La Chiesa italiana esporta il suo modello in Spagna
E a far da guida è il discorso di Benedetto XVI a Verona. Lo scrivono i vescovi spagnoli, in un documento di forte contrattacco all'”onda d’urto del laicismo” su vita e famiglia
di Sandro Magister ROMA, 23 febbraio 2007 – Quando a Verona, il 19 ottobre 2006, parlando a vescovi, preti e laici della Chiesa italiana, Benedetto XVI scommise sull’Italia come “terreno assai favorevole” per una rinascita cristiana anche in Europa e nel mondo, molti scossero il capo increduli.
Anche la vivace battaglia che oggi il papa e i vescovi combattono contro la legalizzazione, in Italia, delle unioni di fatto etero e omosessuali suscita reazioni scettiche.
Tra gli scettici vi sono alcuni dei più rinomati intellettuali cattolici. Uno di questi, il giurista Leopoldo Elia, già presidente della corte costituzionale, ha così spiegato al “Corriere della Sera” del 13 febbraio perché ritiene sbagliate sia la scommessa di papa Joseph Ratzinger sull’Italia, sia la forte reazione della Chiesa alle nuove leggi:
“Pare che la Chiesa voglia fare dell’Italia l’eccezione d’Europa: l’Italia cattolica dove non valgono le leggi in vigore in tutti gli altri paesi. Perché la Chiesa spagnola ha reagito con misura alla legge sulle unioni di fatto, mentre la Chiesa italiana spinge alle barricate in parlamento? Perché una reazione così eccessiva rispetto a quella del tutto corretta delle conferenze episcopali francese e tedesca? Pare si manifesti la volontà di mantenere un’eccezione italiana. Forse perché a Roma c’è la sede di Pietro, perché abbiamo avuto lo stato pontificio, la Controrifoma, una lunga tradizione di legame fra trono e altare… Fatto sta che la Chiesa italiana non accetta di europeizzarsi”.
Ma è proprio così? È fuori dubbio che in altri paesi d’Europa la Chiesa cattolica abbia per lo più reagito debolmente e senza successo alle leggi sulle unioni di fatto, sui matrimoni tra omosessuali, sul divorzio veloce, sull’aborto, sull’eutanasia, sulla fecondazione artificiale, sull’utilizzo degli embrioni.
Così come è fuori dubbio che in Italia la resistenza della Chiesa è stata negli ultimi anni molto più efficace. Basti pensare alla vittoria nel giugno del 2005 contro i referendum che volevano liberalizzare la fecondazione eterologa e l’uccisione degli embrioni. La Chiesa propose di non votare e in effetti tre cittadini su quattro non andarono al voto, annullando così i referendum.
Il dato più interessante è però un altro. Da qualche tempo la Chiesa italiana non è più un’eccezione solitaria, tra le Chiese dell’Europa occidentale. Altre conferenze episcopali guardano ad essa come a un modello e ne imitano l’azione. In Portogallo, ad esempio, la Chiesa si è recentemente opposta con forza a un referendum per la completa liberalizzazione dell’aborto: e il referendum, tenutosi lo scorso 11 febbraio, è fallito per la scarsa affluenza dei votanti.
Ma il caso più lampante di ripresa del modello italiano sta avvenendo in Spagna. Lì la conferenza episcopale (vedi foto) sta compiendo una vera e propria inversione di marcia, dopo anni di divisioni, di incertezze e di assenza di una guida autorevole. Quando con il governo del conservatore José Maria Aznar si profilarono in Spagna le prime avvisaglie delle nuove leggi in materie sensibili, le reazioni dell’episcopato furono fiacche. E quando poi il governo laicista di José Luis Rodríguez Zapatero passò ai fatti con una raffica di innovazioni, la Chiesa le subì quasi incredula. Ma lo choc funzionò anche da stimolo a una reazione. Il primo atto che indicò una ripresa d’iniziativa della Chiesa fu una grande manifestazione a Madrid, con un milione e mezzo di persone in strada e con alla testa i vescovi.
Ma più che questo gesto simbolico, ci sono due documenti collettivi che attestano la svolta dell’episcopato spagnolo. Sono due “istruzioni pastorali” discusse e votate da tutti i vescovi nel 2006, emesse la prima il 30 marzo e la seconda il 23 novembre.
