Benedetto XVI registrato dal vivo: il suo ecumenismo eccolo qui
La trascrizione integrale del discorso rivolto da papa Joseph Ratzinger ai cristiani non cattolici, nella patria di Lutero. Con tutte le aggiunte pronunciate a braccio
di Sandro Magister ROMA, 1 settembre 2005 – Benedetto XVI ama spesso parlare a braccio. Anche su temi molto impegnativi.
L’ha fatto rivolgendosi ai preti della Valle d’Aosta durante la sua vacanza in montagna, a fine luglio.
L’ha fatto nell’omelia della festa di Maria Assunta, nella piccola chiesa di Castel Gandolfo.
E l’ha fatto anche a Colonia, nel discorso del 19 agosto ai rappresentanti delle Chiese protestanti e ortodosse.
Di questo discorso, quel giorno, i giornalisti avevano a disposizione il testo scritto distribuito in anticipo, in più lingue. E di questo testo hanno dato conto nei loro notiziari.
Ma in realtà Benedetto XVI ha detto molto di più. In più punti ha alzato gli occhi dai fogli e ha improvvisato.
Per avere un’idea quantitativa delle aggiunte, basti dire che il discorso effettivamente pronunciato da papa Joseph Ratzinger, in tedesco, è stato quasi il doppio del testo scritto iniziale: 2.010 parole contro 1.179.
Il testo scritto, il papa l’ha letto praticamente per intero. Ha solo tralasciato questa riga:
“Non può esserci un dialogo a prezzo della verità; il dialogo deve svolgersi nella carità e verità”.
E l’improvvisazione più ampia l’ha fatta saltando altre pochissime righe scritte, di cui ha sviluppato i concetti.
Ma più della quantità, è la qualità delle cose aggiunte dal papa a imporre la rilettura attenta del discorso “ecumenico” da lui effettivamente pronunciato.
Benedetto XVI ha esordito con un filo di ironia. Mettendosi seduto ha avvertito: “ciò non significa che io voglia parlare ‘ex cathedra’”.
Più avanti ha detto: “Scusatemi se ho espresso qui un’opinione personale, ma mi sembrava giusto farlo”.
Eppure l’”opinione personale” da lui enunciata subito prima era di grande spessore. Ratzinger ha detto di non credere in un ecumenismo tutto centrato sulle istituzioni. Per lui la questione seria è come la Chiesa debba testimoniare la Parola di Dio nel mondo: problema affrontato dalla cristianità già nel II secolo e risolto fin d’allora con delle decisioni che secondo Ratzinger devono valere anche per la Chiesa d’oggi.
In un altro passaggio improvvisato, Benedetto XVI ha respinto “quello che si potrebbe chiamare ecumenismo del ritorno: rinnegare cioè e rifiutare la propria storia di fede”. Perché la “vera cattolicità” è pluriforme: “unità nella molteplicità e molteplicità nell’unità”.
Verso la fine, ha indicato come via esemplare l’“ecumenismo interiorizzato e spiritualizzato” della comunità di Taizé e del suo fondatore Roger Schutz, pochi giorni prima “strappato alla vita in modo così tragico”.
Ma ecco qui di seguito la trascrizione integrale – nella versione italiana fatta dagli uffici vaticani – del discorso rivolto da Benedetto XVI a Colonia, la sera del 19 agosto, ai rappresentanti delle Chiese non cattoliche.
Le parole sottolineate sono quelle che il papa ha aggiunto a braccio, distaccandosi dal testo scritto:
Incontro ecumenico nell’arcivescovado di Colonia. Il discorso del papa
Cari fratelli e care sorelle!
dopo una giornata impegnativa concedetemi di rimanere seduto. Ciò non significa che io voglia parlare “ex cathedra”. Mi scuso anche per il ritardo. Purtroppo i vespri hanno richiesto più tempo del previsto e il traffico è stato più lento di quanto si potesse immaginare.
Desidero ora esprimere la gioia di potere, in occasione di questa mia visita in Germania, incontrare e salutare molto cordialmente voi, rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali.
Provenendo io stesso da questo paese, conosco bene la situazione penosa che la rottura dell’unità nella professione della fede ha comportato per tante persone e tante famiglie. Anche per questo motivo, subito dopo la mia elezione a vescovo di Roma, quale successore dell’apostolo Pietro, ho manifestato il fermo proposito di assumere il ricupero della piena e visibile unità dei cristiani come una priorità del mio pontificato.
