Venezuela: La voce di due Cardinali per la verità

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Di fronte alla crisi politica e sociale che sta attraversando il Venezuela, i cardinali Baltazar Porras e Diego Padrón sentono il dovere di offrire una riflessione profonda e una posizione chiara in linea con gli eventi recenti, attraverso una lettera pubblica che rifiuta la possibilità di dialogo con il regime di Nicolas Maduro.
Traduzione di Marinellys Tremamunno – tratto da: https://www.recensioni-storia.it/venezuela-la-voce-di-due-cardinali-per-la-verita 

 

Una riflessione fraterna e in comunione davanti alla realtà nazionale

I. Introduzione
Al fine di presentare una riflessione e una presa di posizione in linea con lo sviluppo degli eventi, guardando al futuro per accompagnare meglio il nostro popolo che si sente addolorato e deriso, vi offriamo la nostra riflessione, poiché ci è toccato in sorte essere presenti in mezzo all’uragano.

II. Elementi per l’analisi
Il processo elettorale venezuelano dello scorso 28 luglio non si è concluso a favore del leader del partito di governo, l’attuale presidente della Repubblica.
In modo civile ed esemplare, il popolo si è espresso, con una maggioranza schiacciante, contro di lui e ha deciso un cambiamento nell’orientamento generale del regime di governo. Questo era il sentimento generale della popolazione, prima dello scrutinio elettorale, riflesso in numerosi sondaggi. La reazione del governo venezuelano è stata, fino ad ora, negare categoricamente la vittoria dell’opposizione e, senza mostrare prove, che sono i verbali elettorali (che devono essere un autentico riflesso dell’espressione popolare materializzatasi nelle urne), ha proclamato ufficialmente vincitore l’attuale presidente Nicolás Maduro Moros.
Di conseguenza, un’immensa ed eterogenea maggioranza della popolazione, sorpresa dall’assurdità, si è riversata nelle strade per protestare contro tale comportamento ufficiale e per reclamare il rispetto della sua volontà sovrana.
Il governo ha nuovamente reagito utilizzando la forza della polizia e di gruppi armati per reprimere le legittime e ampiamente pacifiche proteste, fino a provocare una ventina di morti, numerosi feriti e l’incarcerazione indiscriminata di un migliaio di avversari politici, costruendo un racconto, una narrativa a propria misura e scaricando sull’opposizione la responsabilità di tutti i disordini che hanno origine nella repressione fomentata dai sostenitori di Maduro.
Allo stesso modo il governo, invece di costruire ponti con la coalizione dell’opposizione per facilitare il riconoscimento della verità elettorale, premessa per una transizione politica democratica e pacifica, ha allargato il divario, considerandola nemica, e ha deciso di annientarla con la repressione, il carcere, la violenza e la morte.
La logica da “colpo di stato” costruito ad hoc, in cui è immerso il governo, lo porta a non curarsi in prima istanza dell’opinione internazionale, che gli chiede, quasi all’unanimità, di mostrare la totalità degli atti con il dettaglio degli scrutini dei seggi.
Questa richiesta generalizzata, in sintonia con il clamore interno, è che risplenda la verità e che, come segno della realtà accaduta e garanzia di convivenza pacifica e legittimità sociale ed etica, il governo consegni gli atti e si confermino i risultati.
Al contrario, ci sono indizi che il regime stia “fabbricando” altri atti a proprio vantaggio. È noto che sono stati intimiditi responsabili e testimoni dei seggi dell’opposizione, affinché li firmassero. Tuttavia, esiste la convinzione che ciò che potrebbero fare o offrire non oscurerà l’immagine già diffusa a livello mondiale della frode. A questo si aggiunge la proclamazione irregolare di un presunto vincitore, fatto che tecnicamente costituisce inoltre un’usurpazione. Sono state superate tutte le barriere che potevano conferire legittimità al regime.
I metodi repressivi del governo hanno ampiamente “pacificato”, cioè “controllato” e ridotto le manifestazioni popolari. Tuttavia, senza abbandonare del tutto la fase fin qui descritta, di fronte alle reazioni interne ed esterne, il governo ha abilmente cambiato rotta e ha fatto sì che il processo post-elettorale entrasse in una nuova fase di natura diversa, quella giudiziaria.
Il presidente della Repubblica in persona ha presentato un ricorso alla sezione elettorale del Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ), la sua massima istanza nazionale, ignorando l’autonomia del potere elettorale e chiedendo che sia il potere giudiziario a dirimere il conflitto. Con questa azione, il governo, che controlla l’arbitro supremo, lo utilizzerà a proprio favore e, con il trattamento giudiziario della questione, “distrarrà”, guadagnerà tempo e, contemporaneamente, tenterà di creare una nuova opinione pubblica, un racconto o una narrativa favorevoli alla sua vittoria elettorale, non dimostrata. Questa nuova fase è in pieno sviluppo.
Qui e ora entreranno in gioco la sintonia con la base popolare, la scienza giuridica e l’abilità politica dell’opposizione. Ma il conflitto può prolungarsi, continuare a rimanere attivo, e potrebbero riaccendersi la protesta di strada assieme ad altre, come quella militare, con le sue prevedibili e deplorevoli conseguenze. Sarà la lotta di Davide contro Golia! La governabilità sarà ferita dalla mancanza di legittimità dall’origine e questo avrà anche conseguenze interne ed esterne.
All’interno, diversi vescovi hanno espresso con preoccupazione le lamentele e le minacce di alcuni governatori e sindaci pro-regime sulla condotta dei sacerdoti, accusandoli di essere politici nascosti, venduti all’imperialismo. Per questo, pensano che questi siano i primi passi verso lo stile di governo nicaraguense, che potrebbe esplicitarsi più chiaramente in un futuro prossimo.

