Emilia-Romagna: NO alla fecondazione artificiale!

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 Campagna rivolta solo ai residenti in Emilia Romagna

 1. La Regione Emilia Romagna ha deciso di acquistare da banche del seme gameti femminili e maschili per promuovere la fecondazione eterologa (cfr. http://tinyurl.com/RegioneER)

 2. Il Card. Caffarra ha definito tale decisione "gravissima e aberrante"  (Cfr. http://www.lanuovabq.it/it/articoli-i-bambini-non-si-comprano-scendiamo-in-piazzacaffarra-accusa-la-sua-emilia-aberrante-17638.htm) perchè "Non ci si rende conto che si sta sradicando la genealogia della persona dalla genealogia naturale".

Sua Eminenza ha spiegato anche che "si producono le cose, non i bambini e questa è una produzione di bambini. Ma la logica della produzione deturpa la dignità della persona. Il bambino viene così deturpato nella sua dignità. In secondo luogo il corpo della donna non è una miniera, una cava da cui estrarre ciò che mi serve per compiere i miei desideri, perché un ovocita non è il tessuto della cornea di cui mi servo per dare la vista a un cieco. L’ovocita ha in sé la potenza di dare origine ad una nuova persona, non è una cellula qualsiasi".

3. Si tratta inoltre di denaro di contribuenti che, per gran parte, sono all'oscuro delle terribili intenzioni degli amministratori della nostra Regione.

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I Comitati Difendiamo i Nostri Figli (Family Day – Gandolfini) dell'Emilia Romagna chiedono ai Consiglieri Regionali dell'opposizione all'amministrazione del Partito Democratico di vigilare e di far propria la protesta della gente, a favore della difesa della vita umana, dal concepimento alla morte naturale.

Qui la petizione:
http://www.fattisentire.org/modules.php?name=News&file=article&sid=50

Firmando questa petizione la tua e-mail arriverà a tutti i Consiglieri Regionali, Deputati e Senatori eletti in Emilia Romagna e facenti parte dell'opposizione.
Non firmare se abiti in altre Regioni.

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Come ci hanno fregato sulla fecondazione artificiale

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 Legge 40 sulla procreazione assistita: cosa rimane in vigore?

 La Consulta l’ha stravolta: sì alla fecondazione eterologa e più possibilità di impianto e conservazione degli embrioni. E in alcune Regioni con i soldi di tutti.

 Lo Stato totalitario italiano ha ignorato la volontà popolare, espressa con l'astensione al referendum del 2005 e così commentata dal Cardinal C. Ruini: il mancato raggiungimento del quorum è "frutto della maturità del popolo italiano, che si è rifiutato di pronunciarsi su quesiti tecnici e complessi, che ama la vita e diffida di una scienza che pretenda di manipolare la vita".

 

 

 La legge 40 costituisce l’ultima tappa di un processo che vorrebbe legiferare sul "desiderio" anzichè sulla ragione e alla natura.
 Essa NON riguarda le coppie che desiderano un figlio ma non riescono ad averlo in modo naturale, ma obbedisce invece a una visione del mondo che odia la natura in quanto creata da Dio.

  La procreazione medicalmente assistita (Pma) è regolamentata in Italia dalla legge 40 del 2004 che ha subìto una trentina di modifiche, tra interventi dei governi e della magistratura. Interventi che hanno, in parte, alterato alcuni dei capisaldi della legge originaria.

Com’era la legge 40 sulla procreazione assistita

Al momento della sua approvazione dal Governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, la legge 40 definiva la procreazione assistita come «l’insieme degli artifici medico-chirurgici finalizzati al favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana, qualora non vi siano altri metodi efficaci per rimuovere le cause di sterilità o di infertilità».
Tra i primi problemi posti da questo concetto, dunque, c’è quello di ricorrere al Servizio sanitario nazionale per usufruire della relativa copertura. In pratica, una coppia potrebbe sempre dire che l’infertilità è una malattia come tante altre e, di conseguenza, la sanità pubblica se ne deve fare carico.

Tant’è: la legge afferma, poi, che lo Stato «promuove ricerche sulle cause patologiche, psicologiche, ambientali e sociali dei fenomeni della sterilità e dell’infertilità e favorisce gli interventi necessari per rimuoverle nonché per ridurne l’incidenza».
Attenzione, però: nel rispetto «di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Questione etica non da poco.

Nella sua versione originale, la legge 40 stabiliva che alle tecniche di procreazione assistita potessero accedere «coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi» e vietava espressamente il ricorso a tecniche di fecondazione eterologa, così come l’eugenetica.
Che cos’è l’eugenetica?
Già suona male il termine, figuriamoci il significato: non è altro che la tecnica volta alla selezione della razza, tecnica che spesso prevede l'eliminazione delle persone "con difetti" o "imperfette".
Una tecnica subdolamente presentata come volta al miglioramento della specie umana, gia nell'Unione socialista sovietica e nella Germania nazional-socialista.
Qualcuno potrebbe pensare che, da certi punti di vista, non guasterebbe, soprattutto se servisse ad evitare ogni impulso criminale. Ma nel caso specifico della procreazione assistita non è permesso.

Scorrendo ancora la legge del 2004, si può vedere che veniva vietata la crioconservazione degli embrioni, cioè di mettere gli embrioni in freezer per ridurre il loro soprannumero.
La tecnica era, però, consentita per temporanea e documentata causa di forza maggiore, non prevedibile al momento della fecondazione.

Legge 40: l’intervento della Consulta

La Corte Costituzionale è intervenuta più volte a proposito della legge 40 sulla procreazione assistita. E non proprio per rispettare la legge naturale nè i risultati del Referendum che ne impedì una versione più selvaggia.
Già nel 2009 [1], cioè 5 anni dopo l’approvazione della legge, la Consulta ha dichiarato parzialmente illegittimi gli articoli che prevedevano:

  • il limite di produzione di tre embrioni;
  • l’obbligo di un unico e contemporaneo impianto;
  • l’articolo relativo alla crioconservazione degli embrioni nella parte in cui non viene contemplato che il trasferimento di tali embrioni nell’utero della futura mamma «da realizzare non appena possibile» venga effettuato senza pregiudizio per la salute della donna.