Della prima, www.chiesa ha dato notizia la scorsa estate, fornendo ampi estratti in italiano e in inglese. L’istruzione sottopone a severa critica le deviazioni dottrinali e morali presenti nella Chiesa spagnola, imputando ad esse l’incapacità della stessa Chiesa di fronteggiare la sfida della secolarizzazione. Oggi questo documento – scritto d’intesa con la congregazione vaticana per la dottrina della fede – fa da base per una campagna di chiarificazione dottrinale nelle diocesi, tra il clero, nei seminari, tra i catechisti, nelle associazioni, nelle parrocchie.
La seconda istruzione entra più direttamente nel vivo dei cambiamenti intervenuti in Spagna nella società e nella politica. I vescovi descrivono e giudicano l'”onda d’urto del laicismo” in atto, richiamano i cattolici alle loro responsabilità religiose e civili e propongono gli “orientamenti morali” per una efficace risposta alla presente situazione.
Ampi stralci dell’istruzione sono riportati qui sotto, nella traduzione italiana che comparirà sul numero 3 del 2007 di “Il Regno Documenti”. Basta leggerli per capire quanto il modello italiano – quello impersonato dal cardinale Camillo Ruini alla testa della conferenza episcopale – abbia fatto scuola tra i vescovi spagnoli.
Ma c’è di più. Il documento che i vescovi spagnoli adottano come guida in questa loro istruzione è proprio il discorso rivolto da Benedetto XVI agli stati generali della Chiesa italiana, a Verona.
La scommessa di papa Joseph Ratzinger sul “grande servizio” che la Chiesa italiana può rendere “anche all’Europa e al mondo” sta dando i suoi primi frutti.
“Come ha detto papa Benedetto XVI a Verona…”
Dall’istruzione pastorale “Orientamenti morali nella situazione attuale della Spagna”, 23 novembre 2006
[…] Una situazione nuova: l’onda d’urto del laicismo
8. Un elemento che vogliamo mettere in risalto, in quanto decisivo per interpretare e valutare le nuove circostanze dal punto di vista della fede, è l’allarmante crescita del laicismo nella nostra società. […]
9. Nel contesto di una trasformazione sociale di grandi dimensioni, la Spagna si vede invasa da un modo di vivere nel quale ogni riferimento a Dio viene considerato come una pecca per la maturità intellettuale e il pieno esercizio della libertà. Viviamo in un mondo in cui si vanno ponendo le basi di una comprensione atea della stessa esistenza: “Se Dio esiste, non sono libero; se sono libero non posso accettare l’esistenza di Dio”. Questo – sebbene non venga sempre percepito così esplicitamente a livello intellettuale – è il problema radicale della nostra cultura: la negazione di Dio e il vivere “come se Dio non esistesse”. La diffusione del laicismo produce cambiamenti profondi nella vita delle persone, dato che la conoscenza di Dio costituisce la radice viva e profonda della cultura dei popoli, ed è il fattore più influente nell’elaborazione del loro progetto di vita, personale, familiare e sociale.
10. Il male radicale del tempo presente consiste, dunque, in qualcosa di antico tanto quanto il desiderio illusorio e blasfemo di diventare signori di tutto, di orientare la nostra vita, e quella della società, a nostro piacimento, senza fare i conti con Dio, come se fossimo i veri creatori del mondo e di noi stessi. Da qui, l’esaltazione della libertà personale come norma suprema del bene e del male, e il dimenticarsi di Dio, con il conseguente disprezzo della religione e la parallela idolatria dei beni del mondo e della vita terrena come se fossero valore supremo.
