I diritti della maggioranza
di Massimo Introvigne (il Giornale, 14 marzo 2007)
Della lunga esortazione apostolica di Benedetto XVI Sacramentum Caritatis molti sottolineano i passaggi che raccomandano l’uso della lingua latina e del canto gregoriano nelle grandi celebrazioni, e quelli che biasimano le donne e gli uomini politici che si dicono cattolici ma che da cattolici non si comportano affatto a proposito di quei «valori non negoziabili» che attengono alla vita e alla famiglia. Sono aspetti importanti: ma sarebbe un peccato se sfuggisse il senso generale di questo documento che chiarisce, in un’epoca di particolare confusione, chi esattamente può dirsi cattolico.
La sostanza del testo di Benedetto XVI è precisamente questa: non è cattolico chi dice di esserlo, ma chi la Chiesa riconosce come tale. Citando sant’Ignazio di Antiochia, il Papa afferma che i cattolici sono coloro che vivono «secondo la domenica»: non solo nel senso che vanno a Messa, ma che cercano di comportarsi in coerenza con la domenica «ogni altro giorno della settimana».
Se si chiede agli italiani se sono cattolici, risponde di sì oltre l’ottanta per cento. Questa auto-certificazione non è certo priva di significati culturali, ma non corrisponde alla definizione di cattolico che emerge dal documento pontificio. Se il centro della Chiesa è l’eucarestia, è necessario un contatto che abbia una qualche regolarità con la celebrazione eucaristica. Il Papa non interviene sulla questione dibattuta tra i sociologi se la pratica da prendere in esame sia quella dichiarata o quella effettivamente contata (e il conto non è facile), o ancora se quella dichiarata come almeno mensile (circa il quaranta per cento in Italia) o come settimanale (tra un quarto e un terzo della popolazione). Ma certamente chi non va quasi mai a Messa non è pienamente cattolico. Né la Messa è sufficiente: ci sono, appunto, valori «non negoziabili» (il Papa mette in guardia tra l’altro contro il riconoscimento non solo delle unioni omosessuali, ma anche della poligamia) su cui il consenso non è facoltativo. Chi non li condivide – tanto più quando vota leggi in Parlamento – non solo può, ma deve essere «richiamato dai vescovi», così che anche i fedeli (che sono pure elettori) prendano atto che manca di quella «coerenza eucaristica» che definisce il cattolico come tale.
Neppure, però, l’esortazione apostolica sposa la tesi priva di misericordia che considera cattolico solo chi abbia una vita privata impeccabile. I santi non sono quelli che non sono mai caduti, sono quelli che si sono sempre rialzati; e chi scaglia la prima pietra per definizione non è senza peccato. Alle coppie composte da un uomo e da una donna che vivono situazioni diverse dal matrimonio cristiano, per esempio, il Papa ribadisce che non possono accostarsi alla comunione: ma non le esclude dalla comunità cattolica, esortandole a partecipare alla Messa e a cercare strade canonicamente lecite per regolarizzare la loro posizione. La Chiesa è misericordiosa verso il peccatore. Lo è meno con chi pretende di trasformare l’irregolarità in legge. I cattolici costituiscono dunque quella maggioranza di italiani che sono, come dice la liturgia, «peccatori ma fiduciosi nell’infinita misericordia di Dio»: che stanno con la Chiesa sui valori «non negoziabili» che pure non sempre riescono a vivere in pienezza, che sanno che si deve santificare la domenica anche se forse non lo fanno tutte le settimane. A loro il Papa chiede maggiore «coerenza eucaristica» quotidiana. Alla politica chiede di tenere conto che questa maggioranza ha dei diritti.