(il Giornale) Un evento di portata storica

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La scomparsa dei comunisti


di Michele Brambilla Non abbiamo nessuna intenzione di infierire contro Fausto
Bertinotti: intanto perché non si uccide un uomo morto neppure quando
la morte è solo politica; e poi perché, tra tanti spocchiosi maestrini
dalla penna rossa, Bertinotti si distingue per intelligenza e simpatia.
Bene ha fatto Umberto Bossi, ieri sera, a rendergli l’onore delle armi
quando lo ha visto lì nel salotto di Vespa mentre offriva la propria
faccia alla sconfitta.

Però quanto ci è parso rétro, l’ormai ex
presidente della Camera, quando cercava di spiegare questa sconfitta.
Rétro e anche un po’ patetico così come erano stati via via, lungo
tutto il pomeriggio, i Giordano e i Russo Spena, i Cento e i
Turigliatto. Tutti lì a invocare cause contingenti: siamo partiti tardi
nella costruzione del soggetto unico, ha detto Bertinotti, e poi
Veltroni ci ha segato le gambe con i suoi ripetuti appelli al voto
utile. Quisquilie, spiegazioni del tutto inadeguate a rendere ragione
di ciò che non è una semplice sconfitta elettorale ma l’incredibile
perdita di tre milioni di voti su quattro; ed è soprattutto un evento
storico, perché è la scomparsa dei comunisti dal parlamento
dell’Italia, il Paese che per cinquant’anni aveva avuto il più forte
partito comunista dell’Occidente.
È vero che Veltroni ha sfondato a
sinistra perché – a causa dello sciagurato (per lui) accordo con i
radicali – non è riuscito a far breccia nel centro cattolico. È vero
anche che la Sinistra Arcobaleno paga le conseguenze di un percorso che
ormai conduce inevitabilmente verso il bipolarismo. Ma Bertinotti e i
suoi alleati dovrebbero appunto chiedersi come mai, sulla strada di
questo bipolarismo, la sinistra più moderna – che è quella guidata da
Veltroni – ha deciso di abbandonarli.
La risposta è semplice: è
che al mondo di oggi, e perfino alla sinistra di oggi, chi si richiama
ancora al comunismo non ha più nulla da dire, non ha più alcun
contributo utile da dare. Così come è fuori dal tempo e dalla storia un
ambientalismo estremista che si distingue solo per il suo ostinato e
pregiudiziale dir di no a qualsivoglia progresso.
Non è stato
Berlusconi, e non è stato neanche Veltroni a far sparire la falce e
martello da Camera e Senato. È che ieri è suonata finalmente, anche in
Italia, la campana della storia per un’ideologia che era già obsoleta e
impresentabile quando Bertinotti, Cossutta, Diliberto e altri
irriducibili si erano rifiutati di accettare la svolta del Pci, che il
termine «comunista» lo aveva fatto sparire dal nome.
Il comunismo è
nato con il nobile proposito di dare a ciascuno secondo il suo bisogno,
e nell’Ottocento della Rivoluzione industriale prese le difese di chi
in quel grande ma spietato processo di modernizzazione veniva usato
come carne da macello. Ma la storia, la realtà, la prassi hanno poi
mostrato che il comunismo – per usare le parole di Giovanni Paolo II –
s’è rivelato una medicina peggiore del male che intendeva curare.
Ovunque è salito al potere ha prodotto non solo repressione e terrore,
lager e morti; ma anche un indicibile grigiore, un terrificante
squallore intellettuale e morale. Il sistema politico che doveva dar
vita all’«uomo nuovo» s’è dissolto lasciando dietro sé solo guerre,
torture, disperazione, miseria. Non un’opera d’arte, non un poeta, non
una scoperta scientifica degna di rilievo ci è stata consegnata da quel
mondo.
I comunisti italiani e in genere occidentali si sono
autoassolti attribuendo il fallimento a coloro che avrebbero, a loro
dire, tradito l’idea. Ma con il trascorrere degli anni s’è visto che
non v’era Paese in cui il comunismo non si trasformasse in tragedia:
l’Urss, ma poi anche la Cina, il Vietnam, la Cambogia, Cuba. Ad uno ad
uno, tutti i miti sono caduti. Perché il difetto non stava nell’errata
applicazione dell’idea, ma nell’idea.
Lo stesso Bertinotti deve aver
preso atto, qualche giorno fa, della non riproponibilità di un simile
sistema di governo. È stato quando ha detto che il comunismo
sopravviverà solo «come tendenza culturale». Ieri, da uomo d’onore, s’è
dimesso. Ma lo sconfitto non è lui: è un’idea che non ha più nulla da
dire all’uomo del terzo millennio.
Michele Brambilla