11. Papa Benedetto XVI, con la sua abituale semplicità e profondità, ha esaminato recentemente questa stessa situazione nel suo discorso al IV Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa in Italia. […]
Sulle cause di questa situazione
14. Il processo di scristianizzazione e deterioramento morale della vita personale, familiare e sociale viene favorito da certe caratteristiche obiettive della nostra vita, quali il rapido arricchimento, la molteplicità delle offerte per il tempo libero, l’eccesso di occupazioni o l’oscuramento della coscienza dinanzi al rapido sviluppo della scienza e della tecnica. Guardando più in profondità, la diffusione di questo processo è stata facilitata dalla scarsa formazione religiosa di molte persone, credenti e non; da certe idee inadeguate di Dio e della vera religione; dalla mancanza di coerenza nella vita personale e sociale di molti cristiani, e dall’influenza di idee sbagliate sull’origine, la natura e il destino dell’uomo; e, non ultimo motivo, dalla debolezza morale di tutti noi e dalla seduzione dei beni di questo mondo: da “quella avarizia insaziabile che è idolatria” (Colossesi 3,5). […]
17. Così, il laicismo va architettando una società che, nei suoi aspetti sociali e pubblici, si scontra con i valori fondamentali della nostra cultura, lascia senza radici istituzioni tanto importanti come il matrimonio e la famiglia, diluisce i fondamenti della vita morale, della giustizia e della solidarietà, e pone i cristiani in un mondo culturalmente estraneo e ostile. Non si tratta di voler imporre i nostri criteri morali a tutta la società. Sappiamo perfettamente che la fede in Gesù Cristo è, allo stesso tempo, un dono di Dio e una libera decisione di ogni persona, illuminata dalla ragione e aiutata dall’assistenza divina. Però, per noi è chiaro che tutto quello che tende a introdurre idee e costumi contrari alla legge naturale, fondata sulla retta ragione e sul patrimonio spirituale e morale, accumulato lungo la storia dalle società, debilita i fondamenti della giustizia e deteriora la vita delle persone e della società intera.
18. Non sono pochi gli ambienti in cui risulta difficile presentarsi come cristiani: pare che l’unico modo corretto, e al passo coi tempi, sia presentarsi come agnostici e fautori di una forma di laicismo radicale ed escludente. Alcuni gruppi pretendono di escludere i cattolici dalla vita pubblica e di affrettare l’instaurazione del laicismo e del relativismo morale, come unica cultura compatibile con la democrazia. Questa ci pare che sia la corretta interpretazione della crescente difficoltà che incontra il progetto d’introdurre lo studio facoltativo della religione cattolica nei programmi della scuola pubblica. In questa stessa direzione vanno alcune leggi e posizioni contrarie alla legge naturale; esse deteriorano il bene morale della società, formata in larga parte da cattolici, come è avvenuto con la strana definizione legale del matrimonio, che esclude ogni riferimento alla differenza tra uomo e donna; come, ancora, con il sostegno alla decantata “ideologia di genere”, la legge del “divorzio veloce”, la crescente tolleranza verso l’aborto, la produzione di esseri umani per la ricerca, e l’annunciata introduzione di una nuova materia scolastica, a carattere obbligatorio, chiamata “educazione alla cittadinanza”, che comporta il rischio di un’inaccettabile intromissione dello stato nell’educazione morale degli alunni, che spetta primariamente alla famiglia e alla scuola. […]
Responsabilità della Chiesa e dei cattolici
26. Una tentazione dei cristiani nella vita democratica sta nel desiderio di facilitare, falsamente, la convivenza, nascondendo o diluendo la propria identità fino al punto, in certe circostanze, di rinunciare a essa. Dietro questa apparente generosità si nasconde la sfiducia nel valore e nell’attualità del Vangelo e della vita cristiana. Il messaggio di Gesù e la dottrina della Chiesa hanno un valore permanente e sono in grado di adattarsi a tutte le situazioni e di offrire risposte ai diversi problemi e necessità degli uomini, senza doversi diluire né sottomettere alle imposizioni della cultura laicista ed edonista dominante. Le conseguenze deleterie di questo comportamento, caratterizzato dalla ricerca impaziente e irresponsabile di una falsa convivenza tra il cattolicesimo e il laicismo, sono state la moltiplicazione di ricorrenti tensioni interne, con il conseguente indebolimento della credibilità e della vita della Chiesa. Con il linguaggio dei fatti, Dio sta chiedendo, a noi cattolici, uno sforzo di autenticità e di fedeltà, di umiltà e di unità, per poter offrire in modo convincente ai nostri concittadini gli stessi doni che noi abbiamo ricevuto, senza dissimulazioni né deformazioni, senza dissensi né concessioni, che oscurerebbero lo splendore della verità di Dio e la forza attrattiva delle sue promesse. Un’adeguata educazione alla vita democratica deve aiutarci a condividere, costruttivamente, la vita con quanti pensano diversamente da noi, senza che la nostra identità cattolica ne rimanga compromessa.