III. Per il discernimento
Il nostro ruolo di pastori è, prima di tutto, difendere la verità, sentirci popolo e accompagnarlo. Dobbiamo e cerchiamo di essere imparziali, vivendo e agendo con la verità. Non siamo né possiamo essere neutrali: spetta a noi verificare attentamente i fatti, per denunciare profeticamente, anche a rischio, le ingiustizie e proclamare i nostri principi e valori, accompagnando solidalmente e pastoralmente il popolo, compito non facile ma necessario.

IV. A mo’ di proposta
I principi non si negoziano, ma devono essere confrontati con la realtà, affinché incidano sulle necessità reali e sentite della gente. Affrontare la forza e la violenza di gruppi irregolari o la minaccia del ricorso alla forza armata nazionale (snaturandone il ruolo costituzionale e piegandolo a favore di una sola fazione) con le sole risorse spirituali può sembrarci insufficiente, ma è la nostra identità, convinzione, vocazione e missione di costruttori di giustizia, pace e speranza in scenari conflittuali. L’accompagnamento spirituale, sinodale, in comunione, è una sfida alla nostra pastorale integrale ad intra e ad extra. Il popolo vittima ha accumulato molta rabbia e impotenza, il che comporta il pericolo di rispondere con violenza o con desideri di una giustizia assoluta, addirittura vendetta, che difficilmente supererebbero l’intolleranza e promuoverebbero la concordia, l’amicizia sociale e la fraternità.
Ciò che non possiamo fare è diventare una Chiesa del silenzio, lasciando che il tempo passi invano. Dobbiamo discernere nello Spirito il momento presente come un kairós e agire di conseguenza con coraggio, nello stile degli Apostoli.
Le periferie – le Caritas e altre iniziative sono una testimonianza – devono continuare a essere il centro della nostra preoccupazione e occupazione, sia in termini materiali che emotivi e spirituali. Conformare organicamente e con prudente autonomia la Commissione di Giustizia e Pace deve essere uno dei nostri obiettivi prioritari, in nome della salvaguardia dei diritti umani, della dignità delle persone e del bene comune di tutto il nostro popolo. Che la gente non ci senta lontani, assenti o indifferenti alle sue necessità e richieste.
Curare le ferite, coltivare le migliori virtù umane e cristiane, con razionalità e con senso di riconciliazione, perdono e spirito samaritano, senza vendette ed esclusioni, è un compito arduo, ma fa parte del nostro accompagnamento pastorale, affettuoso e paziente.
Alla Chiesa la società venezuelana chiede oggi, in continuità con la storica fiducia e credibilità riposta in essa, un’azione che può essere assunta solo come sussidiaria, di buoni uffici, non di mediazione né di protagonismo.

V. A mo’ di conclusione
Scriviamo questo nella notte del 31 luglio, dopo aver seguito in parte la conferenza stampa del presidente con i giornalisti stranieri. Il tono di aggressività e discredito, il presentarsi come vittima che ha dovuto subire attentati, rapine e tentativi di colpi di stato perpetrati presumibilmente a sangue freddo contro di lui, sono la migliore espressione di una visione che appare scollegata dalla realtà.
È la narrativa ufficiale, che cerca di legittimarsi attribuendo all’opposizione tutti i mali del Paese.
È prevedibile che il governo, come segno di pretesa legittimità e sicurezza e cercando di “giocare d’anticipo”, convochi “dialoghi” a partire dalle Chiese e dalle confessioni religiose, sotto la premessa di riconoscere la proclamazione dei risultati da parte del CNE e soprattutto la sentenza del TSJ. Questo per noi è inaccettabile, perché significherebbe ignorare la frode evidente, l’usurpazione manifesta, ignorare la sovranità popolare inequivocabilmente espressa e il conseguente diritto di esprimere pacificamente, ma decisi e fermamente, la legittima protesta.

Di conseguenza e nei termini classici della “non violenza attiva”, appare all’orizzonte il dovere morale di sostenere e supportare le giuste iniziative per affrontare l’arbitrarietà e gli eccessi con la disobbedienza e/o resistenza civica, di radice etica e anche religiosa, secondo lo spirito delle Beatitudini: rispondere al male con il bene ed essere artefici di pace nella speranza che «la verità (ci) farà liberi» (Gv. 8,32).”.

Fraternamente, i cardinali Baltazar Porras e Diego Padrón.
Caracas, 1° agosto 2024.

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