Un sottile sentimento eugenetico
Un giornale danese presenta come una grande conquista l’intenzione del governo di rendere gratuiti i test di diagnosi prenatale per cui le nascite down, già in diminuzione, spariranno presto del tutto. È chiaro –ma forse, non detto- che l’auspicata sparizione dipenderà non certo da inesistenti (fino ad oggi almeno) terapie ma dalla soppressione dei feti che presentano tale diagnosi: scelta oramai data per scontata
Roberto Volpi
LA SPARIZIONE DEI BAMBINI DOWN
– UN SOTTILE SENTIMENTO EUGENETICO PERCORRE L’EUROPA –
Ed. Lindau – 2016 – pag. 89 – €.10,00
Roberto Volpi, oggi poco più che settantenne, è stato da giovane un convinto sessantottino. Dapprima, leader di un piccolo gruppo di cinesi (così si chiamavano i giovani di sinistra delusi dalla prassi parlamentare del Partito comunista italiano cui essi contrapponevano la ben più radicale rivoluzione culturale di Mao Tse Tung), aderì poi al P.C.I. e ne fu, oltre che focoso comiziante ed amministratore locale, esponente di rilievo nella provincia di Pisa. Fu infatti, poco più che trentenne, posto alla presidenza della neo-costituita U.S.L. ed appariva dunque destinato ad una carriera politica di rilievo.
Si dimise invece poco dopo, nauseato – così ricorda- dal clientelismo che vedeva intorno a sé e si è quindi dedicato al lavoro di statistico presso gli Uffici della Regione Toscana.
Nell’ambito di questa attività, nonostante l’inequivoca formazione politica, la sua personale onestà non lo ha lasciato insensibile davanti a quel drammatico declino demografico dell’Italia ed insieme, di tutto l’Occidente, che i numeri che trattava ogni giorno gli ponevano sotto gli occhi. Nell’indagarne le cause, ha creduto –con altrettanta onestà- di poterle individuare nella tragica crisi della famiglia. Infatti, almeno in Italia la crisi demografica si fa sempre più drammatica dopo il 1975 che è, significativamente, l’anno che segue il referendum sul divorzio: un avvenimento che (come Volpi va ripetendo negli incontri e negli articoli sul Foglio di Giuliano Ferrara) aveva fatto capire a tutti che questo istituto sarebbe oramai divenuto definitivo.
È da questo momento che occorre dunque datare la fine della tradizionale famiglia italiana: una realtà costruita nei secoli e circondata nel mondo da fama di solidità a tutta prova, di spirito di sacrificio e, proprio per tali caratteristiche, miniera di figli. L’apertura verso le nascite richiede infatti –ricorda ancora Volpi- più ancora che l’aumento degli assegni familiari o dei parchi giochi, la certezza di un futuro unito e di una solidarietà che oltrepassa le generazioni. La conclusione è quindi assai semplice: se non si può più fare affidamento sulla famiglia, neanche si fanno più figli.
Questa la tesi di fondo che emerge dai suoi libri, spesso dal titolo provocante: “Il sesso spuntato – Il crepuscolo della riproduzione sessuale in Occidente” o “La nostra società ha ancora bisogno della famiglia?”. Non stupisce dunque che il “laico” Roberto Volpi pubblichi spesso da Vita e pensiero, l’editrice dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano.
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Anche il breve saggio che presentiamo, è assai chiaro già dal titolo. L’autore prende le mosse da una notizia di cronaca apparsa su di un giornale danese che presenta come una grande conquista l’intenzione del governo di rendere gratuiti i test di diagnosi prenatale per cui le nascite down, già in diminuzione, spariranno presto del tutto. È chiaro –ma forse, non detto- che l’auspicata sparizione dipenderà non certo da inesistenti (fino ad oggi almeno) terapie ma dalla soppressione dei feti che presentano tale diagnosi: scelta oramai data per scontata. Ma la situazione danese non è poi diversa da quella del resto dell’Occidente come risulta dai dati che Volpi presenta. Non lo seguiremo certamente nelle sue, pur avvincenti, analisi statistiche, presentate comunque in modo discorsivo e cioè senza grafici, equazioni o altro che potrebbe scoraggiarne la lettura.
