Rino Cammilleri: Ma l’Inquisizione ha fatto anche cose buone?

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Dalle crociate all’Inquisizione, la storia senza leggende nere

Crociate e Inquisizione cattive, Medioevo delle streghe e dei roghi, Sicilia tollerante con i musulmani?
Nel libro “Ma l’Inquisizione ha fatto anche cose buone?”, lo scrittore Rino Cammilleri smonta, con le armi della ragione e fatti storici alla mano, molti falsi miti ideati da una storiografia faziosa e fondamentalmente anticattolica.
Ecco qualche esempio.
Si può dunque rispondere affermativamente alla domanda che dà il titolo al quinto volume della raccolta “Il Kattolico”, ossia Ma l’Inquisizione ha fatto anche cose buone? (Fede&Cultura 2020, pp. 140), nel quale Rino Cammilleri – firma nota ai lettori della Nuova Bussola – smonta, con le armi della ragione e citando i fatti storici, molte credenze comuni elaborate da una storiografia faziosa e pregiudizialmente anticattolica relativamente a crociate, Inquisizione, Medioevo delle streghe e dei roghi e al mito della Sicilia tollerante con i musulmani.
Con l’Inquisizione la Chiesa crea il primo fondamentale pilastro della moderna giustizia, quella creata per perseguire d’ufficio i crimini”. In queste parole dello storico Paolo Prodi, già rettore dell’Università di Bologna, emerge un merito dell’Inquisizione di grande rilievo: tale tribunale ha di fatto contribuito a trasformare il diritto romano-barbarico, accusatorio e fondato sulla semplice querela di parte, in diritto d’ufficio.
Insomma, per quanto strano possa oggi apparire, vista la leggenda nera diffusa nel “tritacarne della scuola di Stato e dei media”, è stata proprio “l’Inquisizione a inventare, nel procedimento, il verbale, l’avviso di garanzia, l’appello e, insomma, tutti quegli accorgimenti a tutela dell’imputato che oggi chiameremmo garantismo”.

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Cammilleri: LA FICTION ANTICATTOLICA il nome della rosa

Ci risiamo con la leggenda nera…

Già dalla prima scena si è capito che la nuova versione-kolossal de Il nome della rosa, finanziata da RaiCinema, cioè dal contribuente, era anche peggio della precedente, il film di Jean-Jacques Annaud del 1986, tratto dal «palinsesto» di Umberto Eco. La storia della lotta per le investiture ci dice l’esatto opposto della nuova fiction. 

Già, Umberto Eco. Il quale, pretendendo questa aggiunta nei titoli, chiarì che il film non poteva rappresentare tutta la complessità del romanzo bestseller omonimo. La prima scena di cui dicevamo è una scritta che avverte lo spettatore che nel 1327, anno in cui si svolge la vicenda, l’imperatore Ludovico stava cercando di «separare la politica dalla religione». Messa così, è chiaro che la simpatia dello spettatore si orienterà verso l’imperatore, che la Chiesa vorrebbe sottomettere imponendo ai posteri uno stato teocratico di tipo, per intenderci, khomeinista.

La storia, vera, dice però il contrario: tutta la lunga Lotta per le Investiture, dal secolo XI al Concordato di Worms del 1122, fu combattuta perché era l’imperatore a voler mettere il cappello sulla Chiesa decidendo lui la nomina dei vescovi. L’imperatore che regnava nel 1327, Ludovico IV il Bavaro, aveva deciso allora di tagliare del tutto i legami con la Chiesa.
Infatti, fu il primo imperatore a farsi incoronare non dal papa, ma da un laico, quello Sciarra Colonna che aveva preso a schiaffi il papa Bonifacio VIII ad Anagni. Gesto che simbolicamente chiuse il Medioevo cristianissimo.
Gesto la cui portata Bonifacio VIII comprese benissimo, tant’è che ne morì di crepacuore.

La Chiesa, come previsto, finì alla mercé del potere politico: nel 1327 il pontificato non era più a Roma ma ad Avignone, deportato in Francia da Filippo il Bello, il distruttore dei templari.
Il potere politico, privo della guida, e del freno, di un’autorità morale, da allora divenne sempre più assoluto, culminando nei totalitarismi del secolo XX.

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Parlare di insorgenti, oggi: perchè?

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La discesa di Napoleone e della Rivoluzione francese in Italia diede ovunque vita a insurrezioni armate dei cattolici.
L’avanzare della scristianizzazione suscita sempre reazioni: non è improprio paragonare le insorgenze contro Napoleone al “Family day” suscitato dalle nozze gay.