Con ciò ho consapevolmente voluto ricalcare le orme di due miei grandi predecessori: di Paolo VI che, ormai più di quarant’anni fa, firmò il decreto conciliare sull’ecumenismo “Unitatis Redintegratio”, e di Giovanni Paolo II, che fece poi di questo documento il criterio ispiratore del suo agire.
La Germania nel dialogo ecumenico riveste senza dubbio un posto di particolare importanza. Noi siamo il paese d’origine della Riforma; però la Germania è anche uno dei paesi da cui è partito il movimento ecumenico del XX secolo.
A seguito dei flussi migratori del secolo scorso, anche cristiani delle Chiese ortodosse e delle antiche Chiese dell’Oriente hanno trovato in questo paese una nuova patria. Ciò ha indubbiamente favorito il confronto e lo scambio, cosicché ora esiste fra noi un dialogo a tre.
Insieme ci rallegriamo nel constatare che il dialogo, col passare del tempo, ha suscitato una riscoperta della nostra fratellanza e creato tra i cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali un clima più aperto e fiducioso. Il mio venerato predecessore nella sua enciclica “Ut Unum Sint” (1995) ha indicato proprio in questo un frutto particolarmente significativo del dialogo (cfr nn. 41s.; 64).
Ritengo che non sia poi così scontato che ci consideriamo veramente fratelli, che ci amiamo, che ci sentiamo insieme testimoni di Gesù Cristo. Questa fraternità è in sé, come credo, un frutto molto importante del dialogo, di cui dobbiamo essere lieti e che dovremmo continuare a curare e a praticare.
La fraternità tra i cristiani non è semplicemente un vago sentimento e nemmeno nasce da una forma di indifferenza verso la verità. Essa è fondata, come lei, illustre vescovo, ha appena detto, sulla realtà soprannaturale dell’unico battesimo, che ci inserisce tutti nell’unico corpo di Cristo (cfr 1 Cor 12, 13; Gal 3, 28; Col 2, 12).
Insieme confessiamo Gesù Cristo come Dio e Signore; insieme lo riconosciamo come unico mediatore tra Dio e gli uomini (cfr 1 Tm 2, 5), sottolineando la nostra comune appartenenza a lui (cfr “Unitatis Redintegratio”, 22; “Ut Unum Sint”, 42).
A partire da questo essenziale fondamento del battesimo, che è una realtà da lui proveniente, una realtà nell’essere e poi nel professare, nel credere e nell’agire, a partire da questo decisivo fondamento il dialogo ha portato i suoi frutti e continuerà a farlo.
Vorrei menzionare il riesame, auspicato da papa Giovanni Paolo II durante la sua prima visita in Germania, delle reciproche condanne. Penso con un po’ di nostalgia a quella prima visita. Ho potuto essere presente quando eravamo insieme a Magonza in un circolo relativamente piccolo e autenticamente fraterno. Furono poste delle questioni e il papa elaborò una grande visione teologica, nella quale la reciprocità aveva un suo spazio.
Da quel colloquio scaturì poi la commissione a livello episcopale e cioè ecclesiale, sotto la responsabilità ecclesiale, che con l’aiuto dei teologi portò infine all’importante risultato della “Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione” del 1999 e a un accordo su questioni fondamentali che fin dal XVI secolo erano state oggetto di controversie.
Bisogna inoltre riconoscere con gratitudine i risultati costituiti dalle varie comuni prese di posizione su importanti argomenti quali le fondamentali questioni sulla difesa della vita e sulla promozione della giustizia e della pace.
Sono ben consapevole che molti cristiani in Germania, e non solo qui, si aspettano ulteriori passi concreti di avvicinamento e anche io me li aspetto.
Infatti è il comandamento del Signore, ma anche l’imperativo dell’ora presente, di continuare in modo convinto il dialogo a tutti i livelli della vita della Chiesa. Ciò deve ovviamente avvenire con sincerità e realismo, con pazienza e perseveranza nella fedeltà al dettato della coscienza, nella consapevolezza che è il Signore, che poi dona l’unità, che non siamo noi a crearla, che è lui a donarla, ma che dobbiamo andargli incontro. [1]
Non intendo sviluppare qui un programma per i temi immediati del dialogo. Questo è compito dei teologi in collaborazione con i vescovi: i teologi sulla base della loro conoscenza del problema, i vescovi a partire dalla loro conoscenza della situazione concreta delle Chiese nel nostro paese e nel mondo.