La Consulta, in questa sentenza, accoglieva anche il pronunciamento del Tar del Lazio [2] con cui veniva dichiarato illegittimo il divieto di diagnosi preimpianto previsto nel 2004 dal decreto del Governo, a meno che quella diagnosi non avesse finalità eugenetiche.
E' stata così introdotta la possibilità di "selezione della specie".

La Corte si è espressa anche nel 2014, a seguito del ricorso incidentale presentato dai tribunali di Milano, Catania e Firenze, dichiarando illegittima la parte della legge 40 sulla procreazione assistita in cui si vieta il ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi in casi di infertilità assoluta.
Secondo i giudici, questo divieto si scontra con gli articoli 2, 3, 29, 31, 32, e 117 della Costituzione e con gli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Scavalcando il comune sentire del popolo italiano si è così introdotta la fecondazione eterologa.

Non è finita. Nel 2015, dopo un ricorso incidentale del Tribunale di Napoli, la Consulta hanno dichiarato illegittimo l’articolo che sanzionava penalmente la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani o portatori sani di malattie genetiche.
Secondo i giudici, questo concetto rappresenta una violazione del principio di ragionevolezza nonché del diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Secondo noi questa decisione è eugenetica pura.
Resta in vigore solo la parte della norma che vieta la soppressione degli embrioni malati e non inutilizzabili, in quanto non possono essere trattati come un mero materiale biologico.

Procreazione assistita: il decreto Lorenzin

Sempre nel 2015, l’allora ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, firma un decreto sulla procreazione assistita [3] che formalizza la visione eugenetica e socialista, introducendo:

  • l’accesso alle tecniche di fecondazione eterologa;
  • la valutazione clinica, il più attenta possibile, del rapporto rischi-benefici;
  • l’accesso alle tecniche alle coppie cosiddette sierodiscordanti; in pratica a quelle coppie in cui uno dei due sia portatore di una malattia virale sessualmente trasmissibile, come l’epatite B o C oppure l’Hiv. La novità risiede nel fatto che prima l’accesso era previsto soltanto per l’uomo e non per la donna;
  • le indicazioni dettagliate nella cartella clinica circa i trattamenti eseguiti e le motivazioni in base alle quali si decide sia il numero di embrioni da generare sia quello degli embrioni eventualmente non trasferiti ma da conservare.

La fecondazione assistita eterologa

La fecondazione eterologa, dunque, è ammessa in Italia dal 2014, grazie alla sentenza della Corte Costituzionale, riportata anche dal decreto Lorenzin del 2015.
Fortunatamente, non mancano i problemi per le coppie che vogliono servirsi di questa pratica per avere un figlio, dal momento che la sanità pubblica è materia delle Regioni e che sono proprio questi enti a decidere l’orientamento da seguire in materia.
In Italia, sono solo tre gli ospedali pubblici a cui ci si può rivolgere: in Toscana al Careggi di Firenze, in Friuli Venezia Giulia al Santa Maria degli Angeli di Pordenone ed in Emilia Romagna al Sant’Orsola di Bologna.
Tutte e tre le Regioni sono a guida Partito Democratico: Emilia-Romagna e Toscana sono regioni storicamente egemonizzate dalla cultura socialista.

Nelle altre regioni, per il momento, si deve pagare la fecondazione eterologa di tasca propria, sborsando dai 2.000 ai 10.000 euro, a seconda dei tentativi.
Viene in mente una piccola curiosità: i nostri anziani, una volta, nel loro gergo, non parlavano di “concepire” un figlio ma di “comprare” un figlio.
Siamo lì.

Come avviene la procreazione assistita

Per completezza, riportiamo le tecniche di procreazione assistita.
Esistono tre livelli. Il primo riguarda l’inseminazione semplice. Avviene nel corpo della donna dopo una stimolazione ovarica ed il potenziamento degli spermatozoi.

Le tecniche di secondo e terzo livello consistono in una fecondazione esterna al corpo della donna, cioè in vitro. Una volta fecondato l’ovulo, l’embrione (precedentemente congelato o non congelato) viene reimpiantato nell’utero.

Quelle di terzo livello prevedono un intervento endoscopico grazie al quale si inietta o un singolo spermatozoo oppure migliaia di spermatozoi per favorire la fecondazione.

Carlos Arija Garcia

da: http://www.laleggepertutti.it/142478_legge-40-sulla-procreazione-assistita-cosa-rimane-in-vigore (con modifiche sui giudizi)

NOTE

[1] Corte Cost., sent. n. 151/2009.

[2] Tar Lazio, sent. n. 398/2008.

[3] D.M. del 1 luglio 2015.

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L’Unicef a favore dell’eutanasia infantile?

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 Canada. L’Unicef chiede al Parlamento di estendere l’eutanasia ai bambini

L’organo ufficiale dell’Onu deputato a «tutelare i bambini» e a garantirne il «diritto a sopravvivere» ha proposto ufficialmente che il diritto di morire venga «esteso ai minori maturi» come i 16enni depressi.

L’Unicef invoca l’eutanasia per i bambini. L’organo ufficiale dell’Onu deputato a «tutelare i bambini» fa aperta campagna per la loro uccisione in Canada. Non si tratta di una voce di corridoio o dell’indiscrezione di qualche gola profonda, ma delle parole pronunciate a Ottawa davanti al Parlamento da Marvin Bernstein, avvocato filantropo e Chief Policy Advisor di Unicef Canada.

«EUTANASIA PER I MINORI MATURI». «L’aiuto medico a morire è stato previsto per gli adulti competenti. Sorge spontanea la domanda: perché non per gli altri gruppi di persone come i minori maturi?», ha dichiarato il 12 maggio Bernstein davanti alla commissione Affari legali e costituzionali del Senato canadese. «Questa domanda richiede una risposta e noi come Unicef Canada certamente sosteniamo l’estensione di questo diritto».