Un romanzo storico può aiutare non ripetere gli errori del passato.
Oggi come allora, gli errori sono i medesimi:
– la mancanza di quadri direttivi formati nella dottrina sociale cattolica;
– l’assenza di un collegamento (cosa diversa da una direzione unitaria) tra le rivolte;
– l’insinuarsi di traditori, cioè di quadri subalterni alla modernità, nelle file dell’insorgenza;
– il tradimento di ecclesiastici e di Pastori.
Dunque, niente di nuovo sotto il sole.

Il secondo romanzo storico di Alberto Ferretti torna sul tema del sangue degli insorgenti.

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1968: la battaglia continua

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Molti gli anniversari che si celebrano quest’anno.
Innanzi tutto il Sessantotto, Rivoluzione bolscevica pianificata, che fece proprie le torbide idee del marchese de Sade.
Poi i cinquant’anni dall’Humanae Vitae, che ribadì provvidenzialmente la proibizione della contraccezione.
Ancora: nel 1978 fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro, fautore del compromesso storico, e venne promulgata la legge sull’aborto, che ha provocato oltre sei milioni di morti.
Ma il 1978 fu anche l’anno dei tre Papi, del degrado culturale e morale. E la battaglia di oggi è quella di ieri…

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1968: una rivoluzione contro le radici

Una Rivoluzione culturale
«Avevo vent’anni e non permetterò a nessuno di dire che questa è l’età più bella della vita»: è l’epitaffio – una frase di Paul Nizan – che Marco Riva, ventunenne redattore del Quotidiano dei lavoratori, chiede per sé nella lettera scritta ai familiari prima di suicidarsi all’interno della propria auto, l’8 gennaio 1971.
Il tragico gesto di Marco Riva si sarebbe drammaticamente riprodotto e diffuso negli anni seguenti, insieme al crescere esponenziale dei morti per eroina: ma, nel 1971, rappresentava in Italia una funesta anticipazione della drammatica conclusione dell’utopia perseguita da una generazione, simbolicamente datata 1977.
Gli storici che più attentamente hanno analizzato il fenomeno del Sessantotto in Occidente lo hanno definito una Rivoluzione culturale, che inizia nella seconda metà degli anni 1950 del XX secolo, ha nel 1968 la sua esplosione e si stabilizza negli anni seguenti, consolidando un rapido cambiamento nei ~ valori di riferimento, nei modi di vivere e quindi nelle leggi. (altro…)

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Verità e storia di Martin Lutero l’arci eresiarca

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Recenti dichiarazioni e gesti non possono non suscitare una crescente perplessità in molti fedeli. Costoro faticano a comprendere come una figura che ha provocato tante sofferenze alla Chiesa possa essere in qualche modo “rivalutata”. La perplessità non è di oggi. Già in occasione di simili gesti compiuti in passato da altri Pontefici molte voci si erano alzate. Ecco quanto scriveva, per esempio, Plinio Corrêa de Oliveira nel 1984:

“Non comprendo come uomini della Chiesa contemporanea, compresi alcuni tra i più colti, dotti o illustri, mitizzino la figura di Lutero, l’eresiarca, nello sforzo di favorire un’approssimazione ecumenica, direttamente al protestantesimo e indirettamente a tutte le religioni, scuole filosofiche, ecc. Non scorgono il pericolo che è in agguato in fondo a questo sentiero, cioè la formazione, su scala mondiale, di un sinistro supermercato di religioni, filosofie e sistemi di tutti gli ordini, in cui la verità e l’errore si presenteranno frazionati, mescolati e messi alla rinfusa? Sola assente dal mondo sarà – qualora fosse possibile arrivare fino a questo punto – la verità integra: cioè la Fede cattolica, apostolica, romana, senza macchia né tanfo. Su Lutero – a cui spetterebbe, sotto un certo aspetto, il ruolo di punto di partenza in questa strada verso la baraonda universale – pubblico oggi ancora alcuni passi che ben mostrano l’odore che la sua figura di ribelle spargerebbe in questo supermercato, o meglio in questo obitorio delle religioni, delle filosofie e dello stesso pensiero umano” (1). (altro…)

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6 agosto: Trasfigurazione da… assedio di Belgrado!

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 Perchè l’odierna Festa della trasfigurazione?

 La ragione risale al 6 agosto 1456, e c’è di mezzo un santo, un precusorsore di Marco d’Aviano…. ma soprattutto un’eroica vittoria millitare dell’Occidente: l’epopea dell’assedio di Belgrado e l’umiliazione della ferocia islamica!