Annunciare il “sì” di Dio all’umanità, in Gesù Cristo
27. In quanto membri della Chiesa non troveremo vere soluzioni da poter offrire alla nostra società imitando quello che incontriamo intorno a noi; al contrario, esse scaturiscono dal profondo della Chiesa stessa; da quel tesoro – che è la memoria e la presenza viva di Cristo – dal quale si possono estrarre continuamente cose antiche e nuove (cf. Matteo 13,52). Il progetto permanente della Chiesa è Gesù Cristo. Nel suo messaggio, nei suoi esempi, nella forza della sua presenza sacramentale, specialmente eucaristica, troveremo con certezza la forza spirituale e l’oculatezza necessarie a vivere e annunciare il regno di Dio nel mondo presente, che è di Dio e anche nostro. […]
28. Come ha detto papa Benedetto XVI a Verona, in questo nostro tempo diamo continuità alla grande missione di offrire ai nostri fratelli il “grande “sì”” che, in Gesù Cristo, Dio dice all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e intelligenza; mostrando a tutti come la fede nel Dio che ha un volto umano porti gioia al mondo. In effetti, il cristianesimo è aperto a tutto quanto c’è di giusto, di vero e puro nelle culture e nelle civiltà; e a tutto quanto rallegra, consola e fortifica la nostra esistenza. San Paolo ha scritto nella lettera ai Filippesi: “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (4,8). […]
Partire da un’identità cattolica vigorosa
33. […] Ricordiamo, molto brevemente, alcuni elementi dell’identità spirituale cattolica, che rendono possibile il discernimento e l’impegno morale. Nelle righe che seguono ci ispiriamo molto da vicino al già citato discorso di Benedetto XVI a Verona.
34. La risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia; di esso gli apostoli furono testimoni e non creatori. Non si tratta di un semplice ritorno alla nostra vita terrena; anzi, è la più grande “trasformazione” avvenuta nella storia, il “salto” cruciale verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine radicalmente diverso, che riguarda prima di tutto Gesù di Nazaret, ma anche noi, tutto il genere umano, la storia e l’universo intero. Per questo, la risurrezione di Gesù è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio e sino alla fine dei tempi. Gesù risuscita dai morti perché tutto il suo essere è unito a Dio, che è amore realmente più forte della morte. La sua risurrezione fu un’esplosione di luce, un’esplosione di amore che spezzò le catene del peccato e della morte. La sua risurrezione diede origine a una nuova dimensione della vita e della realtà; da essa nasce una nuova creazione che permea continuamente il nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé.
35. Tutto questo avviene, in effetti, per mezzo della vita e della testimonianza della Chiesa. […]
39. Il riconoscimento di Gesù Cristo e la nostra partecipazione alla sua missione, in comunione con la Chiesa, si esprime in alcuni obiettivi concreti, da assumere seriamente. Ci riferiamo a tre di essi, particolarmente urgenti nella nostra situazione.
40. 1 – Formazione alla fede. Per fortificare l’identità e la chiarezza della testimonianza cristiana e delle comunità cattoliche nella nostra società, con il ritorno alle fonti e l’intensificazione della formazione spirituale e la comunione ecclesiale, è necessario prendersi cura, di più e meglio, dell’iniziazione cristiana sistematica dei bambini, dei giovani e degli adulti. Bisognerà promuovere i catecumenati di conversione come percorso per incorporare i nuovi cristiani nella comunità ecclesiale; dovremo mantenere fedelmente la disciplina sacramentale e la coerenza della vita cristiana, senza cedere alle inclinazioni e alle preferenze della cultura laicista, e senza diluirci nell’anonimato e nella sottomissione agli usi vigenti.