Basti ricordare come nel libro si discutano, quanto all’Italia i dati delle sole due regioni (Emilia-Romagna e Toscana) per le quali si dispone di statistiche su diagnosi e nascite down. I loro numeri confermano la sistematica eliminazione di tali soggetti: una vera e propria strage che giustifica ampiamente la parola “eugenetica” che figura nel titolo del libro.
Merita invece ricordare alcune conclusioni che vi si traggono rilevando come Volpi vi pervenga perviene senza ricorrere a giudizi di tipo morale (che pure non pare affatto disprezzare) ma solo con l’analisi dei dati che ha disponibili. E sarà interessante notare come egli finisce per confermare che le cause di questa vera e propria selezione eugenetica sono le stesse individuate da chi invece analizza i fatti in forza dei valori in cui crede. Vediamone alcune.
Anzitutto, la perdita di ogni remora morale nella scelta di abortire i down: “i freni inibitori verso l’IVG di feti down vengono progressivamente meno … man mano che si diffonde l’uso di questi test. … In pratica, è come se fossero i test stessi a decidere della nascita o dell’aborto volontario dei casi down, più che non i singoli individui, più che non le stesse gestanti, cosicché è sempre nell’ordine delle cose che quanti, dei casi down, vengono diagnosticati come tali, finiranno per essere abortiti, piuttosto che accettati. La decisione dell’aborto volontario di un feto down è stata in un certo senso spersonalizzata” (pag. 42).
A conferma di quella che è oramai avvertita come una non-scelta cioè come un comportamento quasi socialmente obbligato, si può semmai ricordare l’orientamento dominante della Magistratura italiana che risarcisce la nascita di un figlio down erroneamente non diagnosticato in sede di amniocentesi, sul presupposto, che si da per scontato, che la gestante, se l’avesse saputo, avrebbe senz’altro abortito.
In questo contesto, non conta neanche, prosegue Volpi, il fatto che oggi la condizione della assoluta maggioranza dei down sia ampiamente migliore di un tempo. Molti sono autosufficienti ed in grado di leggere ed addirittura si tengono delle para-olimpiadi a loro destinate. L’autore non manca quindi di portare esempi anche commoventi del suo concreto vissuto, a Firenze; colpisce particolarmente il caso di un down che accompagna e sorregge la madre molto anziana nelle sue passeggiate e che va da solo a far la spesa al supermercato provvedendo anche al pagamento alla cassa pur se con l’aiuto della commessa per velocizzare l’operazione.
Volpi non manca poi di inquadrare questa strage all’interno di quella vera e propria sindrome del figlio perfetto che dilaga in tutto l’Occidente. Semplici difetti fisici ai quali in passato non si sarebbe neanche fatto tanto caso, alcuni anche curabilissimi, producono oramai l’aborto nel 50% dei casi.
Ma quel che più desta sconcerto è la conclusione cui Volpi arriva nelle ultime pagine del libro sempre soltanto elaborando dati statistici. Poiché “il rischio di aborto spontaneo è 1 su 200 per l’amniocentesi (esame più frequente) e di 1 su 100 per la villocentesi (esame meno frequente) [e poiché ancora] …. sono quasi 200 mila le donne di 35 e più anni che partoriscono annualmente in Italia, se anche soltanto 1 su 3 di loro ricorre alla diagnosi prenatale, si avrà un numero di aborti spontanei di feti sani superiore a 500, decisamente più alto delle 350 nascita down” stimate sulla base dei dati delle sole due regioni disponibili (pag. 81). Siccome però, con tutta probabilità, le donne di 35 e più anni che ricorrono ai test prenatali sono molte di più di una su tre, ne deriva che è lecito supporre che, per evitare una nascita down, si abortiscono involontariamente almeno due bambini non down.
Sono dati che non hanno necessità di aggettivi o commenti. Va solo il merito a Roberto Volpi di averli estrapolati e messi alla portata di chiunque perché non si possa dire che ‘nessuno sapeva’.
Andrea Gasperini