 Belgrado, 1456: la battaglia che fermò gli Ottomani

Il 29 maggio del 1453 Costantinopoli è perduta. L’imperatore Costantino XI Paleologo, armi in pugno, si getta nella mischia nei pressi della Porta di San Romano e scompare. Con lui muoiono anche le ultime vestigia dell’Impero romano. Dopo la caduta di Bisanzio tutta l’Europa è in pericolo. E lo sguardo del sultano Mehmet II si appunta sulla sterminata pianura ungherese.

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Trecento anni di Massoneria

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Londra, 21 giugno 1717: in  occasione della celebrazione del Solstizio d’estate, viene fondata la prima Loggia Massonica. E’ l’inizio di una storia che compie oggi tre secoli, e che sarà ampiamente ricordata, e in modi molto diversi. Magari anche con strani silenzi, come quello della Chiesa, che pure della Massoneria è stata la prima e principale antagonista, il primo e principale obiettivo dei disegni strategici delle Logge. Basti pensare all’Italia, e al  ruolo giocata dall’organizzazione segreta per tutto l’800 per realizzare la più importante aspirazione della Massoneria, l’utopia più coltivata: quella di distruggere il Cristianesimo e sostituirlo con un culto neo-gnostico, con aspetti esoterici per gli iniziati e con una dimensione essoterica, pubblica, per il popolo. Il grande scontro che ebbe luogo nell’Italia dell’800 non era solo per dar vita ad una nuova entità statale, un paese dalla media importanza strategica proteso nel Mare Mediterraneo, ma era una battaglia preparata da lungo tempo per sconfiggere la Roma cristiana, la sede del Vicario di Cristo.

La Massoneria nacque dunque ufficialmente nel 1717 a Londra, e da lì a poco tempo l’Inghilterra e la Francia si riempirono di logge – i circoli dove si riunivano i seguaci dell’organizzazione- che presto figliarono in tutta Europa. Esse agivano attraverso iniziati, secondo un progetto che prevedeva, dapprima, l’organizzazione di moti patriottico-cospirativi contro i governi chiamati “reazionari e oscurantisti”, finalizzati alla loro distruzione, per poi mettere mano alla costruzione di un edificio legislativo che – nei disegni dell’organizzazione- avrebbe dovuto garantire l’abbondanza per tutti, l’eguaglianza per tutti, la libertà per tutti, e il cui fine ultimo avrebbe dovuto essere l’erigere la Casa di tutti i popoli, il Tempio dell’umanità.

Questa l’utopia massonica, un sogno della ragione dal quale sono nati gli incubi della Rivoluzione francese, dei nazionalismi, dei socialismi realizzati, dei regimi antireligiosi dell’America Latina – primo fra tutti il Messico massacratore di cristiani – ed in ultimo del Governo Unico Mondiale, e che incontrò subito un nemico irriducibile: la Chiesa cattolica. Fin dal 1738, a soli vent’anni dalla sua costituzione, la Massoneria incorse nei fulmini di Roma.

Qui vogliamo ricordare che il merito di questa decisione va ascritto ad un pontefice, Clemente XII, e ad un sovrano scozzese in esilio, Giacomo VIII Stuart, noto come The Old Pretender, padre del protagonista dell’ultima sfortunata epopea scozzese, il Bonnie Prince Charlie. Tra i partigiani inglesi della causa degli Stuart si era infiltrata la Massoneria, e ciò a motivo dell’antichissimo lignaggio di questa nobile casata e il potere regale ad essa legato ( si riteneva che gli Stuart possedessero le prerogative degli antichi re taumaturghi, compreso il tocco di guarigione) che affascinavano gli ambienti iniziatici ed esoterici. Giacomo Stuart, uomo di profondissima fede che aveva scelto Roma come sede del proprio esilio, respinse le seducenti offerte dei circoli massonici, e compresane la pericolosità, segnalò al Papa i progetti e le trame della setta.

L’anziano pontefice, Clemente XII al secolo Lorenzo Corsini, ottuagenario e quasi cieco, ascoltò gli avvertimenti dello Stuart e il 28 aprile 1738 emanò una costituzione con la quale si scomunicavano tutti i membri della Massoneria. I vescovi furono chiamati a vigilare attentamente. Il 14 gennaio 1739 fu pubblicato un nuovo decreto che colpiva duramente la setta. Era l’inizio di un lungo scontro destinato a durare sino ad oggi. Tra i primi a subire le vendette massoniche furono gli Stuart: nessun aiuto venne loro nel tentativo di riconquista della Scozia da parte di possibili alleati, come i sovrani di Spagna o Francia, che tuttavia avrebbero, di lì a non molto, pagato a caro prezzo la connivenza con le nuove idee.