41. 2 – Annunciare il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Un secondo punto centrale delle nostre preoccupazioni deve essere quello di annunciare e di vivere, con autenticità, il mistero cristiano del matrimonio e della famiglia. È doloroso costatare come sia stata eliminata dalla legislazione civile spagnola un’istituzione, tanto importante per la vita delle persone e della società, come il vero matrimonio. Nella natura personale dell’essere umano e, più profondamente, nella mente del Creatore, sta scritto che relazioni così decisive e belle come quelle matrimoniali, della paternità e della maternità, della filiazione e fraternità si realizzano nel matrimonio, inteso come unione indissolubile di vita e amore tra un uomo e una donna, aperto alla trasmissione responsabile della vita e all’educazione dei figli. Le leggi vigenti facilitano la dissoluzione dell’unione matrimoniale, dispensando le parti dall’addurre motivazioni per ottenerla e, inoltre, hanno soppresso il riferimento all’uomo e alla donna come soggetti contraenti il matrimonio. Questo stato di cose ci obbliga a costatare, con stupore, che l’attuale legislazione spagnola non solo non protegge il matrimonio, ma addirittura lo disconosce nella sua essenza propria e specifica. La Chiesa, e noi cattolici, non possiamo accettare questa situazione, perché vediamo in essa una grave disobbedienza al disegno divino, una contraddizione con la natura dell’essere umano e, conseguentemente, un gravissimo danno per il bene delle persone e dell’intera società.
42. Il matrimonio cristiano, sacramento dell’amore di Dio, vissuto nella relazione coniugale e familiare, sta diventando una denuncia vivente di una mentalità e di una legislazione che colpisce gravemente il bene comune e, allo stesso tempo, diventa profezia di una vera umanità edificata su quell’amore umano che l’amore di Dio rende possibile nel mondo. Gli sposi cristiani, rinvigoriti dall’amore di Cristo verso la sua Chiesa, devono essere realmente comunicatori della fede alle nuove generazioni, educatori dell’amore e della fiducia, testimoni della nuova società purificata e vivificata dalla presenza e dall’azione dell’amore divino nel cuore degli uomini.
43. 3 – Avere cura dell’eucaristia domenicale. Il vigore e la fortezza della vita cristiana dei battezzati, e della comunità intera, si alimentano con la celebrazione dell’eucaristia e, in modo speciale, con quella che si celebra alla domenica, il giorno del Signore risorto e della Chiesa. In una società divenuta culturalmente pagana, e nella quale i cattolici vivono più o meno dispersi, l’assemblea eucaristica domenicale è, se possibile, ancora più necessaria, e deve essere curata con particolare diligenza. È più necessaria per i cristiani, che devono rinnovare periodicamente la propria fede e unità nella celebrazione liturgica, ed è anche necessaria per la presenza visibile della Chiesa e dei cattolici nella società. La celebrazione dell’eucaristia porta con sé la celebrazione frequente della penitenza, secondo la disciplina della Chiesa, per la preparazione personale alla celebrazione, sincera e profonda, dei misteri della salvezza.
44. Sappiamo bene che la scelta della fede e della sequela di Gesù non sono mai facili; anzi, risultano sempre scelte contestate e controverse. Pertanto, anche nel nostro tempo, la Chiesa continua a essere “segno di contraddizione”, a esempio del suo Maestro (Luca 2,34). Tuttavia non ci perdiamo d’animo. Al contrario, dobbiamo essere sempre pronti a dare risposta a chi ci chiede ragione della nostra speranza, come ci invita a fare la Prima lettera di san Pietro (cf. 3,15). […]
La Chiesa e la società civile
47. Quando sollecitiamo i cattolici, affinché si facciano presenti nella vita pubblica e cerchino d’influenzarla, non vuol dire che pretendiamo d’imporre la fede e la morale cristiana a qualcuno, né che vogliamo immischiarci nelle questioni che non sono di nostra competenza. In questo assunto bisogna tener presente una distinzione fondamentale. La Chiesa nel suo insieme, come comunità, non ha competenze né attributi politici. Le sue finalità sono essenzialmente religiose e morali. Con Gesù e come Gesù annunciamo il regno di Dio, la necessità della conversione, il perdono dei peccati e le promesse della vita eterna. Con la sua predicazione, e con la testimonianza dei suoi figli migliori, la Chiesa aiuta chi la guarda con benevolenza a discernere quello che è giusto e a lavorare a favore del bene comune. Questo è il magistero recente del papa: “La Chiesa, dunque, non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia, e le offre a un duplice livello il suo contributo specifico. La fede cristiana, infatti, purifica la ragione e l’aiuta a essere meglio se stessa: con la sua dottrina sociale pertanto, argomentata a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano, la Chiesa contribuisce a far sì che ciò che è giusto possa essere efficacemente riconosciuto e poi anche realizzato”.