LA CORTE SUPREMA. La legge sull’eutanasia verrà votata dal Parlamento il 6 giugno dopo che l’anno scorso, a febbraio, la Corte suprema del paese ha dichiarato incostituzionale la proibizione del suicidio assistito e dell’eutanasia contenuta nel Codice penale. Per questo ha dato un anno di tempo alla politica per approvare una legge specifica. Il testo che dovrebbe essere votato permette a tutti gli adulti che soffrono in modo insopportabile per cause fisiche o mentali di richiedere la morte. Non è necessario essere affetti da malattie terminali.

PERCORSO A TAPPE IPOCRITA. Secondo Unicef, l’eutanasia minorile, già approvata in Belgio, dovrebbe diventare legge secondo un preciso «percorso a tappe». Prima l’eutanasia per tutti gli adulti competenti, poi, dopo «tre anni di studi sui possibili effetti della legge sui minori» e su come evitare «manipolazioni» garantendo «precise tutele», dovrebbe essere estesa «non a tutti i bambini, ma solo ai minori maturi». La proposta è di rara ipocrisia: specificare che solo i minori maturi, e non tutti i bambini, dovrebbero avere accesso alla “buona morte” non ha senso, non esistendo un criterio oggettivo per stabilire la presunta maturità. Perché poi un bambino dovrebbe essere maturo per chiedere allo Stato di ucciderlo e non per guidare o votare? Allo stesso modo, studiare i «possibili effetti» della legge sui bambini è un controsenso: quali effetti più gravi della morte del bambino stesso può causare la legge? Per quanto riguarda manipolazioni e tutele il discorso è altrettanto insensato, visto che è proprio l’introduzione della legge a manipolare, ventilando l’idea che il suicidio è una soluzione accettabile davanti alla sofferenza.

ANCHE I 16ENNI DEPRESSI. Bernstein non si pone questi problemi ma sottolinea che l’eutanasia minorile è «coerente con la Convenzione sui diritti dell’infanzia». Per Unicef, spiega il responsabile, i bambini devono poter essere uccisi anche in assenza di una malattia terminale e anche per motivi psicologici. Alla domanda di un senatore, se «un 16enne depresso» dovrebbe poter essere ucciso in base alla legge, Bernstein ha risposto candidamente: «Sì».

KILL THE CHILDREN. La svolta è importante per un’organizzazione che ha come scopo quello di «contribuire al miglioramento delle condizioni di vita dei bambini» e che sviluppa i suoi programmi in tutto il mondo per «salvaguardare il diritto umano più fondamentale di tutti: il diritto di un bambino a sopravvivere». Come si concilia questa missione con la richiesta di estendere l’eutanasia ai più piccoli? L’Unicef non è l’unica organizzazione che si batte per i diritti dei bambini a richiedere la loro uccisione. Già nel 2014 Save the Children, insieme ad altre sigle riunite sotto il nome “Together”, aveva chiesto alla Scozia di estendere il suicidio assistito anche ai minori perché «le malattie terminali non discriminano le persone in base alla loro età, di conseguenza anche la sanità non dovrebbe farlo». Anche per Unicef i «minori maturi» non devono essere discriminati. Al massimo uccisi.

 
 

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Pillola omicidia: lecita l’obiezione di coscienza

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 La battaglia per il diritto all’obiezione di coscienza dei farmacisti fa segnare un importante novità con la sentenza emessa dal Tribunale di Gorizia. In attesa delle motivazioni, che arriveranno entro 90 giorni, i magistrati friulani hanno assolto una dottoressa triestina, E. M., assistita dagli avvocati Simone Pillon e Marzio Calacione con l’ausilio dei consulenti tecnici prof. Bruno Mozzanega e dott. Renzo Puccetti.

La farmacista era imputata del reato di omissione o rifiuto di atti di ufficio perché, in qualità di collaboratrice presso la farmacia comunale, e quindi incaricata di pubblico servizio, nel 2012, durante un turno notturno si era rifiutata di consegnare il Norlevo, la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, perché abortiva, nonostante l’esibizione di ricetta medica rilasciata con espressa indicazione di assumere il farmaco nella stessa giornata, appellandosi all’obiezione di coscienza e indicando la farmacia più vicina in cui l’avrebbe potuta acquistare.

Il Pubblico Ministero aveva chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche e la condanna a 4 di reclusione coi benefici di legge.

“Dopo tre anni di procedimento penale – spiegano i difensori – con tutto quello che ciò può comportare in termini personali, familiari e professionali, la nostra assistita ha visto riconosciute le sue sacrosante ragioni, conformemente a quanto previsto dall’art. 3 del codice deontologico dei farmacisti che recita: “Il farmacista deve operare in piena autonomia e coscienza professionale conformemente ai principi etici e tenendo sempre presenti i diritti del malato e il rispetto per la vita”.
In attesa di leggere le motivazioni si condivide sin d’ora questa decisione giudiziale saggia ed equilibrata che si pone come primo precedente giurisprudenziale in materia e ci si augura che processi penali simili non debbano più ripetersi e che i diritti costituzionalmente garantiti alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione di tutti gli esseri umani non siano più abbandonati al coraggio del singolo ma trovino pieno riconoscimento in un’apposita legge che prenda atto del pluralismo etico e della preminenza del diritto alla vita e alla libertà”.

Piero Uroda e Giorgio Falcon, rispettivamente presidente e vice dell’Unione cattolica farmacisti italiani, non nascondono la loro soddisfazione per un “risultato storico” e parlano apertamente di “ingiusta persecuzione per un comportamento erroneamente considerato ideologico”.
Le novità contenute in questa sentenza – affermano – non potranno essere disconosciute per il loro valore dirompente.
Per la prima volta viene riconosciuto a un farmacista la piena autonomia nel proprio ambito professionale fondata sul suo bagaglio culturale e morale.
Ci aspettiamo una piena consapevolezza e un costruttivo confronto all’interno della Fofi (la Federazione degli ordini dei farmacisti, ndr) alla luce delle nuove indicazioni giuridiche”.