La conquista di Roma e la sconfitta della Chiesa divennero dunque l’ossessiva aspirazione della setta. Per realizzare questo obiettivo, tuttavia, era necessario che l’organizzazione prendesse saldamente piede negli Stati della penisola. Il 20 giugno 1805 venne così costituito il primo Grande Oriente d’Italia.

Il secolo XIX vede in Italia una formicolante attività di società segrete collegate in vario modo ai princìpi massonici. Vi aderivano soprattutto militari, avvocati, notai, giudici, medici, farmacisti, imprenditori: una irrequieta borghesia provinciale con caratteristiche che variavano a seconda della geografia e della filosofia politica: un gradualismo monarchico e moderato nel Meridione, istanze socialmente più avanzate e repubblicanesimo nel Nord. Appartenevano ad organizzazioni chiamate Società degli Adelfi (che in greco significa fratelli) oppure Sublimi Maestri Perfetti fino alla più celebre Carboneria.

Nell’immagina allegorica del carbonaio è evidente la derivazione massonica: col fuoco del carbone si ottiene la purificazione, mediante un’operazione di tipo alchemico attuata in tre fasi: l’opera al nero, l’opera al rosso, l’opera al bianco. Lo scopo dell’organizzazione politico-iniziatica era – secondo i suoi statuti- di “liberare la foresta dai lupi”, ovvero liberare l’umanità dai tiranni, e ciò educando gli uomini alle virtù del perfetto cittadino. In questo ambito spiritualista viene concepita l’idea di “risorgimento”: “Il simbolo iniziatici della “Rinascita” (o “carbonizzazione”) veniva assimilato dalla Carboneria allo schema cristiano della salvezza, il dramma-catarsi del Calvario: passione-morte-risurrezione. Un simbolo che, nel particolare contesto storico, si caricava anche di motivazioni sociali; sì che la rigenerazione morale riguardava non solo l’individuo ma pure l’intero popolo, sino a diventare istanza di cambiamento politico: la rinascita del popolo diveniva il programma del suo risorgere spirituale e politico, ovvero il suo Risorgimento, il nome che poi assunse l’intero evento storico, un nome nato dal patrimonio semantico massonico e carbonaro.”

In una lettera al cardinale Fornari scritta il 19 giugno 1852, il grande filosofo spagnolo Donoso Cortés scriveva che la Rivoluzione è, essenzialmente, un fenomeno teologico. Le rivoluzioni degli ultimi due secoli hanno pienamente confermato questa affermazione: dai giacobini francesi ai comunisti sovietici, transitando per nazionalismi vari fino al nazionalsocialismo, non c’è stata ideologia che non abbia avuto un substrato teologico, una visione impazzita del sacro e del divino.

La caduta delle cosiddette monarchie assolutiste portò alla creazione degli Stati nazionali, i quali – a dispetto dei propositi progressisti e umanitari dei rivoluzionari – erano ancora più accentratori e burocratici dei precedenti, a tutto danno delle comunità locali e dei corpi intermedi, preparando così gli scenari per i colossali scontri di popoli che nel ‘900 avrebbero coinvolto l’intera umanità. L’abbattimento delle autonomie locali e la conseguente cancellazione delle antichissime comunioni agrarie che costituivano la vera base economica delle società tradizionali e fornivano mezzi di sostentamento anche ai meno agiati, chiuse i popoli in una letale tenaglia costituita da una parte dallo statalismo vampirizzatore e dall’altra dall’individualismo che esaltava ed esasperava, nel nome del liberismo, il principio della proprietà individuale, fino a sconvolgere la vita sociale di gran parte dell’Europa.