48. Un altro discorso deve essere fatto per i cristiani laici. Essi, oltre a essere membri della Chiesa, sono cittadini, nella pienezza dei diritti e dei doveri. Condividono con gli altri le stesse responsabilità sociali e politiche. E, come gli altri cittadini, hanno il diritto e il dovere di comportarsi nelle loro attività sociali e pubbliche, secondo la propria coscienza e secondo le proprie convinzioni religiose e morali. La fede non è una questione meramente privata. Non si può chiedere ai cattolici che agiscano a prescindere dalla fede e dalle motivazioni della carità fraterna, quando assumono responsabilità sociali, professionali, culturali e politiche. Questo è il contributo specifico che i cattolici possono offrire, in questo campo, al bene comune, servito e condiviso da tutti. Voler escludere l’influenza del cristianesimo dalla nostra vita sociale, oltre che un procedimento autoritario e per niente democratico, sarebbe una grave mutilazione e una perdita deplorevole. […]
Democrazia e morale
52. C’è chi crede che il riferimento a una morale obiettiva, precedente e superiore alle istituzioni democratiche sia incompatibile con la stessa struttura democratica della società e della convivenza. Spesso si parla della democrazia come se le istituzioni e le procedure democratiche dovessero essere il primo riferimento morale dei cittadini, il principio che regge la coscienza personale, la fonte del bene e del male. In questo modo d’intendere le cose, frutto di una visione laicista e relativista della vita, si nasconde un germe pericoloso di pragmatismo machiavellico e di autoritarismo. Se le istituzioni democratiche, formate da uomini e donne che agiscono secondo i propri criteri personali, potessero essere considerate come il referente ultimo della coscienza dei cittadini, non avrebbe senso la critica, né la resistenza morale alle decisioni dei parlamentari e dei governi. In definitiva il bene e il male, la coscienza personale e collettiva verrebbero determinate dalle decisioni di poche persone, dagli interessi dei gruppi che in un dato momento esercitano il potere reale, politico ed economico. Niente di più contrario alla vera democrazia.
53. La ragione naturale, illuminata e corroborata dalla fede, vede le cose in un’altra maniera. La democrazia non è un sistema totale di vita. È piuttosto una maniera d’organizzare la convivenza secondo una concezione della vita precedente e superiore alle procedure democratiche e alle norme giuridiche. Prima delle procedure e delle norme esiste il valore etico della persona umana, riconosciuto sia dal punto di vista naturale che da quello religioso. […] In una vera democrazia non sono le istituzioni politiche a dare forma alle convinzioni personali dei cittadini, ma proprio il contrario: sono i cittadini che devono delineare le istituzioni politiche e agire all’interno di esse, secondo le loro personali convinzioni morali, d’accordo con la propria coscienza e sempre a favore del bene comune.
54. La critica delle procedure non democratiche di altre epoche ha portato alcuni dei nostri concittadini alla convinzione che, nella vita democratica, la libertà esige che le decisioni politiche non riconoscano alcun criterio morale né si sottomettano ad alcun codice morale obiettivo. Questa concezione è molto pericolosa e non ci pare accettabile. […] Se i parlamentari, e più concretamente i dirigenti di un gruppo politico al potere, possono legiferare secondo il loro proprio criterio, senza sottostare ad alcun principio morale socialmente vigente e vincolante, l’intera società rimane in balia delle opinioni e dei desideri di poche persone che si arrogano un potere quasi assoluto, che va sicuramente oltre le loro competenze. Tutto ciò ha una conseguenza terribile: il positivismo giuridico – così si chiama la dottrina che non riconosce l’esistenza di principi etici che nessun potere politico può mai trasgredire – è l’anticamera del totalitarismo.