Mi sia concessa soltanto una piccola annotazione: [2] si dice che ora, dopo il chiarimento relativo alla dottrina della giustificazione, l’elaborazione delle questioni ecclesiologiche e delle questioni relative al ministero sia l’ostacolo principale che rimane da superare. Ciò in definitiva è vero, ma devo anche dire che non amo questa terminologia e da un certo punto di vista questa delimitazione del problema, poiché sembra che ora dovremmo dibattere delle istituzioni invece che della Parola di Dio, come se dovessimo porre al centro le nostre istituzioni e fare per esse una guerra. Penso che in questo modo il problema ecclesiologico così come quello del “ministerium” non vengano affrontati correttamente.
La questione vera è la presenza della Parola nel mondo. La Chiesa primitiva nel II secolo ha preso una triplice decisione: innanzitutto di stabilire il canone, sottolineando in tal modo la sovranità della Parola e spiegando che non solo il Vecchio Testamento è “hài graphài” [le Scritture], ma che il Nuovo Testamento costituisce con esso un’unica Scrittura e in tal modo è per noi il nostro vero sovrano.
Ma al contempo la Chiesa ha formulato la successione apostolica, il ministero episcopale, nella consapevolezza che la Parola e il testimone vanno insieme, che cioè la Parola è viva e presente solo grazie al testimone e, per così dire, da esso riceve la sua interpretazione, e che reciprocamente il testimone è tale solo se testimonia la Parola.
E infine, la Chiesa ha aggiunto come terza cosa la “regula fidei” [la regola della fede] quale chiave interpretativa. Credo che questa vicendevole compenetrazione costituisca oggetto di dissenso fra noi, sebbene siamo uniti su cose fondamentali.
Quindi, quando parliamo di ecclesiologia e di ministero, dovremmo parlare preferibilmente di questo intreccio di Parola, testimone e regola di fede, e considerarlo come questione ecclesiologica e quindi insieme come questione della Parola di Dio, della sua sovranità e della sua umiltà, in quanto il Signore affida la sua Parola ai testimoni e ne concede l’interpretazione, che però deve commisurarsi sempre alla “regula fidei” e alla serietà della Parola. Scusatemi se ho espresso qui un’opinione personale, ma mi sembrava giusto farlo.
Una priorità urgente nel dialogo ecumenico è costituita poi dalle grandi questioni etiche poste dal nostro tempo; in questo campo gli uomini di oggi in ricerca si aspettano con buona ragione una risposta comune da parte dei cristiani, che, grazie a Dio, in molti casi si è trovata.
Esistono talmente tante dichiarazioni comuni della conferenza episcopale tedesca e della Chiesa evangelica in Germania, che possiamo solo esserne grati. Ma purtroppo non sempre questo avviene. A causa di contraddizioni in questo campo la testimonianza evangelica e l’orientamento etico che dobbiamo ai fedeli e alla società perdono di forza, assumendo non di rado caratteristiche vaghe, e così veniamo meno al nostro dovere di dare al nostro tempo la testimonianza necessaria.
Le nostre divisioni sono in contrasto con la volontà di Gesù e ci rendono inattendibili davanti agli uomini. Penso che dovremmo impegnarci con rinnovata energia e dedizione a recare una testimonianza comune nell’ambito di queste grandi sfide etiche del nostro tempo.
Ed ora chiediamoci: che cosa significa ristabilire l’unità di tutti i cristiani? Sappiamo tutti che esistono numerosi modelli di unità e voi sapete anche che la Chiesa cattolica si prefigge il raggiungimento della piena unità visibile dei discepoli di Gesù Cristo secondo la definizione che ne ha dato il Concilio Ecumenico Vaticano II in vari suoi documenti (cfr “Lumen Gentium”, nn. 8;13; “Unitatis Redintegratio”, nn. 2; 4 ecc.). Tale unità, secondo la nostra convinzione, sussiste, sì, nella Chiesa cattolica senza possibilità di essere perduta (cfr “Unitatis Redintegratio”, n. 4); la Chiesa infatti non è scomparsa totalmente dal mondo.
D’altra parte questa unità non significa quello che si potrebbe chiamare ecumenismo del ritorno: rinnegare cioè e rifiutare la propria storia di fede. Assolutamente no! Non significa uniformità in tutte le espressioni della teologia e della spiritualità, nelle forme liturgiche e nella disciplina. Unità nella molteplicità e molteplicità nell’unità: nell’omelia per la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, lo scorso 29 giugno, ho rilevato che piena unità e vera cattolicità nel senso originario della parola vanno insieme. Condizione necessaria perché questa coesistenza si realizzi è che l’impegno per l’unità si purifichi e si rinnovi continuamente, cresca e maturi.