Un ulteriore contributo al dissolvimento delle antiche strutture civiche venne, nell’800, al processo di forzata e massiccia urbanizzazione che spopolò le campagne e riempì le città di persone ritornate alla condizione servile, come scrive il grande studioso anglo-francese Hilaire Belloc, nel suo saggio Lo Stato servile ( Liberilibri, Macerata 1993): “Definiamo Stato servile l’ordinamento di una società nella quale il numero di famiglie e di individui costretti dalla legge a lavorare a beneficio di altre famiglie e individui è tanto grande da far sì che questo lavoro si imprima sull’intera comunità come un marchio”. Mentre le utopie rivoluzionarie teorizzavano l’abbattimento dei tiranni e la liberazione degli individui dalle catene dell’ignoranza e della superstizione, la realtà fu che gli uomini vennero ridotti ad anonimi fattori di produzione, destinati ad essere materiale umano a basso prezzo sul mercato del lavoro, buono per essere sfruttato senza scrupoli nel quadro della rivoluzione industriale, la quale doveva sostenere i sogni scientisti e prometeici di inebrianti avventure tecnologiche, col risultato di sradicare milioni di persone dalla loro terra, dai loro usi e costumi e dalle loro tradizioni, specialmente religiose, stipandoli in condizioni subumane in degradanti periferie. Quelle che la Chiesa ora giustamente mette al centro della propria azione pastorale, ma di cui farebbe bene anche a rivelare origini e cause.

Anche questo è un modo per ricordare i trecento anni della Setta.

 

Paolo Gulisano

DA:http://www.domus-europa.eu/?p=6998

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Francia: un’epifania della Rivoluzione

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 Il risultato delle elezioni presidenziali francesi induce ad amare e ferme considerazioni.

È una vittoria completa dei “poteri forti”, della finanza internazionale, mondialista, sinarchica, immigrazionista ed europeista. La vittoria consiste soprattutto nel fatto che hanno generato – novelli Frankenstein – dal nulla una sorta di “homunculus”, perfettamente registrato all’uopo, esteticamente, emotivamente, psicologicamente e comportamentalmente impeccabile, e che questa “creatura” ha vinto come un treno in corsa.

Macron è un’epifania rivoluzionaria.

Naturalmente, ha potuto ottenere il suo risultato solo grazie all’immancabile appoggio dei “moderati”, ovvero dei traditori geneticamente programmati della civiltà cristiana e occidentale. Fa impressione il fatto che la sera stessa della sconfitta al primo turno Fillon abbia dato indicazione di votare Macron: tutto era già programmato. Macron stesso, in fondo, è stato tirato fuori dal cilindro proprio perché era chiaro che Fillon non era in grado di creare quella muraglia di resistenza necessaria a “salvare” la Francia dalla “catastrofe” lepenista.

Macron è di “centro”: che vuol dire tutto e non vuol dire niente. Presentandolo come candidato di centro, lo si è reso votabile dai conservatori fino ai comunisti, con la giustificazione dell’antilepenismo, appunto. Ed è quello che è avvenuto.

La verità banalissima e crudele è che gli europei, avendo ancora la pasta e il pane a tavola, e pure la carne, e pure la macchina, e parecchi ancora pure la casa prima e seconda, e i biglietti per le vacanze, preferiscono non pensare, non capire, non rischiare. Preferiscono far finta che tutto sia ancora come nei decenni del dopoguerra. Compresi coloro che sanno come stanno le cose, che le denunciano pure. Ma, al dunque, diventano restii ad operare in maniera profonda per fermare la catastrofe della nostra società e civiltà. Dinanzi alla pancia ancora piena e alla vita ancora relativamente “tranquilla” (tanto, i disoccupati, le donne violentate o gli uomini assassinati dagli immigrati, le vittime del terrorismo, i bambini rieducati al gender, sono sempre “gli altri”), il loro coraggio si annebbia: meglio non apparire “sgraditi” al sistema e mantenere quelle piccole “abbondanze” che ancora abbiamo. Finché durano.

Non stiamo dicendo che Marine Le Pen era il rimedio a tutti i suddetti mali.
Anzi, Marine Le Pen, per molti di questi mali, a partire da quelli gravissimi di ordine morale (omosessualismo, genderismo, eutanasismo, abortismo, ecc.), non era affatto un rimedio, ma un’altra tragedia.
D’altro canto, per l’aspetto invece dell’antieuropeismo, della guerra all’euro e all’immigrazionismo, di un rinnovato sovranismo, si presentava invece come un possibile (il carattere ipotetico rimane obbligatorio, visto anche il cambiamento repentino di un Trump) ostacolo alla corsa dissolutoria dei poteri forti sinarchici e mondialisti.
Comunque, era un simbolo da abbattere.

E la Le Pen è stata duramente sconfitta. Le chiacchiere riduzionistiche stanno a zero. Riprova cogente è che ha già detto che vuole cambiare nome al partito: un modo per scaricare la colpa del fallimento sul padre. Cambierà anche il cognome e il proprio viso, visto che gli somiglia particolarmente?