55. Non si può confondere la condizione di aconfessionalità o laicità dello stato con l’affrancamento morale e l’esenzione da obblighi morali oggettivi dei dirigenti politici. Con questa affermazione, non pretendiamo che i governanti si sottomettano ai criteri della morale cattolica, ma all’insieme dei valori morali vigenti nella nostra società, considerati, con rispetto e realismo, come risultato del contributo dei vari attori sociali. Ogni società e tutti i gruppi che di essa fanno parte hanno il diritto di essere governati nella vita pubblica secondo il denominatore comune della morale socialmente vigente, fondata sulla retta ragione e sull’esperienza storica di ogni singolo popolo. Una politica che pretenda di emanciparsi da questo riconoscimento degenera, senz’altro, nella dittatura, nella discriminazione e nel disordine. Una società, nella quale la dimensione morale delle leggi e del governo non è tenuta in sufficiente considerazione, è una società senza spina dorsale, letteralmente disorientata, facile preda della manipolazione, della corruzione e dell’autoritarismo.
56. Di conseguenza, i cattolici e i cittadini che vogliono agire responsabilmente, prima di suffragare con il proprio voto una delle varie proposte, devono valutare le differenti offerte politiche, prendendo in considerazione il valore che ogni partito politico, ogni programma e ogni candidato attribuisce alla dimensione morale della vita, nonché alla giustificazione morale delle proprie proposte e programmi. La qualità e l’esigenza morale del cittadino, quando esercita il proprio diritto di voto, sono il migliore mezzo per conservare il vigore e l’autenticità delle istituzioni democratiche. “Ma occorre anche fronteggiare – avverte il papa – con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il carattere peculiare e il ruolo sociale insostituibile della famiglia e del matrimonio”. […]
Rispetto e salvaguardia della libertà religiosa
62. Uno stato laico, veramente democratico, è quello che valuta la libertà religiosa come un elemento fondamentale del bene comune, degno di rispetto e di protezione. […]
64. Vediamo con preoccupazione alcuni segnali di disprezzo e d’intolleranza verso la presenza della religione cattolica nei programmi della scuola pubblica e nel diniego all’esposizione dei simboli religiosi nei luoghi pubblici; nel rifiuto di appoggiare, in modo proporzionato, con fondi pubblici le istituzioni religiose nelle loro attività sociali e specificamente religiose. La religione non è meno degna di appoggio della musica o dello sport, né i luoghi di culto sono meno importanti dei musei o degli stadi per il bene integrale dei cittadini. In tempi in cui vediamo con grande preoccupazione l’indebolimento delle convinzioni morali di molte persone; quando aumentano alcune pratiche disumane come la promiscuità e le violenze sessuali, il ricorso all’aborto – in modo particolare tra adolescenti e giovani – così come la dipendenza dalle droghe o l’alcolismo e la delinquenza tra i minorenni; o quando osserviamo, con dolore, la crescente violenza nella scuola e nel seno stesso delle famiglie, non si capisce il rifiuto e l’intolleranza che alcune persone e istituzioni, nella nostra società, manifestano contro la religione cattolica. Senza educazione morale, non è possibile la democrazia. Nessuno può negare che la religione illumini e rinforzi le convinzioni e il comportamento morale di quelli che l’accettano e la vivono in modo consono. Governo e Chiesa dovrebbero accordarsi sulla necessità d’intensificare l’educazione morale delle persone, soprattutto dei giovani. E di conseguenza, invece di guardare la Chiesa con sospetto, bisognerebbe riconoscerla come un’istituzione capace di contribuire in modo singolare a quell’obiettivo, così importante per il bene delle persone e della società intera, che risponde alla retta educazione morale della gioventù. […]
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Il testo originale dell’istruzione, nel sito della conferenza episcopale spagnola:
> “Orientaciones morales ante la situación actual de España”
E la sua versione italiana completa, in “Il Regno Documenti”, 3, 2007:
> “Il Regno”