A questo scopo può recare un suo contributo il dialogo. Esso è più di uno scambio di pensieri, di un’impresa accademica: è uno scambio di doni (cfr “Ut Unum Sint”, n. 28), nel quale le Chiese e le Comunità ecclesiali possono mettere a disposizione i loro tesori (cfr “Lumen Gentium”, nn. 8; 15; “Unitatis Redintegratio”, nn. 3; 14s; “Ut Unum Sint”, nn. 10-14).
È proprio grazie a questo impegno che il cammino può proseguire passo passo fino a quando, come dice la Lettera agli Efesini, finalmente arriveremo “tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4, 13).
È ovvio che un tale dialogo può svilupparsi solo in un contesto di sincera e coerente spiritualità. Non possiamo “fare” l’unità con le sole nostre forze. La possiamo soltanto ottenere come dono dello Spirito Santo. Perciò l’ecumenismo spirituale, e cioè la preghiera, la conversione e la santificazione della vita costituiscono il cuore dell’incontro e del movimento ecumenico (cfr “Unitatis Redintegratio”, n. 8; “Ut Unum Sint”, nn. 15s; 21 ecc.). Si potrebbe anche dire: la forma migliore di ecumenismo consiste nel vivere secondo il Vangelo.
Desidero anche io in questo contesto ricordare il grande pioniere dell’unità, padre Roger Schutz, che è stato strappato alla vita in modo così tragico. Lo conoscevo personalmente da tempo e avevo con lui un rapporto di cordiale amicizia.
Mi ha spesso reso visita e, come ho già detto a Roma, il giorno della sua uccisione ho ricevuto una sua lettera che mi è rimasta nel cuore perché in essa sottolineava la sua adesione al mio cammino e mi annunciava di volermi venire a trovare. Ora ci visita dall’alto e ci parla. Penso che dovremmo ascoltarlo, ascoltare dal di dentro il suo ecumenismo vissuto spiritualmente e lasciarci condurre dalla sua testimonianza verso un ecumenismo interiorizzato e spiritualizzato.
Vedo un confortante motivo di ottimismo nel fatto che oggi si sta sviluppando una sorta di “rete” di collegamento spirituale tra cattolici e cristiani delle varie Chiese e Comunità ecclesiali: ciascuno si impegna nella preghiera, nella revisione della propria vita, nella purificazione della memoria, nell’apertura della carità.
Il padre dell’ecumenismo spirituale, Paul Couturier, ha parlato a questo riguardo di un “chiostro invisibile”, che raccoglie tra le sue mura queste anime appassionate di Cristo e della sua Chiesa. Io sono convinto che, se un numero crescente di persone si unirà interiormente alla preghiera del Signore “perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17, 21), una tale preghiera nel nome di Gesù non cadrà nel vuoto (cfr Gv 14, 13; 15, 7.16 ecc.).
Con l’aiuto che viene dall’alto, troveremo, nelle varie questioni tuttora aperte, soluzioni praticabili, e il desiderio di unità alla fine, quando e come egli vorrà, sarà appagato.
Ora andiamo insieme lungo questa via nella consapevolezza che l’essere in cammino insieme è un tipo di unità. Rendiamo grazie a Dio per questo e preghiamolo affinché continui a guidarci tutti.
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Note:
[1] Il testo scritto, qui non letto da Benedetto XVI, proseguiva dicendo: “Non può esserci un dialogo a prezzo della verità; il dialogo deve svolgersi nella carità e verità”.
[2] Nel testo scritto l’”annotazione”, che il papa ha ampiamente sviluppato a braccio, si limitava a queste poche righe: “Le questioni ecclesiologiche, e specialmente quelle del ministero consacrato, ossia del sacerdozio, sono connesse inscindibilmente con la questione sul rapporto tra Scrittura e Chiesa, sull’istanza cioè della giusta interpretazione della Parola di Dio e dello sviluppo di essa nella vita della Chiesa”.
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Il discorso di Benedetto XVI nella lingua originale tedesca in cui è stato pronunciato, nel sito del Vaticano:
> Ökumenisches Treffen im Erzbischöflichen sitz in Köln. Ansprache von Benedikt XVI
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Altri due discorsi pronunciati a braccio da Benedetto XVI:
> Omelia nella solennità dell’Assunzione, 15 agosto 2005
> Discorso al clero della diocesi di Aosta, 25 luglio 2005