Il problema non si risolve cambiando il nome dei partiti, il che presuppone poi, inevitabilmente, un progressivo cedimento di valori, fino a divenire pienamente accettati da quel sistema dei poteri forti che si voleva un tempo combattere (lo abbiamo già visto molte volte in Italia).
Il problema è più profondo e risiede nel fatto che – dobbiamo ammetterlo con amarezza ma con chiarezza – oggi pensare di cambiare il corso della storia rivoluzionaria con gli strumenti usuali della Rivoluzione (ovvero all’interno del sistema democratico, a partire dai partiti) è impossibile e questo per tre ragioni inconfutabili:
1) già è difficilissimo creare un partito anti-sistema;
2) ancor più difficile è farlo decollare a livello nazionale, e comunque, ammesso che ci si riesca, questo richiede decenni (lo stesso Front National ha ormai quarant’anni);
3) ammesso anche che ci si riesca seriamente e abbastanza velocemente… arriva Macron.

E se non arriva Macron, arriva la magistratura. E se non arriva la magistratura, arriva qualcos’altro. Lo stesso inopinabile cambiamento di colui che in teoria è l’uomo più potente del mondo (e nella fattispecie odierna pure uno dei più ricchi in assoluto già per conto suo) sta a dimostrarlo chiaramente. Non mi meraviglierei se, piano piano, col tempo, si annacquasse pure la Brexit…

Che fare? Disperazione assoluta? Resa incondizionata? Chi scrive non ha la soluzione, ma cerca solo ora di gettare un po’ di lucidità per tenere ferma la speranza.

Il cattolico legato alla tradizione sa bene che per ogni evento della vita, specie per quelli più importanti e di natura sociale, vi sono sempre due vie di interpretazione e di operazione: la via sovrannaturale e quella naturale.

La via sovrannaturale non dipende da noi, se non in maniera indiretta: occorre pregare e fare tutto quanto possibile perché Dio intervenga al più presto e soccorra i suoi figli e la Chiesa (e l’Europa e l’Italia) dal trionfo delle forze della dissoluzione rivoluzionaria.
Su questo piano, oggi, c’è molta aspettativa in chiave di profezie celesti (alcune – rarissime – vere, altre dubbie, la gran parte del tutto fantasiose): stiamo vivendo proprio il centenario delle apparizioni di Fatima in questi giorni.
Possiamo solo pregare e aspettare, nella speranza che la promessa del 13 luglio 1917 divenga al più presto realtà.

Per quel che concerne la via naturale, credo che sarebbe giunta l’ora di smettere di sognare impossibili riscosse partitiche nel sistema democratico rivoluzionario in cui viviamo (è come rubare a casa dei ladri, o appiccare l’incendio a casa di Satanasso), il che però non esclude affatto, anzi, tutt’altro, l’impegno politico e culturale quotidiano e costante da parte di coloro che vogliono combattere la Rivoluzione gnostica, liberale, ugualitarista e mondialista.
Questo impegno deve invece accrescersi, in quanto con la vittoria di Macron i pericoli disastrosi del gender, dell’omosessualismo, dell’abortismo, dell’eutanasismo, ma anche dell’invasionismo immigrazionista, dello strapotere pauperistico della finanza socialista, andranno ad accrescersi oltremisura.
Insomma, ora saremo sempre più in mano ai Frankenstein dei nostri giorni, che ci vogliono far divenire sempre più bestie da soma sotto il loro controllo, distruggendo ogni nostro valore religioso, morale, etnico, culturale, civile, artistico, ecc. Vogliono “rivoluzionarci” antropologicamente”. L’incubo ora è totale, non più pensabile, ma reale.

Per questo occorre agire, più che mai. Ma occorre farlo in maniera molto ponderata e realistica, con chiara cognizione dei mezzi e dei fini e, ovviamente, in unione di forze. In questo senso, dinanzi alla catastrofe, sarebbe ora – lo ripetiamo per l’ennesima volta – che fossimo tutti capaci di superare le cause di divisione personale, ovvero l’aspetto meno grave (e quindi più colpevole) del nostro essere un’armata Brancaleone.
Le divisioni ideologiche (e teologiche) e politiche non sono facilmente superabili: anzi, temo che col tempo si acuiranno sempre più, in quanto, specie a causa della devastante e sempre più radicale crisi della Chiesa, stiamo ogni giorno diventando di fatto due chiese differenti (ed è inutile, anzi, dannoso, nascondercelo: meglio dircelo…).
Ma quelle di natura squisitamente personale possono essere superate con la carità e l’umiltà, almeno a livello funzionale per la battaglia comune. E in questo vi è più che mai necessità dell’appoggio materiale e concreto delle migliaia di cattolici, legati alla tradizione e al Bene, che si stanno svegliando ogni giorno di più: ricordiamoci sempre che più il demonio si mostra, più la sua bruttezza appare, più la gente ingenua comincia a capire. E a reagire.