Rifiutare di vendere farmaci abortivi non è un reato ma un diritto che rientra nell’obiezione di coscienza.
Siamo quindi molto contenti della decisione del Tribunale di Gorizia – ha commentato il presidente del Comitato promotore del Family day, Massimo Gandolfini – Ringrazio in particolar modo l’amico avv. Simone Pillon, membro del direttorio del Family day, e i colleghi e amici prof. Bruno Mozzanega e dott. Renzo Puccetti che col loro lavoro hanno contribuito ad ottenere questo straordinario risultato che segna una svolta nella giurisprudenza italiana.
Finalmente – continua Gandolfini – dopo anni di silenzi e di censure, è apparso chiaro a tutti che nessun professionista può essere costretto ad andare contro la propria coscienza con la minaccia della galera.
La caccia ideologica agli obiettori non trova nessuna giustificazione, anche perché i dati, diffusi pochi giorni fa dal Ministero della Salute, mostrano la facilità di accesso all’acquisto di pillole abortive, consentito anche senza ricetta, che è infatti aumentato di circa il 400% dal 2012 a oggi”.

“E’ stato un onore difendere una donna tanto umile quanto determinata – conclude Pillon – Ora ci aspettiamo che il parlamento approvi nel più breve tempo possibile una norma che tuteli la libertà di coscienza, anche perché non possiamo lasciare al coraggio dei singoli, per quanto grande, il presidio dei più elementari principi etici e il rispetto della vita”.

Da: http://www.interris.it/2016/12/20/109212/cronache/italia/rifiuto-la-pillola-del-giorno-dopo-assolta-farmacista-triestina.html

 

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Cei e marcia radicale: un abbraccio che viene da lontano

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  Mentre l'attenzione dei cattolici italiani veniva deviata sull'assurda diatriba "se Dio punisca o no", si è svolta a Roma un incredibile "marcia": per la prima volta nella storia, una Conferenza Episcopale ha dato il suo appoggio ad un evento promosso dalla lobby che più di ogni altra ha attaccato la famiglia, la vita nascente, la fecondazione artificiale, la droga: il Partito Radicale.

 

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In psicologia la resilienza indica la capacità d’affrontare, contro tutto e contro tutti, le avversità in cui si sia immersi.

A modo suo, il «Gruppo di San Gallo», spiazzato dall’elezione di Benedetto XVI, fu dunque resiliente, seppe cioè far buon viso a cattiva sorte e lavorare in vista di tempi migliori, tempi che effettivamente per quel sodalizio giunsero col Pontificato Bergoglio, cui tanto si dedicò, preparandone il terreno.

La stessa cosa sta avvenendo con l’adesione sì-no-forse della Cei alla IV «Marcia per l’amnistia, la giustizia, la libertà», promossa per questa domenica dal Partito Radicale, non a caso intitolandola a Marco Pannella ed a papa Francesco, non a caso proprio in concomitanza col Giubileo dei Carcerati. Tale adesione è lampante nelle dichiarazioni attribuite lo scorso 19 ottobre da Radio Radicale al Sottosegretario e portavoce della Cei, don Ivan Maffeis; è più sfumata, invece, e ridotta ad una semplice “condivisione d’intenti” in una sua precisazione successiva. Non è dato sapere se davvero si sia trattato di un semplice equivoco con una parziale, ma intempestiva rettifica, o se viceversa la ridda di proteste subito levatesi dal mondo cattolico abbia suggerito una rapida marcia indietro.

Comunque sia, tale sostegno, che ha giustamente scandalizzato molti, in realtà non dovrebbe stupire. Come già fece il «Gruppo di San Gallo», operante a lungo dietro le quinte, anche in questo caso è evidente un lavoro di silente e meticolosa preparazione durato non anni, bensì decenni e manifestatosi in modo esplicito solo una volta conquistate posizioni di vertice ed una volta raggiunte consolidate probabilità di successo.

Così non stupisce che, alla notizia della morte del leader radicale, L’Osservatore Romano lo abbia ricordato come «protagonista tra i più noti della vita politica italiana, portando avanti battaglie appassionate contro la pena di morte, contro la fame nel mondo e per il miglioramento delle condizioni dei carcerati», senza cenni espliciti ad aborto, divorzio e dintorni; non stupisce, perché già nel 2010 lo stesso direttore del quotidiano della Santa Sede, Giovanni Maria Vian, incoraggiò l’avvio di un dialogo con Pannella ed Emma Bonino.

Non è uscita dal cilindro l’idea d’individuare nella situazione carceraria l’humus del compromesso radical-ecclesiale, poiché già ripetuti e chiari furono in passato i segnali in tal senso. Nell’aprile 2012 i Vescovi della Basilicata, all’unanimità, aderirono alla Marcia organizzata dai Radicali a Roma, schierandosi a favore dello svuotamento delle carceri. Marcia, cui annunciarono la propria partecipazione anche don Andrea Gallo, don Antonio Mazzi, don Luigi Ciotti, 20 cappellani delle carceri ed un’ampia rappresentanza del volontariato cattolico.

Solo sei mesi dopo, il 23 ottobre, dai microfoni di Radio Radicale, l’allora direttore dell’Ufficio Comunicazione della Cei, mons. Domenico Pompili, annunciò di condividere la battaglia per l’amnistia promossa dai Radicali e di aderirvi anche a nome della Cei. Mons. Pompili ha fatto carriera: l’anno scorso papa Francesco lo ha nominato Vescovo di Rieti.

Sempre secondo Radio Radicale, lo stesso Pontefice, quando due anni fa chiamò Pannella al telefono, gli avrebbe assicurato sostegno «contro questa ingiustizia» ovvero contro le condizioni detentive nelle carceri italiane.

Così anche le frequenti visite, compiute da mons. Vincenzo Paglia al capezzale di Pannella, non furono né sorprendenti, né casuali: Il Fatto Quotidiano dello scorso 20 maggio ha anzi specificato come mons. Paglia – peraltro da poco nominato da papa Francesco Gran Cancelliere dell’Istituto Giovanni Paolo II e presidente della Pontificia Accademia per la Vita – conoscesse e frequentasse il leader radicale «dai primi anni Novanta» e lo definisse, con ammirazione, uno che «ha speso la vita negli ideali in cui ha creduto». L’elenco potrebbe continuare: tutti gesti, segni e parole assolutamente convergenti e certo frutto non del caso, vogliono anzi dire qualcosa.

