmente Resident Scholar all’Enterprise Institute.

 

 
Luigi Iannone, laureato in Scienze politiche, è tra i fondatori dell’ISIS (Istituto Italiano di Scienze Sociali). Nel 2003 ha ottenuto il Premio nazionale della cultura istituito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per la saggistica. È autore di numerose pubblicazioni.

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Politiche dell’ambiente e dottrina sociale della Chiesa

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\"\"Crepaldi Giampaolo; Togni Paolo, Ecologia ambientale e ecologia umana. Politiche dell\’ambiente e dottrina sociale della Chiesa, Cantagalli, 2007, pp.110, Euro 6, 80


E’  uscito nel 2007 nella collana delle Edizioni Cantagalli curata dall\’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân” sulla dottrina sociale (www.vanthuanobservatory.org),il breve ma denso saggio intitolato Ecologia ambientale ed ecologia umana: politiche dell’ambiente e Dottrina sociale della Chiesa (Siena 2007, 110 pagine, 6.80 Euro), scritto a quattro mani dal presidente dello stesso Osservatorio, mons. Giampaolo Crepaldi e dal professor Paolo Togni, attualmente Presidente dell\’Associazione per la diffusione della corretta conoscenza ambientale "VIVA", già Capo di Gabinetto del Ministro dell\’Ambiente e della Tutela del Territorio (durante il secondo governo Berlusconi) Altero Matteoli.

Il volume riferisce innanzitutto delle preoccupazioni e dell\’impegno della Chiesa cattolica nella salvaguardia del Creato criticando diffusamente la cosiddetta “ideologia ambientalista” dato che, come si spiega nell\’introduzione, “la lacuna principale presente in tanti atteggiamenti ambientalistici, pur soggettivamente generosi ma deboli sul piano culturale, è di voler salvare la natura concentrandosi sulla natura stessa” (p. 7). Secondo il vescovo Crepaldi, invece, per riuscire ad ottenere dei risultati bisognerebbe piuttosto concentrarsi “non sulla natura materialmente intesa, ma sull\’uomo, sulla vocazione e su Dio, che ha voluto associare l\’uomo alla sua creazione”(p.8).
Sembra un paradosso, ma per sviluppare una cultura dell’ambiente naturale occorrerebbe “prenderne le distanze” e mirare a ciò che è veramente essenziale, cioè il benessere autentico della persona umana ed il vero bene comune della società.
Nel terzo capitolo del saggio mons. Crepaldi cerca di analizzare le principali visioni ideologiche sull’ambiente presenti attualmente, che sono così riassumibili: biocrazia, ossia potere dell’uomo sulla natura e quindi sull’uomo stesso in quanto parte della medesima, tramite un impiego incontrollato delle tecniche biotecnologiche a scopo eugenetico (p.28); tecnicismo, ossia tendenza che vorrebbe correggere i danni provocati dalla tecnica con la sola tecnica (p. 29); biologismo,ossia riduzione di tutto l’umano al biologico, con appiattimento quindi dell’uomo sulla sua materialità e sostanziale indistinta omogeneità della biosfera (p.32); catastrofismo, ossia enfatizzazione in chiave neomalthusiana di accampati processi di sovrappopolazione che sarebbero causa progressiva ed inevitabile di degrado ambientale (p. 33); naturalismo egotistico, ossia mentalità per cui la natura è vista come una immensa beauty-farm in cui narcisisticamente ritrovare sé stessi (p. 34).
In tutte queste versioni dell’ideologia ambientalista la natura non viene più interpretata come habitat per l’uomo, terreno di condivisione e di “dialogo” dell’umanità con Dio (p. 35). Nel capitolo V dedicato al rapporto tra ambiente ed etica della vita mons. Crepaldi osserva a tal proposito come una delle principali contraddizioni di tale ideologia consista proprio “nell\’esaltare i doveri della società verso l\’ambiente fisico e animale e non verso l\’uomo” (p. 45). Egli spiega inoltre quanto paradossale sia il fatto che “ONG, partiti e movimenti ambientalisti, mentre denunciano con grande fervore la manomissione dell\’aria e dall\’acqua, tollerano e addirittura promuovono interventi di inseminazione artificiale, che comportano il sacrificio di embrioni umani, di selezione embrionale pre-impianto, di aborto tardivo in caso di malformazione del feto, di interventi di ingegneria biologica sul DNA e perfino di clonazione umana” (p. 45). Parole di critica il vescovo rivolge quindi alle organizzazioni ambientaliste di ispirazione cattolica che, a suo parere, “tralasciano di associare stabilmente la mobilitazione per l\’ambiente con la mobilitazione per una bioetica a vera misura di persona umana, e di una famiglia conforme alla dimensione naturale dell\’uomo e della donna, oltre che della loro dimensione soprannaturale” (p. 45). “Il rispetto della vita è il primo elemento di una cultura che rispetta la natura e la natura dell\’uomo in particolare. Il non rispetto del diritto alla vita – continua il vescovo – è la prima e principale forma di degrado dell\’ecologia umana attuato attraverso una violenza inferta all\’ecologia naturale” (p. 47).

Nella seconda parte del libro Paolo Togni si occupa d’illustrare le politiche per un ambiente umanizzato realizzate al livello istituzionale, sottolineando un approccio culturale che sappia riconoscere il bene dell\’umanità nell\’ambito di una visione antropocentrica.

Nel capitolo IV, dal titolo Migliorare si può, lo studioso analizza in modo particolare le politiche ambientali relative al servizio idrico, all\’igiene urbana e al trattamento dei rifiuti, alle bonifiche, al dissesto idrogeologico, all\’energia, al cambiamento climatico, ala tutela dei parchi e delle aree protette e all\’utilizzo degli OGM.
Togni affronta le varie tematiche in un quadro di politica pubblica finalizzata al bene comune, tenendo in gran conto quanto sostenuto in merito dalla Dottrina Sociale cattolica.
In Appendice al saggio è riportato un interessante Decalogo per un ambiente a misura d\’uomo che, redatto conformemente agli insegnamenti del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, è stato pubblicato dal settimanale il Domenicale ricevendo numerose ed autorevoli adesioni nel mondo cattolico come ad esempio quelle di Giovanni Cantoni, Cesare Cavalleri, Roberto Formigoni, Antonio Gaspari e Massimo Introvigne (cfr. www.ildomenicale.it/approfondimento.asp?id_approfondimento=11 ). Questo Decalogo è costruito intorno a  tre “demistificazioni” di fondo: 1) l’uomo non è nemico della natura; 2) il progresso, lo sviluppo, l’aumento della popolazione non sono nemici dell’ambiente; 3) non è con il pauperismo o con la “decrescita” che si riesce a limitare il degrado naturale, ma con una rinnovata assunzione di responsabilità che tenti di ricostruire l’ecologia umana, la coscienza morale delle persone, i veri valori dello stare insieme.
Nella loro introduzione Crepaldi e Togni rilevano come l’enciclica di Benedetto XVI Spe salvi (“Salvati nella speranza”), promulgata il 30 novembre 2007, ricordi come i monaci cistercensi di san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) “si dedicavano al dissodamento del bosco per renderlo poi fertile, ma prima si dedicavano al dissodamento dell\’anima” (p. 8). In questa citazione si può riassumere il principio fondamentale che sta alla base dell’ecologia umana perché, come ha ribadito il Papa, “nessuna positiva strutturazione del mondo può riuscire là dove le anime inselvatichiscono” (Benedetto XVI, Lettera enciclica Spe salvi ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici sulla Speranza cristiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, punto 15).
Sara Deodati

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