La sconfitta di Marine Le Pen ci sia di insegnamento.
La vittoria di Macron ci sia di sprone alla battaglia e all’unità.
Per ottenere questa unità, è necessario averne lo spirito nell’anima e la disponibilità nella volontà: disponibilità a vincere la propria pigrizia o diffidenza e ad appoggiare chi ha la visione lucida delle cose e si impegna; disponibilità a incontrarsi; disponibilità ad aiutare le giuste e buone iniziative; disponibilità a creare struttura di buona battaglia comune.

Non è questa l’ora della disperazione. E nemmeno delle chiacchiere senza fatti. È l’ora dei guerrieri.

 

 

da: https://ilpontelevatoiodimassimoviglione.wordpress.com/

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1517: vera e falsa riforma

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 La vera riforma cattolica e la pseudo-riforma di Lutero

 Nel quinto anniversario della Rivoluzione luterana, rimbombano falsi appelli ad una riforma strutturale della Chiesa.
La storia del XVI secolo ci insegna come i veri riformatori siano i Santi, che non hanno preteso di cambiare la costituzione della Chiesa, ma si sono sforzati di cambiare sé stessi e, col loro esempio, di cambiare gli altri.
Anche oggi la nostra risposta, dunque, non può che consistere nel loro esempio.

Cinquecento anni dopo la pseudo-riforma di Lutero, è necessario ricordare la vera riforma della Chiesa, che nel secolo precedette e seguì la pseudo-riforma dell’eresiarca tedesco.

Sullo sfondo della decadenza intellettuale e morale del XVI secolo, nella Chiesa nacquero gruppi di ardente pietà chiamati Compagnie del Divino Amore. Il movimento si sviluppò a Genova attorno a santa Caterina Adorno de’ Fieschi ed ebbe come iniziatore un laico, Ettore Vernazza. Alla Compagnia del Divino Amore appartenevano il vicentino Gaetano di Thiene e il napoletano Gian Pietro Carafa che fondarono l’ordine dei Teatini, così chiamato perché Carafa, che poi sarà Papa con il nome di Paolo IV, era allora vescovo di Chieti (Theatum). Per combattere la cupidigia, i Teatini abbracciavano la povertà apostolica e si abbandonavano completamente alla Divina Provvidenza. Con essi si inaugura una nuova vita religiosa, quella dei chierici regolari, che praticano i consigli evangelici, professano voti pubblici e conducono vita in comune secondo una regola.

La figura di Ignazio di Loyola si staglia come quella di un gigante sul XVI secolo. Gli Esercizi spirituali sono un libro ispirato, che secondo san Francesco di Sales ha prodotto più santi delle lettere dell’alfabeto in essi contenuti. Mentre Ignazio fondava la Compagnia di Gesù che muoveva contro il protestantesimo alla riconquista dell’Europa, a Roma dominava la figura di san Filippo Neri, un santo molto diverso da sant’Ignazio, ma a lui strettamente legato. A poco a poco si costituì intorno a lui un piccolo gruppo di fedeli, chiamato l’Oratorio.

In Spagna san Giovanni di Dio aveva fondato una congregazione chiamata da noi Fatebenefratelli perché, questuando per i malati, san Giovanni era solito dire per le strade: «Fate bene fratelli, per voi e per l’amor di Dio». Nell’anno in cui san Giovanni di Dio muore, il 1550, nasce in Abruzzo Camillo de Lellis, dapprima soldato e anche avventuriero e giocatore, poi convertitosi nel 1575, e fondatore di un istituto religioso, i Camilliani, in cui ai tre voti ordinari si aggiunge il voto di assistere i malati anche nel tempo della peste. I suoi religiosi portavano sul petto quella croce rossa, che sarebbe divenuta simbolo dei servizi ospedalieri.

In quegli stessi anni sant’Antonio Maria Zaccaria fonda i Barnabiti, discepoli di san Paolo, ai quali viene attribuita la pratica dell’adorazione al Santissimo Sacramento, mentre san Girolamo Emiliani fonda i Somaschi. Il tenore di vita dei nuovi ordini religiosi era molto simile: vita rigorosamente mortificata, rifiuto di ogni mondanità, abbandono alla Provvidenza, zelo per le anime.