Quel che è certo è che da tempo qualcuno premeva e qualcun altro pazientemente tesseva le trame, per giungere a “reclutare” la Cei nella marcia radicale di questa domenica, col pieno avallo del Segretario generale della Conferenza episcopale, mons. Nunzio Galantino. La giornalista Costanza Miriano ha parlato di «un gesto fatto non in un momento d’entusiasmo», bensì di «una scelta ragionata». Più che ragionata, è stata proprio meditata. E’ diverso.

E’ in quest’ottica che si comprende come mai improvvisamente le posizioni dei Radicali su divorzio, aborto, eutanasia, eugenetica, fecondazione assistita, “nozze” gay, legalizzazione delle droghe con relative «sale da iniezione» siano state messe in secondo piano, bypassate in questo convinto plauso accordato dalla Cei alla marcia “Pannella-Bergoglio”, senza nemmeno più citarle, benché mai rinnegate dall’impenitente partito, neppure sfiorato dall’eventualità d’aver sostenuto con esse posizioni frontalmente contrarie al diritto naturale ed ai principi non negoziabili.

Non son trascorsi molti anni da quel 2011, in cui i Radicali invocarono a gran voce l’imposizione dell’Ici alla Chiesa per tutte le sue attività “commerciali” (o presunte tali), in singolare sincronia con l’identica richiesta mossa da Gustavo Raffi, all’epoca Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia.

Non son trascorsi molti anni da quel 2012, in cui i Radicali invocarono a gran voce la prostituzione tassata, il testamento biologico, nonché l’abolizione dell’otto per mille alla Chiesa Cattolica, con tanto di «presidio anticoncordatario» davanti all’ambasciata italiana presso la Santa Sede, al grido di «Abrogare il Concordato, denunciare il Trattato».

E come dimenticare lo sconcertante spot pro-eutanasia, promosso da una delle più importanti sigle della galassia radicale, l’associazione Luca Coscioni, con l’allucinante slogan «A.A.A. Cerchiamo malati terminali per ruolo da protagonista. Anche prima esperienza».

Ma di tutto questo non v’è traccia nell’acritico sostegno accordato dalla Cei alla marcia pannelliana. Un sostegno, che viene da lontano

(M. F. per http://www.corrispondenzaromana.it/notizie-brevi/cei-e-marcia-radicale-un-abbraccio-che-viene-da-lontano/).

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Attacco all’obiezione di coscienza

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 L’attacco all’obiezione, e il silenzio sulla fecondazione artificiale che uccide

 

A Catania una madre muore, dopo aver dato alla luce due gemelli di 5 mesi senza vita.
La stampa di regime si scatena, perchè bisogna identificare un colpevole: il medico obiettore!
Cioè, un medico che si rifiuta di praticare aborti, diventa colpevole per la morte di una donna e per due aborti spontanei.
Chi si rifiuta di praticare omicidi, deve essere accusato di omicidio!

Quale menzogna più grande? E perchè? Per coprire la verità.
La povera mamma aveva praticato, lo si dice en passant, come se non significasse nulla, la fecondazione artificiale (Fiv).
Questo cosa significa? Lo dicono tutti gli studi: la fecondazione artificiale determina complicanze per la madre, sottoposta a trattamenti invasivi che possono essere persino letali.

E i bambini? Con la Fiv hanno un più alto tasso di morbilità, di precocità e di mortalità perinatale e neonatale.

Ciò significa che la morte di questa mamma e dei suoi due bambini ha, molto probabilmente, una causa ben precisa: le pratiche di Fiv. Ma questo non si può e non si deve dire! Occorre alzare una cortina fumogena e accusare un povero medico che non c’entra nulla, ma ha una colpa: non pratica aborti!

 

-Qui l’articolo del Corriere, che ristabilisce, parzialmente, la verità:

Parla di «una falsità madornale« il professore Paolo Scollo, presidente della società italiana di ginecologia e primario del reparto del Cannizzaro dove è morta Valeria Milluzzo con i due gemellini di cinque mesi.
Contesta la ricostruzione dei parenti: «È falso che un dottore del reparto si sia rifiutato di fare partorire la signora perché obiettore di coscienza. È accaduto esattamente il contrario. Il primo feto è stato espulso spontaneamente. Per il secondo, aggravandosi lo stato della paziente, il dottore ha indotto la manovra di espulsione».

Ma è vero che il dottore è un obiettore di coscienza?

«È vero che nel mio reparto siamo tutti obiettori di coscienza. Questo riguarda però le richieste di aborto, non il lavoro di tutti i giorni sulle pazienti…»

Il marito e l’avvocato Salvatore Catania Milluzzo sostengono che il medico obiettore di coscienza avrebbe assunto per ore questa posizione: non intervengo, non faccio espellere il feto perché batte il cuore, perché è vivo…

“È questa la madornale falsità: il medico è intervenuto e ha indotto la seconda espulsione di un feto che nel frattempo era morto».

Sarebbe cambiato qualcosa se fosse stato presente un medico non obiettore di coscienza?

«Assolutamente no. Siamo parlando di feti di 19 settimane. Esserini debolissimi. Un parto in questi casi è considerato un aborto. La nostra Carta di Firenze sostituita dalla Carta di Roma indica come limite di vita le 22 settimane. Significa che le percentuali di sopravvivenza, senza parlare della qualità, sono al di sotto dell’uno per cento. In sintesi: la signora non è morta per l’obiezione di coscienza».

Per che cosa è morta la paziente?

«Per la sepsi, per una coagulazione travasale disseminata, per una complicanza dell’infezione».

Dovuta a quale causa?

«Questo non lo sappiamo».

L’autopsia lo dirà?

«Si potrà capire dai dati biochimici dell’autopsia. È quello che dovranno esaminare i periti del tribunale, se riusciranno a scoprirlo».

È rigida la posizione della famiglia su una responsabilità interna al reparto?