Il Concilio di Trento fu al centro di questa grande opera riformatrice. L’assise si svolse per 18 anni, dal 13 dicembre 1545 al 16 dicembre 1563, «a lode e gloria di Dio, ad accrescimento della fede e religione cristiana, a estirpamento delle eresie, alla pace e unione della Chiesa, alla riformazione del clero e del popolo cristiano, a confusione dei nemici del nome cristiano».

Grazie al Concilio di Trento, tra la seconda metà del ‘500 e la prima metà del ‘600 la Chiesa conobbe un’epoca di restaurazione dottrinale e di profondo rinnovamento dei costumi. Due grandi santi vanno ancora ricordati: san Carlo Borromeo e san Pio V. San Carlo Borromeo visse dal 1538 al 1584 e applicò rigorosamente, come arcivescovo di Milano, lo spirito e la lettera dei decreti del Concilio di Trento. La diocesi di Milano era immensa, perché si estendeva oltre la Lombardia, su una parte delle Venezie, della Svizzera, dello Stato genovese. Carlo Borromeo non solo vi risiedette per 18 anni, ma visitò tutte le parrocchie, anche quelle più remote e sperdute, dando l’esempio di una vita di zelo, penitenza e preghiera.

San Pio V, Michele Ghislieri, rappresenta un modello di Papa, per la fermezza e la santità del suo governo. «Elevato alla cattedra di san Pietro, – ricorda Dom Guéranger – seppe infondere nei novatori un terrore salutare, risollevò il coraggio dei sovrani dell’Italia e, con moderato rigore, riuscì a rigettare al di là delle Alpi il flagello che avrebbe trascinato l’Europa alla distruzione del Cristianesimo, se gli Stati del Mezzogiorno non vi avessero opposto una barriera invincibile. L’eresia si arrestò. Da allora il protestantesimo, ridotto a logorar sé stesso, dette spettacolo di quella anarchia di dottrine che avrebbe portato alla desolazione il mondo intero, senza la vigilanza del Pastore che, sostenendo con indomabile zelo i difensori della verità in tutti gli Stati ove essa regnava ancora, si oppose, come una parete di bronzo, al dilagarsi dell’errore nelle contrade ove comandava da padrone. L’opera di san Pio V per la rigenerazione del costume cristiano, per fissare la disciplina del concilio di Trento, per la pubblicazione del Breviario e del Messale sottoposti a riforma, ha fatto del suo pontificato, durato sei anni, una delle epoche maggiormente feconde della storia della Chiesa». Il nome di san Pio V è anche indissolubilmente legato alla straordinaria vittoria di Lepanto contro i Turchi e la sua memoria è per questo a tanti cara.

La storia del XVI secolo ci insegna che i veri riformatori sono i santi, che non hanno attribuito alla Chiesa le colpe degli uomini, ma hanno assunto su sé stessi quelle colpe, a immagine di Nostro Signore. Non hanno preteso di cambiare la costituzione della Chiesa, ma si sono sforzati di cambiare sé stessi e attraverso il proprio esempio di cambiare gli altri. La Chiesa è sempre santa, gli uomini di Chiesa spesso non lo sono.

I falsi riformatori sono coloro che sostengono che la causa del male non sta negli uomini di Chiesa, ma nella Chiesa in sé e che quindi vogliono modificarne il governo, i Sacramenti, l’insegnamento, adattandoli alle opinioni proprie o del mondo. Essi dicono di farlo per ritornare al messaggio evangelico e perciò rifiutano la tradizione della Chiesa e si richiamano alla Sacra Scrittura o meglio alla propria ragione, al proprio sentimento, che interpreta i passi della Sacra Scrittura senza una regula fidei a cui riferirsi.

Nel quinto anniversario della Rivoluzione luterana rimbombano falsi appelli ad una riforma strutturale della Chiesa. La nostra risposta non può che essere l’esempio dei santi, che hanno unito l’integrità morale della loro vita alla fedeltà integrale alla Tradizione della Chiesa, che non è altro che il messaggio di Nostro Signore Gesù Cristo, sempre vivo e sempre attuale, carico di tutte le memorie del passato e di tutte le speranze del futuro.

 

Roberto de Mattei,  RC n.118 – ottobre 2016 da: https://www.radicicristiane.it/2016/10/editoriali/la-vera-riforma-cattolica-e-la-pseudo-riforma-di-lutero/

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