«Mi sembra più la posizione dell’avvocato che della famiglia. Poi, dopo il dolore estremo dei familiari che va rispettato e compreso, si va sempre alla caccia di un colpevole. E nella non conoscenza dei dati obiettivi è comprensibile che si possa dire di tutto. Anche cose non vere, come capita all’avvocato che sta andando su tutte le tv».

da: Libertà e persona del 24/10/2016 – http://www.libertaepersona.org/wordpress/2016/10/lattacco-allobiezione-e-il-silenzio-sulla-fecondazione-artificiale-che-uccide/

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La cultura pro-life produce i suoi frutti

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Gli abortisti sono in difficoltà, tanto che Roberto Saviano si è sentito in dovere di intervenire sui social network e le sue affermazioni sono state riprese il 4 ottobre scorso dall’Agenzia Adnkronos: «L’obiezione di coscienza», ha scritto, «imposta ai ginecologi più che liberamente scelta, in un Paese dove i padiglioni degli ospedali pubblici e laici sono intitolati a santi, è una piaga che rende la 194 la più tradita delle leggi».

Le preoccupazioni dei pro dead si incrementano di anno in anno nell’osservare che il numero degli obiettori di coscienza cresce, così come crescono le associazioni e i movimenti pro life. Lo scorso 23 settembre la camera bassa del parlamento della Polonia ha votato a favore di un disegno di legge che, se definitivamente approvato, vieterebbe praticamente ogni forma di aborto, in un Paese dove la pratica dell’interruzione di gravidanza è già ristretta a pochissimi casi. Alcuni giorni fa 267 deputati su 460 hanno votato a favore della proposta, che ora dovrà affrontare altri due passaggi parlamentari. Le femministe polacche e del mondo occidentale si sono allarmate e il 3 ottobre quelle della Polonia sono scese in piazza, vestite a lutto (il lutto per timore di non poter più abortire, invece di indossare il nero per i bambini uccisi), aderendo al movimento Czarny Protest, ossia «proteste in nero».

Il disegno di legge in discussione è l’iniziativa di un Paese profondamente cattolico, che è riuscito a mantenersi tale sia sotto il regime nazista, sia sotto quello sovietico e che oggi fa sentire la propria voce anche sotto la dittatura relativista e laicista. Esso è sorto proprio grazie all’alleanza di diversi gruppi religiosi cattolici, appoggiata anche dalla Conferenza episcopale polacca, così facendo si è riusciti a raccogliere 100 mila firme per presentare al Governo una proposta di legge di iniziativa popolare.

Anche in Italia ci sono segnali molto interessanti dal punto di vista delle obiezioni di coscienza, tanto che ancora Saviano allerta: «Questo tema, a noi italiani, dovrebbe essere caro, perché, nonostante l’aborto sia legale, le difficoltà che le donne italiane trovano oggi ad abortire sono immense» e per sostenere l’aborto è costretto a ricorrere alla vetusta propaganda radicale degli aborti clandestini.

Sette ginecologi su dieci in Italia sono obiettori di coscienza, scegliendo di non praticare il volontario omicidio sull’infante nel grembo materno. Spesso, riportano i media, non sono stati formati per effettuare aborti. Un dato in aumento, come segnalano le percentuali 2015 del Ministero della salute riferite al periodo 2013-2014. Dal 2005 al 2013 gli obiettori sono passati dal 59% al 70%. Cifre che allarmano non poco la politica abortista.

La cultura della vita contro la cultura della morte produce i suoi frutti. «Lo scandalo supremo della nostra epoca», come lo definì Giuliano Ferrara, sta diventando un problema per tanti medici. Dopo la Polonia, siamo il Paese dove è più diffusa la convinzione che l’aborto non dovrebbe essere legale se non quando è in pericolo la vita della madre.

Nella relazione del Ministero della salute sull’attuazione della 194/78 del 26 ottobre 2015 si rileva che nel 2013 sono presenti elevati numeri di obiezione di coscienza, specie tra i ginecologi, 70.0%, cioè più di due su tre). A livello nazionale si è passati dal 58.7% del 2005, al 69.2% del 2006, al 70.5% del 2007, al 71.5% del 2008, al 70.7% nel 2009, al 69.3% nel 2010 e 2011, al 69.6% nel 2012 e al 70.0% nel 2013. Fra gli anestesisti la situazione è più stabile con una variazione da 45.7% nel 2005 a 50.8% nel 2010, 47.5% nel 2011 e 2012 e 49.3% nel 2013. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38.6% nel 2005 al 46.5% nel 2013.

Si osservano notevoli variazioni tra regioni. Percentuali superiori all’80% tra i ginecologi sono presenti in 8 regioni, principalmente al Sud: 93.3% in Molise, 92.9% nella provincia di Bolzano, 90.2% in Basilicata, 87.6% in Sicilia, 86.1% in Puglia, 81.8% in Campania, 80.7% nel Lazio e in Abruzzo. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al Sud (con un massimo di 79.2% in Sicilia, 77.2% in Calabria, 76.7% in Molise e 71.6% nel Lazio). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo di 89.9% in Molise e 85.2% in Sicilia.

Tuttavia secondo la Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194 (Laiga), gli obiettori sembrerebbero essere molti di più. Si alzano così le accuse della Cgil e del Comitato europeo a “difesa” delle donne che hanno intenzione di abortire, in quanto sarebbero costrette a rivolgersi a strutture estere: non certo al Portogallo, dove gli obiettori sono l’80% e non in Austria, dove diverse sono le regioni austriache prive di assistenza sanitaria abortiva.

L’Agenzia La Presse il 28 settembre scorso ha scritto: «Nella giornata sull’aborto sicuro le donne scoprono che le pillole contraccettive non sono più gratuite. Mentre la Legge 194, a causa dell’aumento dei medici obiettori di coscienza, in Italia resta sempre più sulla carta». Proprio per questo l’Onu ha riconosciuto il 28 settembre come la Giornata dell’aborto sicuro. Leggiamo ancora sulla notizia battuta dalla risentita La Presse per gli accadimenti italiani: «Molti obiettori di coscienza (…) arrivano a ostacolare e discriminare i colleghi che invece l’aborto lo praticano (…) Come il medico a cui i colleghi obiettori si rifiutavano di lavare i ferri con cui operava, costringendolo a lavarseli da solo. Come le portantine di un ospedale pugliese che si sono rifiutate di spostare le barelle con le pazienti in attesa di aborto». Normale e giusta, quindi, che sia arrivata la «bacchettata» dall’Unione Europea, che si sdegna di fronte alla Polonia o all’Irlanda, dove abortire è affare assai arduo.

E ancora La Presse si scandalizza che «anche le ultime pillole anticoncezionali a carico del servizio nazionale siano diventate a pagamento». Mario Puiatti, presidente dell’Associazione italiana per l’educazione demografica ha affermato: «Queste pillole erano preziose per le ragazze più giovani o per le donne straniere per cui anche pochi euro possono fare la differenza, escludendole si rischia di danneggiare una fascia debole di utenza». Esiste, dunque, un’Associazione per l’educazione demografica e, logicamente, questa “educazione” va contro sia al concetto di famiglia secondo i disegni del Creatore, sia a quello realista di sana e saggia continenza cristiana o di castità.

Non è semplice diffondere la cultura della vita, anche a fronte di una Chiesa che non si erge con sufficiente chiarezza e determinazione sui principi e sui valori cristiani contro gli errori e i peccati mortali del nostro tempo. Ha dichiarato Ferrara in un’intervista rilasciata il 2 settembre 2015 a Paolo Rodari de La Repubblica: «Una legittimazione delle battaglie pro-life, per me opportuna, non viene dalla chiesa di Papa Francesco. Devo però dire, a onor del vero, che in merito anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno agito con una certa sofferenza e titubanza, anche se la loro predicazione andava nella direzione di una difesa esplicita e culturalmente rilevante della vita».

Tuttavia oggi è maggiormente possibile l’impegno rispetto al 1978, quando arrivò la ghigliottina della 194, all’epoca non esisteva la circolazione delle idee su Internet e in Italia le testate giornalistiche amplificavano le voci di Marco Pannella e di Emma Bonino, che dai microfoni di Radio Radicale, dalla fine del 1975, iniziarono la loro propaganda letale per gli innocenti. Come oggi è più agevole battersi per le verità di fede, rispetto agli anni del Concilio Vaticano II, così oggi c’è maggior spazio per contrastare la 194. Onore al merito per coloro che durante la rivoluzione sessantottina e la rivoluzione pastorale hanno dimostrato la loro fedeltà, e sfruttiamo noi quella lealtà e quella dedizione, nonché le potenzialità dell’età contemporanea.

Le diverse persone che hanno dedicato e dedicano la loro vita all’esistenza di chi non ha il diritto di nascere per volontà altrui, le straordinarie opportunità offerte da Internet, gli eventi nazionali ed internazionali come La Marcia per la Vita, le riviste come I quaderni di San Raffaele, le gocce evangeliche che scavano la pietra… creano disturbo alla 194 e alla sua applicazione. Se si continuerà a non rassegnarsi, ad implorare l’intervento divino, a tenere ben stretti i nomi dei Santi in tutela dei nostri ospedali, a dire pazientemente e con perseveranza la verità sul quel che accade nei laboratori della morte, a spiegare scientificamente che cosa significa “interruzione di gravidanza”, con scritti e conferenze, allora gli obiettori di coscienza cresceranno ancor più… e un giorno, con l’intercessione di Maria Santissima, quell’iniqua legge sparirà.

(Cristina Siccardi, per Corrispondenza Romana del 5 ottobre 2016)

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Regione Emilia-Romagna: l’aborto è ”dogma”

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 UN PARTITO DELL’OPPOSIZIONE REAGISCE

 Il 27 settembre 2016 la Regione ER ha bocciato senza neppure discuterlo un progetto di legge inteso a ridefinire il ruolo dei Consultori, mentre due assessori hanno speso un’intera giornata a lavorare per l’Unione donne comuniste (Udi).

Aborto: calano i medici obiettori in controtendenza rispetto al resto d’Italia. L’Udi: “Nel 2016 si è recuperata la situazione di Cento, con l’assunzione di due ginecologi abortisti. In precedenza l’obiezione era al 100%”.

L’assessore Venturi (sanità): “Da noi non è a rischio l’applicazione della 194”.
(La Repubblica 26/9/16)
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Comunicato Stampa. Il progetto di legge sulla riforma e la riqualificazione dei consultori familiari nasce per sottoporre all’attenzione della Regione Emilia-Romagna un tema che sappiamo essere delicato e per nulla comodo. Eppure, in un momento in cui il tema del calo demografico è di grandissima attualità, non possiamo non interrogarci sulla pratica degli aborti volontari, nonostante la difficoltà di tenere questo dibattito fuori dall’ambito strettamente ideologico.

E siccome su questo argomento le considerazioni non sono mai semplici, è meglio che a parlare siano i numeri. A inizio settembre, sono stati distribuiti dall’Assessore alla Sanità i dati sulle Interruzioni Volontarie di Gravidanza (Igv), ovvero gli aborti volontari.
La relazione prende in considerazione il periodo relativo agli ultimi 20 anni dando conto di un fenomeno di enormi dimensioni: dal 1993 a oggi gli aborti volontari in Emilia-Romagna sono stati 200mila, una intera Città di bambini mai nati, una macabra contabilità che non possiamo e non dobbiamo ignorare.
Altro dato significativo è che, a fianco di questi 200mila aborti volontari, il 33% di chi ha scelto questa pratica lo aveva già fatto in passato: una percentuale elevatissima che lascia intendere come il ricorso all’aborto volontario non sia più una drammatica eccezione, ma una sorta di metodo contraccettivo inaccettabile, una routine a cui si ricorre come una pratica ordinaria.

Il nostro progetto di legge, composto da 30 articoli, e neppure esaminato in commissione, aveva la funzione di fissare due principi valoriali.
Da un lato, la Sacralità e l’inviolabilità della vita umana, valore non negoziabile (ammesso che esistano valori negoziabili), che è tale fin dal momento del concepimento, dall’altro il valore della famiglia tradizionalmente intesa. Una non negoziabilità che deve sussistere sempre, senza nessuna sorta di bilanciamento tra la vita della madre e quella del nascituro: e sia chiaro che, con questo progetto di legge, ci siamo assunti la responsabilità politica di introdurre temi che in quest’aula sono considerati vetusti, scomodi.
Lo abbiamo fatto ispirandoci sì a valori cattolici, ma con una visione laica, aprendo al dibattito che avremmo voluto si svolgesse in Commissione con i dovuti approfondimenti.

Del resto, il progetto di legge mirava a ridefinire il ruolo dei Consultori Familiari intesi non più come strutture prioritariamente deputate a fornire, in modo asettico, una serie di servizi sanitari o para-sanitari alle famiglie, bensì vere e proprie istituzioni vocate a sostenere e promuovere la famiglia ed i valori etici di cui è essa portatrice.

Ma ancora una volta, la Regione non ha voluto approfondire il tema, quello del bivio tra una vita che viene interrotta e un’altra che viene alla luce.
Ne prendiamo atto non senza rammarico, non senza un pensiero in più rivolto a quei numeri drammaticamente elevati che dovrebbero essere alla base di un dibattito serio nel quale le Istituzioni dovrebbero svolgere un ruolo attivo.

Avv. Galeazzo Bignami
Capo Gruppo di Forza Italia alla Regione Emilia-Romagna

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Insieme per riscrivere la cultura della Vita

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Mancano ormai pochi giorni alla VI edizione della Marcia per la Vita, che si svolgerà a Roma Domenica 8 maggio con partenza da piazza della Bocca della Verità alle ore 9,30. I motivi per cui vale la pena non solo partecipare ad una delle più importanti manifestazioni pro life d’Europa ma anche diffonderla tra amici e conoscenti sono sempre gli stessi e riguardano essenzialmente la necessità di portare all’attenzione dell’opinione pubblica, seppur per un giorno soltanto, un argomento quasi dimenticato su cui vige la più stretta censura, ma che è cruciale per le sorti presenti e future della nostra civiltà: l’aborto di Stato.

Nel nome della legge 194 sono stati uccisi migliaia, milioni di esseri umani innocenti e tale genocidio viene attuato giorno dopo giorni negli ospedali italiani, sotto i nostri occhi.  Il problema, ovviamente, non è solo italiano ma europeo e mondiale; si calcola che hanno superato il miliardo le vittime della pratica degli aborti legalizzati nel mondo intero. Non a caso, la Marcia italiana anno dopo anno vede la partecipazione sempre più massiccia di delegazioni straniere che combattono assieme a noi la buona battaglia, in comunione di idee e obiettivi.

Ma quest’anno c’è una ragione in più per partecipare alla Marcia: la Polonia si appresta a varare, con il sostegno della Chiesa Cattolica polacca, una nuova legge sull’aborto la cui ratio si ispirerebbe ai principi della legge naturale e che pertanto porterebbe a qualificare come reato la pratica dell’aborto volontario, senza compromessi né eccezioni di sorta. Occorre considerare che l’attuale legge sull’aborto in vigore in Polonia non è paragonabile a quella italiana, essendo piuttosto restrittiva. Eppure, il governo polacco sembra intenzionato a varare una nuova legge che contiene il divieto assoluto d’aborto e che quindi vada a prendere il posto di quella attuale, che seppur restrittiva rimane pur sempre una norma iniqua.

Ora, il sottoscritto non intende entrare nel merito della questione polacca né mettere in luce le analogie e le profonde differenze con quella italiana. E’ sufficiente prendere atto del fatto che invertire la rotta è possibile e che il governo di un Paese europeo, resistendo alle enormi pressioni delle lobby europeiste, è intenzionato a mettere nero su bianco che l’aborto è un omicidio e non un diritto della donna. Uno degli inganni più pericolosi che hanno limitato e tuttora limitano la lotta all’aborto consiste proprio nel far credere alle persone che indietro non si può tornare, che rappresenta un atto dovuto quello di considerare irreversibile il “progresso” morale e culturale di una società. In realtà, oltre al fatto che il progresso è un concetto filosofico e non un dogma (a cui sembrano sottomettersi anche le gerarchie ecclesiastiche …), bisogna dire che le leggi che regolamentano l’uccisione dell’innocente nel grembo materno non possono essere considerate il frutto del progresso, inteso come il miglioramento nel tempo delle capacità non solo tecniche ma anche umane di una comunità, ma semmai il contrario, ossia esse costituiscono l’evidenza dell’imbarbarimento morale ed intellettuale di un popolo e di una nazione.

Pertanto, vietare l’aborto significa dare il giusto valore alle cose, riconoscere l’intrinseca dignità della persona umana e dunque rimettere sulla strada giusta l’uomo e l’intera società, che altrimenti continuerebbe a procedere spedita verso il baratro. Gli ultimi dati Istat danno conto di una nazione, quella italiana, che sta letteralmente morendo: le nascite sono in costante diminuzione e sono decisamente insufficienti a garantire il necessario ricambio generazionale. L’aborto, e con esso la mentalità abortista antiumana, è indubbiamente la causa principale dell’inverno demografico del nostro Paese e dell’Europa intera, per cui al danno morale si aggiunge il danno pratico, concreto e misurabile. Di quale progresso si parla, dunque, se l’uomo corre spedito verso l’autodistruzione?

La Provvidenza moltiplicherà le nostre forze e quello che oggi sembra un miraggio domani potrà essere realtà. La cultura di morte imperante può essere combattuta e vinta, proprio come dimostra la storia passata e recente. L’aborto di Stato è il crimine dei crimini, la causa principale di tutte le altre derive morali, pertanto la battaglia per la vita è cruciale per le sorti dell’umanità: come possiamo combattere con coerenza gli assalti che provengono dalla teoria del gender e dall’eutanasia, dal proliferare della pedofilia e delle deviazioni sessuali se non rimettiamo mano alle leggi che pretendono di legittimare l’omicidio dell’innocente? Se non sradichiamo l’idea che la vita nascente non è manipolabile e che non vi può essere un reale diritto dell’adulto ad uccidere la creatura che porta nel grembo?

L’appuntamento è a Roma il prossimo otto maggio, per dire sì alla vita senza eccezioni, senza compromessi. Consapevoli del fatto che è in questo modo che si può veramente cominciare a riscrivere la storia.

(di Alfredo De Matteo su Radio Spada.org)

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